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Gene Wolfe: L'ombra del Torturatore

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Gene Wolfe L'ombra del Torturatore
  • Название:
    L'ombra del Torturatore
  • Автор:
  • Издательство:
    Nord
  • Жанр:
  • Год:
    1983
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    88-429-0490-2
  • Рейтинг книги:
    4 / 5
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L'ombra del Torturatore: краткое содержание, описание и аннотация

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Con questo L’ombra del torturatore ha inizio uno dei cicli di science-fantasy più osannati negli ultimi venti anni. In uno stile elegante e raffinato, lirico e sublime, Gene Wolfe ci narra le cronache di Severian il Torturatore, in un futuro talmente distante da rassomigliare al passato più remoto. Alla corporazione dei torturatori non si accede per diritto di nascita: solo i figli delle vittime possono esservi ammessi. Nella grande cittadella di incorruttibile metallo grigio il giovane Severian e i suoi compagni apprendisti studiano per raggiungere il rango di Maestro Torturatore, imparando gli antichi misteri della corporazione, legati al giuramento di torturare e uccidere i nemici dell’Autarca. Ma con l’arrivo di Thecla, una donna bella e intelligente che per le sue indiscrezioni ha perso il posto nel circolo interno delle concubine della Casa Assoluta, la vita cambierà per Severian. La sua disobbedienza alle regole che gli sono state insegnate è causa del suo esilio dalla Città: accompagnato solo dalla mitica spada del torturatore, Terminus Est, donatagli dal suo maestro, Severian si accinge ad un lungo viaggio verso la lontana Thrax, la Città delle Stanze senza Finestre. Un viaggio che lo porterà attraverso l’immensa Città e gli farà incontrare personaggi strani e misteriosi come i gemelli Agia e Agilus, che lo spingeranno a un arcano duello sul Campo Sanguinario, o ancora Dorcas, la misteriosa ragazza che gli apparirà sulle rive del Lago degli Uccelli, dove giacciono i morti. Un viaggio lungo e pieno di insidie che lo condurrà all’Artiglio del Conciliatore, la gemma dai poteri miracolosi, e, chissà, forse allo stesso trono della Casa Assoluta.

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V

L'UOMO CHE PULIVA I QUADRI E ALTRI

La Festa di Santa Katharine per la nostra corporazione è la più importante, è la festa che ricorda la nostra eredità, il giorno nel quale gli artigiani diventano maestri (se lo diventano) e gli apprendisti diventano artigiani. Rimando la descrizione delle cerimonie fino a quando non parlerò della mia elevazione; comunque, nell'anno di cui sto parlando, quello dello scontro accanto alla tomba, Drotte e Roche vennero nominati artigiani e io diventai il capitano degli apprendisti.

L'importanza di tale carica non mi colpì fino al termine del rito. Ero seduto nella cappella in rovina a gustarmi lo spettacolo e non pensavo molto al fatto che alla fine delle cerimonie io sarei stato il più anziano degli apprendisti.

Ma a poco a poco fui colto da un senso di inquietudine. Ero infelice ancora prima di rendermi conto che non ero più felice e mi sentivo oppresso da responsabilità che ancora non mi erano ben chiare. Mi sovvenni delle difficoltà che aveva incontrato Drotte nel farci mantenere l'ordine. Io avrei dovuto fare altrettanto ma senza la sua forza, e senza nessuno accanto a me come era stato per lui Roche… un luogotenente della sua stessa età. Quando l'ultimo canto si spense, il Maestro Gurloes e il Maestro Palaemon, nascosti dietro le maschere venate d'oro, oltrepassarono lentamente la soglia mentre i vecchi artigiani si issavano sulle spalle i loro nuovi colleghi, Drotte e Roche, ed estraevano dalle borse appese alle cinture i fuochi artificiali da lanciare all'aperto; a quel punto ero finalmente riuscito a farmi coraggio e ad abbozzare un piano rudimentale.

Era compito degli apprendisti quello di servire a tavola e prima di assolverlo dovevamo levarci i vestiti puliti e relativamente nuovi che ci erano stati dati per la cerimonia. Quando l'ultimo mortaretto fu fatto esplodere e i matrossi ebbero squassato il cielo con il cannone più grosso della Grande Fortezza in segno di amicizia, accompagnai i miei pupilli nel dormitorio (e mi pareva che già tutti mi guardassero con aria scocciata), chiusi la porta e la sbarrai con una branda.

Il più vecchio dei ragazzi dopo di me era Eata e fortunatamente in passato eravamo stati abbastanza amici da non farlo sospettare di nulla prima che gli fosse impossibile opporsi in maniera efficace. Lo afferrai per la gola e gli feci sbattere la testa contro la paratia per cinque o sei volte, quindi lo feci cadere con un calcio. E ora — gli domandai, — vuoi essere il mio vice? Rispondi!

Non riusciva a parlare ma annuì.

— Bene. Allora io penso a Timon. Tu veditela con quello più forte dopo di lui.

Nel tempo di cento respiri (cento respiri molto veloci) i ragazzi accettarono la mia autorità e trascorsero tre settimane prima che qualcuno di loro avesse il coraggio di disubbidirmi, e anche allora non ci furono mai rivolte collettive, soltanto episodi individuali.

