A un tratto, un cugino di terzo o quarto grado scostò una sedia e si mise a sedere. Ducon cercò di ricordare il suo nome. Quei parenti gli sembravano tutti uguali, scuri di occhi e di capelli, vagamente somiglianti al defunto principe. Mimetismo protettivo, suppose lui.
«Tu potresti andare al governo, Ducon», disse il cugino seduto, a bassa voce. «Potresti essere tu il reggente, invece di Domina Pearl.»
Quelle parole gli schiarirono subito la mente. Spostò lo sguardo oltre i compagni, sulla folla degli altri avventori, accarezzando il foglio e preparando il carboncino, come in cerca di un’ispirazione. Quelli seduti ai tavoli accanto discutevano appassionatamente, dimentichi di tutto il resto. Nessuno aveva l’aria di ascoltare le conversazioni degli altri, salvo forse la donna snella che vestiva un abito di broccato nero fuori moda, dal cui enorme cappello simile alla testa di un fungo pendeva una veletta che le nascondeva il viso. Stava appoggiata al muro, a poca distanza da lui, e si faceva languidamente aria con una mano chiusa in un guanto di pizzo nero. Di fronte a lei due uomini con il volto arrossato e nastri neri sulle maniche chiacchieravano, a voce alta e con enfasi, di due argomenti del tutto diversi. Lei sembrava allontanare da sé le loro parole con la mano, come se fossero zanzare.
Ducon schizzò con gesti rapidi la sua figura, pur avendo solo quella mano e poco d’altro a identificarla come una persona umana. «Voialtri non conoscete Domina Pearl», disse. «È una vecchia tarantola astuta, e tesse la sua tela a Ombria da più tempo di quanto chiunque possa ricordare.»
«Non potrà vivere per sempre.»
Lui inarcò un sopracciglio, disegnando una delle spille del largo cappello nero. «Io credo che sia morta un secolo fa. Ma ha trovato il modo d’imbrogliare la morte e mandare in giro le sue ossa per i suoi scopi.»
Una mano si posò sul suo polso, fermando il carboncino. «Ducon…» Il cugino si piegò verso di lui e le sue dita si strinsero. Aveva occhi blu, freddi e brucianti allo stesso tempo. «Per quanto tempo lascerà vivere Kyel Greve? Chi salirà al trono dopo di lui? Te lo dico io: uno di quei decrepiti prozii del bambino, che cadrebbe a pezzi se Domina Pearl lo guardasse storto. E questo sarebbe forse un bene per Ombria? Può darsi che tu sia di discendenza dubbia, da parte di padre, ma hai cervello, conosci Ombria, e sai come agisce Domina Pearl. Strappale il potere. Noi ti aiuteremo. Trova un modo, mandaci a dire come, e noi faremo tutto quello che vuoi.»
Ducon prese il carboncino con la mano libera e delineò il contorno del viso che gli sembrava di poter indovinare sotto la veletta. «Lei mi ucciderebbe», disse seccamente. «Oppure ucciderebbe Kyel, se io la minacciassi.»
«In tal caso», disse il cugino, con un tono che sembrò un sospiro, «Kyel non ti starebbe più tra i piedi.»
Il carboncino di Ducon si fermò. Il giovane scrutò quei fieri occhi blu, chiari come il peltro del boccale e altrettanto inespressivi. Finì il vino con un gesto brusco e si alzò.
«Questo non è il posto adatto per parlarne. Lei ha orecchi dappertutto, li fa crescere come funghi.» Toccò un braccio dell’altro. «Venite con me.»
Condusse il gruppo fuori dal locale e lungo le stradicciole affollate, fino al mare.
All’estremità di un vecchio molo incrostato d’alghe, dove potevano vedere attraverso le tavole sconnesse le onde rompersi tra i pali consunti sotto di loro, li lasciò parlare ancora. I magazzini della riva erano vuoti, e così anche quella zona del porto, dove c’erano soltanto due barche da pesca e una delle nere navi pirate che stava per attraccare ai moli ben sorvegliati di Domina Pearl. Intorno a Ducon stava una dozzina di giovani nobili dall’aria frustrata, che per qualche ragione a lui incomprensibile sembravano aspettarsi che fosse in grado di salvarli dalla Perla Nera.
«Perché io?» domandò, di punto in bianco. «Io sono il bastardo della Casa di Greve, uno che non può neanche dire chi è suo padre. Perché non uno di voi? O volete solo usarmi per liberarvi di Domina Pearl, e poi dichiararmi illegittimo?»
