Patricia McKillip - Il Maestro degli Enigmi di Hed

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Il Maestro degli Enigmi di Hed: краткое содержание, описание и аннотация

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La terra di Hed, è risaputo, non è mai stata una fucina di eroi. Tutti i suoi abitanti — compresi i principi che la reggono — sono contadini, ed anche Morgon, Signore di Hed, è un contadino. Ma non solo questo. Perché in un mondo da cui la magia è misteriosamente scomparsa in un remoto passato, e nel quale il sapere esoterico è affidato ai Signori degli indovinelli, Morgon può essere considerato un adepto, il miglior allievo della scuola di Caithnard, unico risolutore di un indovinello rimasto inspiegabile per oltre settecento anni. E poi Morgon ha tre stelle in fronte, identiche a quelle incise su un’arpa che solo lui può suonare e sull’elsa di una spada che solo lui può impugnare. Così, senza volerlo, il principe di Hed viene coinvolto in un viaggio fantastico e in un’avventura misteriosa, nel viaggio verso la montagna di Erlenstar assieme all’arpista del Supremo, per cercare risposta a una domanda che neppure lui ancora conosce. Con l’aiuto di Raederle, la donna che ama e per la quale ha vinto una sfida, Morgon affronterà un difficile cammino esistenziale e avventuroso, cercando la soluzione dell’enigma che lega passato e futuro, e combattendo Ohm, il mago corrotto che vuole alterare gli equilibri del mondo.

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Solo quando il silenzio fu tornato a pesare nel freddo che lo circondava Morgon s’accorse d’essere stato ferito a un braccio. Il sangue gli colava fino al polso. La sua spada, conficcata fra le costole del cambiaforma, si muoveva al ritmo dei suoi ultimi penosi ansiti di morte, e poi si immobilizzò. C’era sangue anche sull’elsa, e sulle tre stelle. La strana lampada azzurrina, rotta ma ancora accesa, era caduta a terra accanto a una mano del cambiaforma. Morgon fissò la spada stellata ed un brivido violento lo scosse da capo a piedi. Qualche istante dopo si mosse, schiacciò la lampada con un ansito di furia e vacillò fino alla parete. Appoggiò la fronte contro i mattoni scabri e chiuse gli occhi.

CAPITOLO UNDICESIMO

Il taglio lungo il suo braccio non si sarebbe rimarginato prima di due settimane, e sulle cicatrici-vesta della sua mano sinistra vi sarebbero state altre cicatrici, causate dalla lama della spada stellata. Morgon non pronunciò parola quando infine i minatori di Danan, muniti di torce fumose, scesero nella galleria e lo trovarono accanto al cadavere del cambiaforma, con gli occhi ancor fissi sulle tre stelle arrossate di sangue. Tacque anche quando Bere, con una chiazza nerastra e insanguinata sulla faccia, vacillò verso i soccorritori per tranquillizzarli, sebbene il suo sollievo nel vederlo alzarsi fosse stato grande. Risalendo lungo la miniera in compagnia di Danan si limitò a scuotere il capo alle sue domande, preferendo tacere. Senza guardare nessuno, muto e angosciato, si lasciò condurre fuori dalla montagna e su nella torre, in casa di Danan Isig.

Ruppe il silenzio soltanto il giorno dopo, a letto in camera sua e col braccio fasciato dal polso alla spalla, mentre Bere ricopiava le incisioni sulla lama della spada con aria intenta e grave quanto tranquilla. Ubbidendo alla sua richiesta il ragazzo si alzò e scese a chiamare Deth e Danan. Morgon riferì loro con voce piatta ciò che volevano sapere, in ogni particolare.

— Bambini… — mormorò Danan. — Quando Yrth mi condusse laggiù io vidi soltanto pietre. Come poteva sapere cosa fossero in realtà?

— Glielo domanderò.

— A Yrth? Credete che sia ancora vivo?

— Se è vivo, lo troverò. — I suoi occhi si fecero pensosi, imperscrutabili. — C’è qualcun altro coinvolto in questa faccenda, oltre al Fondatore e ai cambiaforma. Mi sono stati fatti dei nomi strani… Edolen, e Sec. E qualcuno che essi chiamavano il Signore dei Venti. Forse intendevano riferirsi al Supremo. — Si volse a Deth. — Il Supremo è anche un Signore del Vento?

— Sì.

— E c’è poi un Signore delle Tenebre, che senza dubbio si farà conoscere anch’egli quando gli parrà meglio. L’Era del Supremo sta volgendo al termine…

— Ma com’è possibile? — protestò Danan. — Le nostre terre moriranno, senza il Supremo.

— Io non so come possa o non possa essere. So che ho toccato la faccia del figlio di un Signore del Vento, mentre mi parlava, e che era di pietra. Credo che se è possibile una cosa del genere, allora tutto è possibile, compresa la distruzione del Reame. Questa non è la nostra guerra, non siamo stati noi a cominciarla, non possiamo essere noi a finirla… ma non possiamo evitarla. Non c’è scelta.

