Kyel si rivolse a Domina Pearl, con voce querula. «Dov’è Ducon? Cosa gli hai fatto? L’hai mandato via come Jacinth e Lydea?»
«Trovatelo!» latrò Domina Pearl alle serve. «Lasciate lì quelle lenzuola. Andate a cercare Ducon Greve.»
«Lasciatemi tentare un’altra cosa», disse il medico, preoccupato, aprendo la borsa. «Tu, ragazza! Porta il principe nell’altra camera. Ma dov’è quella ragazza? Che sia… be’, ci penso io.» Prese in braccio il bambino in lacrime e si avviò verso la camera adiacente. «Stupida come una gallina senza testa.»
«Tu cerca di non perdere la tua», mugolò acidamente la Perla Nera.
Il principe non si placò, e Mag, cieca e immobile sotto le lenzuola, non osò spostarsi da lì, finché a un certo punto si accorse che Ducon Greve era entrato nella camera. Si chiese come fossero riusciti i servi a distogliere la sua attenzione da ciò che stava facendo. Dietro di lui vennero alcuni uomini, che suppose fossero guardie, perché sentì Domina Pearl ordinare: «Due uomini alla porta del principe, e altri due in corridoio. Lasciate le porte aperte per tutto il tempo. Voi, Nobile Ducon, siete pregato di restare con lui fino al mattino».
Il giovane mormorò qualcosa; stava parlando col principe, che si era finalmente acquietato.
Mag trattenne il respiro e rimase in ascolto. Ma neppure le sue orecchie addestrate, capaci di sentire il fruscio di un granello di polvere nella strada mentre lei origliava da sotto, captarono il rumore dei passi della Perla Nera quando costei se ne andò.
All’alba le serve vennero a prelevare la roba per la lavanderia, ma le lenzuola, che erano scivolate pian piano sotto il letto quando la luce nella camera era stata spenta, nel frattempo erano uscite dalla porta sulle braccia di una serva stranamente vestita, che doveva essersi messa addosso l’uniforme di sua nonna e non sembrava conoscere l’uso del pettine. Nessuna delle serve disse parola, perché il principe dormiva ancora e l’attraente bastardo, vestito e ben sveglio, le azzittì con un’occhiata severa. Le lenzuola precedettero le altre serve al piano di sotto e scomparvero per giorni, finché un’inserviente le trovò in un armadio delle cucine, ficcate dentro una grossa zuppiera.
La cerimonia dell’incoronazione fu semplice e breve, rispetto alle tradizionali usanze di Ombria, ma sembrò interminabile a Ducon Greve. Data l’età e la scarsa capacità di sopportazione del giovane principe, Camas Erl aveva tagliato molte parti secondarie del rituale, compresa la parata del governatore appena incoronato attraverso la sua città. Considerato l’umore cinico e disperato della gente, Ducon la giudicò una decisione prudente.
Nella grande sala, guardò i nobili sfilare l’uno dopo l’altro davanti a Kyel, per giurargli fedeltà e dichiarare che riponevano in lui tutta la loro fiducia. Quelle parole rituali, ripetute più volte, finirono per sembrargli monete false gettate al suolo nell’ombra della Perla Nera. Nessuno aveva più fiducia in niente, se non in un futuro incerto e sgradevole, e l’unica fedeltà che lì veniva offerta era veritiera quanto poteva esserlo quella nata dalla paura.
L’espressione torpida del bambino cambiò solo una volta, quando fu Ducon a inginocchiarsi dinanzi a lui. Nei suoi occhi apparve una luce di sollievo e di speranza. Ascoltò con attenzione il giuramento rituale, con l’aria di prendere alla lettera ogni parola e di aspettarsi che Ducon avrebbe tenuto fede a quell’impegno.
La vedova nera che giorno dopo giorno avvolgeva più strettamente Kyel nella sua tela stava accanto al trono, e Ducon intuì che non ascoltava neppure le parole dei nobili; ciò che le interessava era l’espressione delle facce, il tono delle voci, i sottintesi che c’erano dietro, e si stava stampando nella memoria il nome di tutti quelli che non le erano sembrati abbastanza spaventati da restare ben lontani da ogni forma di protesta.
