Gene Wolfe - La cittadella dell'Autarca

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La cittadella dell'Autarca: краткое содержание, описание и аннотация

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Nei romanzi precedenti del ciclo avevamo visto Severian viaggiare verso Thrax, la città del suo esilio, armato solo della mitica spada Terminus Est, ultimo dono del suo Maestro Torturatore. Nel corso del viaggio aveva incontrato numerosi personaggi strani e affascinanti, come la dolce e misteriosa Dorcas, i due gemelli Agia e Agilus, la bellissima Jolenta, il dottor Talos, ma soprattutto era entrato in possesso dell’Artiglio del Conciliatore, una gemma dai poteri miracolosi appartenuta a una figura leggendaria del passato. Arrivato a Thrax, Severian si era infine accorto che la Città delle Stanze senza Finestre non era la sua meta definitiva: strani portenti infatti gli indicano che un destino futuro molto elevato lo attende. E in questo quarto e definitivo volume della serie, finalmente Severian saprà cosa gli è stato predestinato dalla sorte. Il suo viaggio lungo e periglioso lo riporterà proprio a Nessus, la città da cui era stato bandito, con una missione che determinerà il fato dell’intera Urth e la nascita del Nuovo Sole e di una nuova era.

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Dormii fino a tardi, avvolto nel mio mantello. Esiste una forma di compensazione concessa dalla natura a coloro che vengono sottoposti a dure traversie, e cioè il fatto che disagi minori, per i quali persone che hanno fino ad allora vissuto comodamente, si lamenterebbero, appaiono invece confortevoli. Parecchie volte prima di alzarmi, mi destai a mezzo e mi congratulai con me stesso al pensiero di come quella notte fosse trascorsa tranquilla, in confronto a quelle passate sulle montagne.

Finalmente, la luce del sole ed il canto degli uccelli mi svegliarono del tutto. Dall’altra parte del fuoco ormai spento, il soldato si agitò e, mi parve, mormorò qualcosa. Mi alzai a sedere: l’uomo aveva gettato la coperta da un lato e giaceva con il volto girato verso il sole. Era una faccia pallida, con guance incavate, ombre scure sotto gli occhi e pieghe profonde che scendevano lungo la bocca, ma era la faccia di un vivo: gli occhi erano chiusi, ed il respiro scaturiva dalle narici.

Per un momento, ebbi la tentazione di fuggire, mentre il soldato dormiva. Avevo ancora il falcione… feci per rimetterlo a posto ma poi decisi di tenerlo per timore che il soldato se ne servisse per attaccarmi. Il coltello sporgeva ancora dal tronco, e mi fece pensare alla lama ricurva di Agia conficcata nell’imposta di Casdoe. Lo riposi nel fodero alla cintura dell’uomo, soprattutto perché mi vergognavo di pensare che io, armato di spada, potessi aver paura di un uomo munito solo di un coltello.

Le palpebre si agitarono, ed io indietreggiai, rammentando la volta in cui Dorcas si era spaventata, trovandomi chino su di lei al suo risveglio. Per non apparire una figura cupa, gettai indietro il mantello, mostrando le braccia ed il petto nudo, ora abbronzati dal sole di tanti giorni. Potevo sentire il ritmo del respiro, e, quando esso passò dal sonno alla veglia, mi parve un passaggio altrettanto miracoloso quanto quello dalla morte alla vita.

Gli occhi vacui come quelli di un bambino, il soldato si levò a sedere e si guardò intorno. Le sue labbra si mossero ma ne scaturirono solo suoni privi di senso. Gli parlai, tentando di rendere amichevole la mia voce: egli ascoltò, ma non parve comprendere, ed io rammentai quanto fosse rimasto intontito l’ulano che avevo fatto rivivere sulla strada della Casa Assoluta.

Desiderai di avere acqua da offrirgli, ma non ce n’era. Trassi un pezzo della carne salata che avevo preso dal suo zaino, la spezzai in due e la divisi con lui al posto dell’acqua.

L’uomo masticò e parve stare un po’ meglio.

— Alzati — gli dissi, — dobbiamo trovare qualcosa da bere.

Prese la mia mano e mi permise di tirarlo in piedi, ma riuscì a stento a rimanervi. I suoi occhi, inizialmente tanto calmi, si fecero più selvaggi nel divenire più attenti, ed io ebbi la sensazione che avesse il timore che gli alberi potessero venirci addosso come un branco di leoni, anche se non estrasse il coltello né reclamò indietro la spada.

Quando gli ebbi fatto fare tre o quattro passi, barcollò e quasi cadde. Gli permisi di appoggiarsi al mio braccio, e, insieme, ci facemmo largo verso la foresta fino alla strada.

III

IN MEZZO ALLA POLVERE

Non sapevo se dovevamo andare a nord oppure a sud. Da qualche parte, a nord, c’era l’esercito degli Asciani, ed era possibile che, se ci fossimo avvicinati troppo alle loro linee, rimanessimo presi in qualche rapida manovra. Eppure, quanto più ci fossimo spinti a sud, tanto meno probabile sarebbe stato riuscire a trovare qualcuno che ci potesse aiutare, e molto più probabile essere invece arrestati come disertori. Alla fine, mi diressi a nord: senza dubbio, agii soprattutto per abitudine, e, ancora oggi, non saprei dire se feci bene o male.