Nei loro occhi vide una genuina sorpresa. «Lo sappiamo benissimo che sei un bastardo», rispose con franchezza uno di loro. «Ma nessuno di noi è molto in alto nella linea di successione. Se vogliamo una cosa, dovremo prendercela. Ecco chi siamo noi. E nessuno dei nostri padri è abbastanza forte da contrastare quella donna. Gli eredi più vicini al trono sono altri, dei vecchi con un piede nella fossa, che tremano di paura al pensiero della facilità con cui Domina Pearl li seppellirebbe vivi. Chi altro può sfidarla, se non tu?»
«E come? Con un pennello? A lei basterebbe dare il mio nome a uno dei suoi pirati, se sospettasse che sto complottando per toglierla di mezzo. E non so cosa potrebbe fare a Kyel.»
«Kyel è una cosa sua, adesso», disse il cugino dagli occhi spietati. «Domina Pearl ha dieci anni di tempo prima che a lui cominci a spuntare la barba. Per allora sarà diventato un burattino dipendente dalla volontà di quella donna. Kyel è perduto per noi. Non puoi contare su di lui in nessun modo.»
Ducon tacque, ammutolito dalla verità di quelle parole. Poi si rese conto che loro credevano che li stesse valutando e soppesando, mentre spostava lo sguardo dall’uno all’altro. Sospirò. «Lasciamo da parte Kyel. Consideriamo un momento la Perla Nera. Quella donna ha un’origine misteriosa, e poteri che nessuno capisce. È senza scrupoli, imprevedibile, e ha fatto marcire Ombria come questo molo.» Si chinò a raccogliere una conchiglia incastrata tra le assi, e la gettò in mare. «Vi aspettate che io mi batta contro i suoi masnadieri?»
«Sì.»
«E con quali armi? Quali uomini?»
Gli altri tacquero, ma non si lasciarono dissuadere. Dopo un momento uno di loro scrollò le spalle. «Anche tu hai origini misteriose. E sei l’unico tra quanti abitano nel palazzo a non essere terrorizzato dal solo pensiero di quella donna. Tu trova il modo di liberare Ombria da lei, e noi ti aiuteremo. Ti sosterremo anche contro il volere dei nostri genitori e della Casa di Greve. Tu diventerai principe di Ombria, e noi ti riconosceremo tale. Poi potrai rimettere a nuovo questi moli e fare ciò che vorrai. Una volta Ombria era una bella città, grande e nobile. Noi non l’abbiamo mai vista così, ma i nostri padri ricordano il passato. Vogliamo che quei tempi ritornino.»
La nave dalle vele nere si avvicinava a terra. Ducon si rese conto che tutti loro erano ben visibili e riconoscibili a un pirata munito di cannocchiale.
«Siete ubriachi, per caso?» domandò. «Voi non avete un’idea di quanto sia pericolosa. Può darsi che non viviate abbastanza per tornare ai vostri letti, questa notte.»
La mano che lo afferrò per una spalla era quella forte e decisa del cugino dagli occhi blu. «Libera Ombria dalla Perla Nera. Aiutaci a riavere la nostra città. Tu lo farai, se sei un vero erede della Casa di Greve. Oppure morirai nel tentativo. Trova il modo, Ducon Greve.»
«Kyel…»
La mano s’indurì. «Lascialo perdere», disse sottovoce il cugino. «Non pensare a lui. Fai quello che devi per salvare Ombria. Quella donna non deve avere potere su di te attraverso il bambino. Non deve dominarti usandolo come ostaggio. Agisci per te stesso e per Ombria, non per lui. Lei ha messo le mani sul cuore del bambino, e ci metterà radici. Ti conviene aver paura di lui. Kyel potrebbe portarti alla morte.»
Lui si scostò da quella fervida presa, e guardò la nave. «Quella potrebbe portarci alla morte tutti quanti.»
«Devi darci una risposta, adesso.» C’era sia una minaccia, sia una supplica in quella richiesta.
Lui abbassò lo sguardo. Attraverso le assi spaccate del molo vide gli ultimi riflessi del sole al tramonto morire tra le acque torbide, mentre su di loro scendevano le ombre della sera. «Andatevene a casa», disse. «Dimenticate tutto ciò che mi avete detto. Quando avrò bisogno di voi, vi troverò. Ho disegnato tutte le vostre facce.»
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