In qualità di capitano degli apprendisti avevo nuove mansioni e godevo di maggiore libertà. Dovevo assicurarmi che gli artigiani in servizio ricevessero i pasti caldi e guidavo i ragazzi che trasportavano i vassoi destinati ai clienti. In cucina incitavo i miei ragazzi perché si dessero da fare, in classe li facevo studiare. Frequentemente mi veniva dato l'incarico di portare messaggi in parti lontane della Cittadella e talvolta anche di trattare qualche affare per conto della corporazione.

In tal modo arrivai a conoscere tutte le strade principali e diversi angoli non molto frequentati: granai abitati da enormi bidoni e da gatti dall'aria demoniaca; bastioni spazzati dal vento e affacciati su catapecchie in rovina; le pinacoteche, con la grande galleria sovrastata dal tetto a volta di mattoni e il pavimento di pietre ricoperto da tappeti, e fiancheggiata da pareti nelle quali si aprivano arcate scure che lasciavano vedere le sale laterali, colme di quadri quanto la galleria stessa.

Molti quadri erano talmente vecchi e rovinati dal fumo che non riuscivo nemmeno a distinguerne il soggetto, di altri invece non comprendevo il significato: un ballerino con due ali che parevano sanguisughe, una donna che teneva in mano un pugnale e sedeva sotto una maschera funebre. Un giorno, dopo aver percorso quasi una lega in mezzo a quei dipinti enigmatici, mi imbattei in un vecchio appollaiato in cima a un'alta scala. Avrei voluto domandargli delle informazioni, ma mi sembrava tanto assorto nel suo lavoro che mi dispiaceva disturbarlo.

Il quadro che stava pulendo raffigurava un personaggio in armatura immerso in un panorama desolante. Non si vedevano armi, ma l'uomo reggeva un'asta con una strana bandiera rigida. La visiera dell'elmo era interamente d'oro, priva di aperture per gli occhi e per la ventilazione, e sulla sua superficie levigata si rifletteva il deserto senza vita.

Quel guerriero mi colpì profondamente, anche se non riuscii a capire il perché né quale sentimento mi ispirasse. Istintivamente provavo l'impulso di prendere quel quadro e trasportarlo… non nella necropoli, ma inuna delle foreste montane delle quali la necropoli era (e lo sapevo già a quell'epoca) un'immagine idealizzata e falsata. Il posto di quel dipinto era tra le piante, con la cornice posata sull'erba novella.

— … e così — udii una voce alle mie spalle, — sono scappati tutti. Vodalus ha ottenuto quello che voleva, vedi.

— Tu — scattò l'altro, — cosa stai facendo qui?

Mi voltai e vidi due armigeri che indossavano vesti colorate molto simili a quelle degli esultanti. — Ho una comunicazione per l'archivista — spiegai, mostrando la busta.

— Va bene — disse quello che mi aveva interrogato. — Sai dove si trovano gli archivi?

— Stavo per domandarlo, sieur.

— Allora non sei il messaggero più indicato per portare la lettera. Dalla a me e la affiderò a un paggio.

— Spiacente, sieur, ma la devo consegnare di persona.

— Non te la prendere tanto con questo giovanotto, Racho — intervenne l'altro armigero.

— Tu non l'hai riconosciuto vero?

— E tu?

L'uomo chiamato Racho annuì. — Da che zona della Cittadella provieni, messaggero?

— Dalla Torre di Matachin. Il Maestro Gurloes mi ha inviato dall'archivista.

L'espressione dell'altro armigero si rabbuiò. — Allora sei un torturatore.

— Solamente un apprendista, sieur.

— Non mi stupisce più che il mio amico voglia allontanarti. Segui la galleria fino alla terza porta, quindi svolta e vai avanti per un centinaio di passi, sali la scala fino al secondo piano e prendi il corridoio a sud che conduce alla doppia porta in fondo.

— Grazie — dissi, incamminandomi nella direzione indicatami.

— Aspetta un istante. Se vai adesso, saremmo costretti a guardarti.

— Preferisco averlo davanti che alle nostre spalle — disse Racho.

Aspettai, con una mano appoggiata alla scala, finché i due non furono scomparsi dietro un angolo.

Simile a uno di quegli amici per metà invisibili che nei sogni ci parlano dalle nuvole, il vecchio disse: — Così sei un torturatore, vero? Sai, non sono mai entrato nella vostra sede. — Aveva gli occhi stanchi e mi faceva venire in mente le tartarughe che talvolta mettevamo in fuga lungo le rive del Gyoll; il naso e il mento si sfioravano.

— Mi auguro di non doverti mai incontrare là — dissi, educatamente.

— Non devi preoccuparti. Cosa potreste fare a uno come me? Il mio cuore si fermerebbe subito, così! — Lasciò cadere la spugna nel secchio e si sforzò di far schioccare le dita bagnate ma senza riuscirvi. — Comunque, so dove si trova. Dietro la Fortezza delle Streghe, vero?

— Infatti — dissi io, un po' sorpreso del fatto che le streghe fossero più conosciute di noi.

— Mi sembrava. Ma non ne parla mai nessuno. Sei infastidito per quegli armigeri e hai ragione; comunque dovresti conoscere come sono fatti, quelli. Vorrebbero essere uguali agli esultanti e non ci riescono. Hanno paura della morte, paura di fare del male e paura di darlo a vedere. Per loro è difficile.

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