La rugiada si era già asciugata sulla strada, e la superficie polverosa non recava alcuna impronta. Su entrambi i lati, per tre passi e più di profondità, la vegetazione era di un grigio uniforme. Ben presto, uscimmo dalla foresta, e la strada scese lungo una collina e raggiunse un ponte che sormontava un piccolo fiume sul fondo di una valle costellata di rocce.

A quel punto, lasciammo la strada e scendemmo nella valle per bere e bagnarci la faccia. Non mi ero più raso da quando avevo voltato le spalle al Lago Diuturna, e, sebbene non ne avessi visto uno quando gli avevo preso di tasca acciarino ed esca, mi azzardai a chiedere al soldato se avesse un rasoio.

Cito qui questo insignificante particolare perché quella fu la prima cosa da me detta che egli parve comprendere: annuì, poi, infilata una mano sotto l’usbergo, estrasse una di quelle piccole lame usate dalla gente di campagna, rasoi che i loro fabbri ricavano da metà di consunti ferri per buoi. Lo sfregai contro la pietra per affilare che portavo ancora con me e poi sulla gamba dello stivale, quindi chiesi al soldato se aveva un pezzo di sapone. Se ne aveva, non riuscì a capirmi, e, dopo un momento, sedette su una roccia da cui poteva osservare l’acqua, ricordandomi moltissimo Dorcas. Desideravo fargli qualche domanda sui Campi della Morte, per apprendere tutto ciò che egli rammentava di quel tempo che, forse, è oscuro solo per noi, ma invece mi lavai la faccia con la fredda acqua del fiume e mi sfregai le guance ed il mento meglio che potevo. Quando rinfoderai il rasoio e tentai di restituirglielo, il soldato parve non sapere che cosa farsene, per cui lo tenni io.

Per la maggior parte di quella giornata camminammo, e parecchie volte venimmo fermati e interrogati, mentre molto più spesso fummo noi a fermare e ad interrogare gli altri. A poco a poco, sviluppai un’elaborata bugiano ero il littore di un giudice civile che accompagnava l’Autarca; avevamo incontrato quel soldato lungo la strada ed il mio signore mi aveva ordinato di provvedere a lui, ma, dato che l’uomo non riusciva a parlare, non sapevo da quale unità provenisse. Quell’ultimo particolare era più che vero.

Attraversammo altre strade e, di tanto in tanto, le seguimmo. Due volte, raggiungemmo grandi accampamenti dove decine di migliaia di soldati vivevano in tendopoli; in entrambi i campi, coloro che si occupavano dei feriti mi dissero che, mentre avrebbero potuto fasciare le ferite del mio compagno se questi fosse sanguinante, non si potevano addossare la responsabilità della sua presenza nelle condizioni in cui era. Quando mi trovai a parlare con il responsabile del secondo campo, non chiesi più di essere indirizzato alle Pellegrine, ma soltanto che mi fosse indicato un luogo in cui avremmo potuto trovare rifugio. Era quasi notte.

— C’è un lazzaretto, a tre leghe da qui, dove potrebbero accogliervi. — Lo sguardo del mio informatore si spostò dall’uno all’altro di noi, e parve esprimere altrettanta simpatia per me quanta ne ispirava il mio compagno, che rimaneva silenzioso ed attonito. — Andate ad ovest ed a nord fino a quando non vedrete sulla destra una strada che passa fra due grossi alberi. È larga circa la metà di quella che avete percorso: seguitela. Sei armato?

Scossi il capo; avevo riposto il falcione del soldato nel suo fodero.

— Sono stato costretto a lasciare la spada presso i servitori del mio signore: non avrei potuto trasportarla e sorreggere al contempo quest’uomo.

— Allora devi stare attento alle bestie. Sarebbe meglio se tu avessi un’arma che spara, ma non ho nulla del genere da darti.

Mi volsi per andare, ma l’uomo mi fermò, posandomi una mano sulla spalla.

— Abbandonalo, se vieni attaccato — mi disse, — e non sentirti troppo in colpa se sarai costretto a lasciarlo: ho visto altri casi come il suo prima d’ora, e non è probabile che si riprenda.

— Lui si è sempre ripreso — replicai.

Anche se non intendeva permetterci di rimanere né poteva fornirci un’arma, quell’uomo ci fece tuttavia avere qualcosa da mangiare, e così partii in uno stato d’animo più allegro di quanto non fossi stato da parecchio tempo. Ci trovavamo in una valle le cui colline occidentali avevano coperto il sole più di un turno di guardia prima, e, mentre camminavo a fianco del soldato, scoprii che non era più necessario che lo sorreggessi per un braccio. Adesso potevo lasciarlo andare, ed egli continuava a camminare al mio fianco come un amico. Il suo volto non somigliava affatto a quello di Jonas, che era lungo e stretto, ma una volta, nell’osservarlo di profilo, scorsi in lui qualcosa che mi fece venire in mente Jonas, e mi sentii quasi come se avessi visto un fantasma.

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