Danan fece per borbottare qualcosa ma poi tacque. La matita di Bere s’era immobilizzata, e i suoi occhi seri li stavano scrutando. Danan emise un lungo sospiro: — Il termine dell’era… Come può qualcuno mettere termine a una montagna? Morgon, dovete aver frainteso. Quelli che cominciarono questa guerra, migliaia di anni fa, non sapevano che avrebbero dovuto fare i conti con uomini che si battevano per ciò che amavano. Questi cambiaforma possono essere distruttì; lo avete dimostrato.

— Sì, l’ho fatto. Ma dobbiamo evitare la guerra con loro. Se riuscissero a uccidere il Supremo, per noi sarebbe la fine.

— Allora perché hanno tentato di uccidervi? Perché hanno mirato a voi invece che al Supremo? Questo non ha senso.

— Ce l’ha. Ogni enigma ha una risposta. Quando avrò cominciato a mettere insieme le risposte alle domande che intendo fare, avrò anche un principio di soluzione per la vostra domanda.

Danan scosse la testa. — E come potete riuscirci voi? Neppure i maghi ne furono capaci.

— Devo farlo. Non ho alternativa.

Deth non aveva parlato molto. Dopo che essi furono usciti, portando Bere con loro, Morgon si alzò dal letto con una smorfia di dolore e andò davanti a una delle finestre. Era il tramonto; i fianchi candidi della montagna pullulavano d’ombre azzurrine fra cui non si scorgeva alcun movimento. Soltanto gli abeti fremevano lievemente nel crepuscolo mentre l’immensa mole dell’Isig si stagliava contro un cielo sempre più scuro, senza stelle.

Poco dopo udì dei passi che risalivano le scale, e il fruscio della tenda che veniva tirata. Senza voltarsi disse: — Quando partiremo per il Monte Erlenstar?

— Morgon…

Lui si girò di scatto. — Questa è una cosa che ho udito pochissime volte nella tua voce: un tono di protesta. Siamo sulla soglia del Monte Erlenstar, e ci sono mille domande a cui voglio una risposta.

— Il Monte Erlenstar — disse con calma Deth. — È un luogo dove tu potresti trovare le risposte che cerchi, e potresti non trovarle. Sii paziente. I venti che soffiano dalle terre di ghiaccio giù attraverso il Passo Isig possono essere spaventosi, in pieno inverno.

— Ho già assaggiato il morso di quei venti, e l’ho sopportato bene.

— Lo so. Ma se affronterai quel gelo prima d’esserti rimesso in forze, non sopravviverai per due giorni dopo aver lasciato Kyrth.

— Sopravviverò! — esclamò ferocemente Morgon. — Questa è una cosa che so far bene… sopravvivere a ogni costo, con tutti i mezzi. Per essere un Principe di Hed ho delle qualità davvero insolite. Non hai visto le facce dei minatori quando ci hanno trovati là in quel tunnel? E con tutti i mercanti che ci sono qui, quanto tempo credi che passerà prima che il racconto di quell’avvenimento raggiunga Hed? Non solo sono diventato un bravo apprendista assassino, ma ho anche una spada col mio nome praticamente inciso sopra pronta a fare di me un maestro in quest’arte. Una spada datami da un bambino dalla faccia di pietra. Una spada forgiata da un mago il quale dava per certo il fatto che avrei accettato sia quella lama che il mio destino. Sono in trappola. Se non c’è altro che possa fare, salvo quello che ho ormai deciso, allora voglio farlo il più presto possibile. Fuori non spira un alito di vento. Se parto stanotte posso arrivare al Monte Erlenstar in tre giorni.

— Cinque — lo corresse Deth. — Anche in forma di vesta. — Andò al caminetto e si chinò a prendere altri ceppi. Mentre la fiamma si alzava più vivace il suo volto rivelò una rete di sottilissime rughe, che Morgon non gli aveva mai visto prima. — Quanta strada credi che possa fare un vesta con una zampa anteriore ferita?

— Mi stai suggerendo di restare qui ad aspettare che mi ammazzino?

— I cambiaforma hanno tentato un colpo di mano qui, e hanno fallito. Con la fortezza di Danan piena di sentinelle, con ogni spada pronta, e sapendo che quei bambini dalla faccia di pietra non possono averti detto molto, forse i cambiaforma decideranno di aspettarti là fuori.

— E se io restassi qui, tanto per deluderli?

— Non lo farai, lo sai benissimo.

— Sì, lo so — mormorò lui. Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. — Mi chiedo come puoi essere tanto tranquillo. Tu non hai mai paura, nulla ti sorprende mai. Hai vissuto per mille anni, e hai preso il Nero dei Maestri… quanti di questi fatti ti aspettavi che accadessero? Tu fosti il primo a darmi il mio nome, a Herun. — Vide lo sguardo dell’arpista, dapprima stupito, velarsi di riserbo, e questo lo fece accigliare. — Che ti aspettavi da me? Forse che, una volta immerso fino al collo in questo gioco, io avrei osato lasciarti fuori dalle mie domande? Tu conoscevi Suth… non ti ha mai parlato degli enigmi sulle tre stelle? Conoscevi Yrth, mi hai detto tu stesso che eri a Isig quando costruì l’arpa. Non ti ha mai rivelato ciò che aveva visto nella Caverna dei Perduti? Tu sei nato a Lungold: eri là quando la Scuola dei Maghi fu abbandonata? Hai studiato là anche tu?

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