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Ursula Le Guin: L’isola del drago

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Ursula Le Guin L’isola del drago

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L’Arcipelago di Earthsea è una terra lontana dove la magia è ancora potente e capace di sottili e misteriosi incantesimi che legano (o separano) gli esseri umani e dove, talvolta, giungono i draghi per ricordare a tutti che, nella notte dei tempi, non c’era distinzione tra uomo e drago. E a Gont, una delle isole di Earthsea, vive Tenar, una donna che pur essendo stata l’allieva prediletta del potente Arcimago Ogion, ha sorprendentemente rinunciato ai Poteri della magia per condurre una vita tranquilla accanto all’uomo che ama. Ma quel destino che Tenar ha rifiutato non ha mai cessato di albergare nei ricordi, nei pensieri e nei gesti della donna, e ora ritorna a lei sotto forme diverse e inquietanti: una bambina martoriata nel corpo e nello spirito (ma dotata di immani capacità soprannaturali), un vecchio amico che ha smarrito i Poteri dopo un viaggio nella terra delle Tenebre, l’antico maestro che la chiama per confidarle un segreto che solo lei può comprendere. Tornare sul sentiero che pensava abbandonato per sempre non sarà facile per Tenar, eppure solo lei conosce quel luogo dove — fra streghe, draghi, premonizioni e sortilegi — si deciderà l’esito della lotta tra il giovane e coraggioso re di Gont e le forze delle Tenebre che hanno scagliato contro l’isola una maledizione letale…

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«Be’, questa storia riguarda una cosa analoga alla metamorfosi, ma Ogion diceva che era qualcosa di molto superiore a tutte le arti della trasformazione a lui note, perché significava essere due cose — due creature — nello stesso tempo, e con la stessa forma, e diceva che nessun mago aveva il potere di farlo. Ma si imbatté in quella cosa sulla costa nordovest di Gont, in un posto chiamato Kemay. C’era una donna, laggiù, una vecchia pescatrice, non una strega e nemmeno una sapiente; ma cantava. Per questo Ogion venne a sapere di lei. Il mago si era spinto laggiù, come faceva sempre, durante i suoi vagabondaggi lungo la costa, per ascoltare la voce delle cose; e aveva sentito qualcuno che cantava, mentre riparava una rete o dava la pece a una barca:

Più a ponente del tramonto del sole
al di là di ogni terra
la mia gente ancora danza
su un vento diverso da questo.

«Ogion rimase colpito sia dalle parole sia dalla musica, perché non conosceva né l’una né le altre; perciò chiese da dove venisse quel canto. E, da una risposta all’altra, arrivò a qualcuno che gli disse: ‘Sì, è una canzone della Donna di Kemay’. Allora si recò a Kemay, il piccolo villaggio di pescatori dove viveva la donna, e trovò la sua casa vicino alla spiaggia. Bussò alla porta con il suo bastone di mago, e la donna venne ad aprirgli.

«Ora, tu sai, perché abbiamo parlato dei nomi, che i bambini hanno nomi da bambino, e ognuno di noi ha un nome d’uso, e a volte anche un nomignolo. Due persone diverse possono rivolgersi a te chiamandoti con nomi differenti. Tu sei la mia Therru, ma probabilmente, quando sarai più grande, avrai un nome d’uso. Inoltre, quando diventerai donna, avrai anche, se tutto sarà fatto come si deve, il tuo nome vero. Ti sarà dato da una persona dotata di vero Potere, un mago o uno stregone, perché questi sono il loro Potere e la loro arte: dare il nome. Ed è un nome che probabilmente non dirai a nessuno, perché il tuo nome vero è la tua vera personalità. È la tua forza e il tuo Potere, ma per un altro è solo un rischio e un peso, e lo si dà solo in un momento di grande bisogno, a una persona in cui si nutre profonda fiducia. Un grande mago, però, che conosce tutti i nomi, può saperlo anche se tu non glielo dici.

«Dunque Ogion, che è un grande mago, attendeva sulla soglia della piccola casa vicino al molo, e la vecchia venne ad aprirgli la porta. Ogion fece un passo indietro e sollevò il suo bastone di quercia, e alzò anche la mano, così, come per proteggersi dal calore del fuoco, e con paura e stupore pronunciò a voce alta il suo nome vero: ‘Drago!’

«In quel primo momento — cosi mi disse — ciò che aveva visto sulla soglia non era una donna, ma la fiamma e la bellezza del fuoco, e un luccichio di scaglie e artigli dorati, e i grandi occhi del drago. Dicono che non si deve mai guardare un drago negli occhi.

«Poi l’immagine sparì, e Ogion non vide più il drago, bensì una vecchia ferma sulla soglia, un po’ curva; una vecchia pescatrice, alta e con le mani grandi. La vecchia lo osservò come lui l’aveva osservata. E gli disse: ‘Entrate, Lord Ogion’.