La nervosa cerimonia d’incoronazione fu seguita da un pranzo ufficiale e poi dal ballo di gala, entrambi alquanto lugubri. Tutti danzarono doverosamente, per tenere in piedi l’illusione di continuità e di speranza; nessuno, per quanto disgustato da quell’atmosfera, pretese di sapere, con precisione, cosa si stesse celebrando. Ducon restò in un punto dove Kyel poteva vederlo, a un tavolo presso il trono. Camas Erl, con la lunga chioma castana scarmigliata come se per tutta la durata della cerimonia si fosse messo le mani nei capelli, venne a fermarsi accanto a lui.
«È stata anche troppo lunga», gli sussurrò, scrutando accigliato il nuovo pupillo. Kyel sedeva su un trono coperto di fiori e seta dorata, con i piedi penzoloni, gli occhi gonfi dopo i pianti di quella notte, e aveva in precario equilibrio sulla testa una corona frettolosamente modificata sulle sue misure. La Perla Nera continuava a stare accanto a lui. Negli occhi del bambino lampeggiava una rabbia trattenuta a stento. «Ho amputato i discorsi dei ministri e delle autorità cittadine; ho eliminato l’intero rituale dell’incoronazione del reggente, salvo quell’unica frase. Ho frugato nella storia di Ombria fino all’epoca più lontana; questa cerimonia è stata rozza come quelle dei primi principi barbari. E guardalo, adesso. Si può quasi sentire l’odore del fulmine che sta per esplodere.»
Ducon bevve un sorso di vino. «È stata un’esperienza dura, in queste circostanze», disse sottovoce. «Il mondo gli è appena crollato addosso.»
«Vai da lui.»
Il giovane scrollò le spalle. «A lei non piacerebbe.»
Il tutore lo guardò con aria di rimprovero. «Preferisci vederlo in preda a un attacco isterico?»
«Forse nessuno, qui, può permettersi di essere onesto», replicò Ducon, ma depose il boccale e andò accanto a Kyel. Poté sentire la Perla Nera rizzare il pelo nel vederlo lì; perfino la sua ombra sembrava essersi irrigidita. Lui si chinò ad appoggiare una mano sulla spalla del bambino, accostando il volto al suo. «Porta pazienza. Tra poco sarà tutto finito.»
Né Domina Pearl, né il principe aprirono bocca. La donna, con le labbra piegate in quello che lei pensava fosse un sorriso, gli lanciò un’occhiata d’avvertimento: Lui è mio, ora. Qui siamo in pubblico. I suoi occhi devono guardare me. Nelle pupille di Kyel brillava invece la luce minacciosa di un incipiente attacco di nervi, provocato dalla perdita del padre e delle persone care, e da tutti i cambiamenti che avevano sconvolto la sua vita. Il bambino stava per scoppiare in lacrime furiose e dare in escandescenze.
La mano di Ducon si strinse sulla sua spalla. «Disegnalo per me», sussurrò con voce intensa. «Me l’hai promesso.»
Kyel deglutì, fissando le coppie che ballavano svogliatamente. Domina Pearl ebbe l’imprudenza di far avvicinare con un gesto un cameriere che portava un vassoio di paste. Nel vederselo mettere davanti al viso, il principe alzò verso di lei uno sguardo stupito, sprezzante, ma tenne a freno l’impulso di rovesciarlo sul pavimento con un calcio.
Ducon tornò di nuovo tra i cortigiani. Conversò educatamente, ballò con un paio di anziane prozie, le restituì ai loro malinconici consorti, ed evitò con cura il pericolo rappresentato dai giovani cospiratori, i quali gli diedero la caccia da un gruppo all’altro con aria fiera e ansiosa ma non riuscirono mai a parlargli in privato.
La terza volta se ne liberò lasciandoli in un gruppo di ragazze, le quali avevano voglia di ballare e li separarono uno dall’altro. Ducon andò a fermarsi tra una dozzina di vecchi e innocui cortigiani le cui uniformi militari, cariche di decorazioni, avevano lo scopo — o così essi sembravano augurarsi — di distrarre gli altri dall’espressione cupa delle loro facce. Erano i rappresentanti delle più antiche e ricche famiglie legate alla corte di Ombria; molti di loro avevano ricoperto la carica di consigliere o di ministro nel governo del defunto principe. Domina Pearl, trasformando Kyel in una marionetta manovrata da lei, aveva fatto delle marionette di tutti loro. Quando Ducon li raggiunse stavano però chiacchierando pigramente di cose assai lontane dalle loro preoccupazioni: le riserve di caccia, le mute di segugi, le rendite delle terre intorno a Ombria e i problemi con i mezzadri da cui se le facevano coltivare. Un vassoio di vini e paste che aveva seguito Ducon fin lì passò tra di loro.
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