«Così, lui entrò. La vecchia gli servì zuppa di pesce, e mangiarono e poi chiacchierarono accanto al fuoco. Ogion pensava che quella donna fosse capace di cambiare la sua forma, ma non sapeva, capisci, se era una donna che poteva trasformarsi in drago o un drago capace di trasformarsi in donna. Perciò le chiese, infine: ‘Siete donna o drago?’ La donna non glielo disse, ma rispose: ‘Vi canterò una ballata che conosco’».

Therru aveva un sassolino nella scarpa. Si fermarono per toglierlo, e poi proseguirono, ma molto lentamente, perché la strada era ripida, e correva tra due argini scavati nella pietra, in mezzo a un bosco dove le cicale cantavano al calore dell’estate. Tenar incominciò a narrare.

«Questa è la ballata che la donna cantò a Ogion.

«Quando Segoy sollevò dal fondo del mare le isole del mondo, all’inizio del tempo, i draghi furono le prime creature che nacquero dalla terra e dal vento che soffiava su di essa. Così ci dice il Canto della Creazione. Ma la ballata della donna diceva anche che allora, all’inizio, draghi e uomini erano una cosa sola. Erano un solo popolo, una sola razza, con le ali, e parlavano la Lingua Vera.

«Erano bellissimi, e forti, e saggi, e liberi.

«Ma col tempo niente può essere senza divenire. Perciò, tra il popolo dei draghi, alcuni si appassionarono sempre più al volo e alla vita selvaggia, e si occuparono sempre meno del lavoro di creare, o di studiare e apprendere, o di case e città. Volevano solo volare sempre più lontano, cacciare e divorare le loro prede, ignoranti e spensierati, alla ricerca di una libertà sempre maggiore.

«Altri draghi si disinteressarono del volo, e raccoglievano invece tesori, ricchezze, oggetti e conoscenze. Costruirono case, fortezze in cui chiudere i loro tesori, per poter passare ai figli tutto quel che possedevano, cercando sempre di aumentarlo. E cominciarono a temere i draghi selvaggi, che potevano arrivare in volo e distruggere tutto il loro amato tesoro, bruciandolo con un soffio di fiamma, per disinteresse e per ferocia.

«Quelli selvaggi, invece, non avevano paura di niente. Poiché erano ignoranti e troppo temerari, non riuscivano a salvarsi quando quelli che non volavano li intrappolavano come animali e li uccidevano. Allora, altri selvaggi arrivavano in volo per dare fuoco alle loro bellissime case, per distruggere e per uccidere. Così i più forti, sia dei selvaggi sia dei saggi, furono i primi a uccidersi fra loro.

«I più timorosi, invece, si sottrassero alla lotta, e quando non poterono più nascondersi, si allontanarono. Usarono le loro capacità di costruire per fabbricarsi delle barche, e fecero vela a est, lontano dalle Isole Occidentali dove i grandi draghi alati si facevano guerra tra le loro torri in rovina.

«Così, coloro che erano stati insieme draghi e uomini cambiarono, divennero due popoli: i draghi, in numero sempre minore, sempre più selvatici, isolati dalla loro avidità e dalla loro collera nelle lontane isole delle Terre Occidentali; e gli uomini, sempre più numerosi nelle loro ricche città, che riempirono le Isole Interne e tutto il Sud e il Levante. Tuttavia alcuni di loro salvarono la conoscenza dei draghi, la Lingua Vera della Creazione, e questi sono oggi i maghi.

«Ma tra noi ci sono coloro che sanno che un tempo eravamo draghi, e anche tra i draghi alcuni conoscono la loro parentela con noi. E questi dicono che quando da un unico popolo ne stavano derivando due, alcuni di loro, ancora in parte uomini e in parte draghi, ancora alati, non si recarono a est, ma a ovest, sopra il Mare Aperto, fino a giungere dall’altra parte del mondo. Laggiù vivono in pace, grandi bestie alate che sono insieme selvagge e sapienti, con la mente di uomo e il cuore di drago. E così cantò la pescatrice:

Più a ponente del tramonto del sole
al di là di ogni terra
la mia gente ancora danza
su un vento diverso da questo.

«Ecco dunque la storia cantata dalla donna di Kemay, che terminava con le parole di questo canto.

«Allora Ogion le disse: ‘Quando ti ho visto, ho visto la tua vera essenza. La donna che siede dirimpetto a me, dall’altra parte del focolare, è solo la veste da lei portata’.

«Ma lei scosse la testa e rise, e non volle dire altro che: ‘Oh, se solo fosse così semplice!’

«Perciò, dopo qualche tempo, Ogion fece ritorno a Re Albi. E quando mi raccontò la storia, mi disse: ‘Da quel giorno mi sono sempre chiesto se qualcuno, uomo o drago, sia andato più a ponente del tramonto del sole, e chi siamo noi, e quale sia la nostra forma completa’… Hai fame, Therru? C’è un buon posto per sedersi, mi sembra, alla prossima curva. Forse da lassù potremo vedere Porto Gont, ai piedi del monte. È una grande città, perfino più grande di Valmouth. Arrivate alla curva ci siederemo, e riposeremo un poco.»

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