«Attenti! Attenti!» urlò Measure dalla sponda.
Alvin guardò a monte per vedere quale diavoleria il fiume stesse loro preparando, e vide un intero albero correre sul filo della corrente, orientato per il lungo come un ariete da assedio, le radici dirette verso il centro del carro, proprio dove era seduta Faith, col suo bambino sul punto di venire al mondo. Alvin non riuscì a pensare a niente, non riuscì a pensare affatto, si limitò a urlare il nome di sua moglie con quanto fiato aveva in gola. Forse in cuor suo pensava, tenendo il suo nome sulle labbra, di poterla mantenere in vita, ma non c’era da sperarlo, neanche per idea.
Vigor però non sapeva che non c’erano più speranze. Vigor si slanciò dalla sponda del carro quando l’albero era a non più di una pertica di distanza, finendo proprio sopra la radice. L’impeto del salto spostò leggermente il tronco, poi lo fece girare su se stesso, quindi girare ancora, allontanandolo dal carro. Vigor naturalmente girò insieme al tronco, finendo subito sott’acqua — ma funzionò: le radici mancarono completamente il carro, e il tronco lo urtò solo di lato.
Il tronco rimbalzò attraverso il fiume, andandosi a schiantare contro un macigno sulla riva. Alvin era a cinque pertiche di distanza, ma da quel momento in poi nella sua memoria rivide sempre quella scena come se si fosse trovato proprio lì. L’albero che sbatteva violentemente contro il macigno, con Vigor nel mezzo. Solo una frazione di secondo lunga un’eternità, gli occhi di Vigor sgranati dalla sorpresa, il sangue che già gli usciva a fiotti dalla bocca, imbrattando l’albero che lo aveva ucciso. Vigor scivolò sott’acqua con tutto il corpo, tranne un braccio, rimasto impigliato nelle radici che si drizzavano in aria proprio come un vicino che ti saluta con la mano dopo una visita.
Alvin era così intento a guardare il figlio morente che non si accorse nemmeno di ciò che stava accadendo a lui. L’impatto dell’albero era stato sufficiente a sbloccare le ruote affondate nel fango, e la corrente, impadronitasi del carro, lo spinse a valle, con Alvin aggrappato alla ribalta posteriore, Faith che piangeva all’interno, Eleanor che urlava a più non posso dalla cassetta, e i ragazzi che dalla sponda gridavano: «Reggi! Reggi! Reggi!».
E la fune resse, legata per un capo a un albero, per l’altro al carro; sì, resse. Il fiume non riuscì a trascinare il carro a valle; lo fece soltanto girare lentamente verso riva, come un bambino che fa dondolare un sasso appeso a uno spago, e quando il carro scricchiolando si arrestò, questo avvenne proprio contro la sponda, col timone girato verso monte.
«Ha retto!» esclamarono i ragazzi.
«Sia ringraziato il Signore!» gridò Eleanor.
«Il bambino sta venendo» sussurrò Faith.
Ma tutto ciò che Alvin riusciva a udire era quell’unico grido soffocato, l’ultimo suono uscito dalla gola del suo primogenito; tutto ciò che riusciva a vedere era il suo ragazzo aggrappato all’albero che capitombolava nell’acqua; e tutto ciò che poté dire fu una sola parola, un unico ordine. «Vivi» sussurrò. Fino a quel momento, Vigor gli aveva sempre obbedito. Gran lavoratore, compagno volonteroso, più amico o fratello che figlio. Ma stavolta Alvin sapeva che il figlio gli avrebbe disobbedito. Eppure lo sussurrò ugualmente. «Vivi».
«Siamo salvi?» chiese Faith con voce tremante.
Alvin si voltò per affrontarla, cercando di cancellare l’angoscia dal proprio viso. Non avrebbe avuto senso farle sapere il prezzo che Vigor aveva pagato per salvare lei e il bambino. Per questo ci sarebbe stato tempo a sufficienza dopo la nascita del piccolo. «Sei in grado di scendere dal carro?»
«Che cos’è successo?» chiese Faith, scrutandolo.
«Mi sono preso una gran paura. Quell’albero avrebbe potuto ammazzarci. Sei in grado di scendere, adesso che siamo a riva?»
Eleanor si sporse verso di loro dalla cassetta. «David e Calm sono a riva, e possono aiutarti a scendere. Per adesso la fune regge, mamma, ma chi può dire per quanto?»
«Forza, mamma, un passo e ci sei» la incitò Alvin. «Sapendoti al sicuro sulla sponda, ce la caveremo meglio anche col carro».
«Il bambino sta venendo» disse Faith.
«Meglio a riva che qui» disse Alvin seccamente. «Scendi adesso » .
Faith si tirò in piedi, arrancando goffamente verso la parte anteriore del carro. Alvin la seguì, pronto ad aiutarla se fosse inciampata. Persino lui si accorse di come la pancia le fosse scesa. Probabilmente il bambino stava già cercando di prendere fiato.
Sulla riva adesso non c’erano più soltanto David e Calm. C’erano degli sconosciuti, tutti uomini grandi e grossi, e alcuni cavalli. Ma la vista più gradita fu certamente quella di un piccolo carro. Alvin non aveva la minima idea di chi fossero quegli uomini, o di come avessero saputo che c’era da dare una mano, ma non era certo il caso di perdere tempo nelle presentazioni. «Ehi, voi! In quella locanda c’è per caso una levatrice?»
«Comare Guester sa farli nascere, i bambini» disse uno degli sconosciuti, un omaccione con due braccia che parevano le cosce di un bue. Un fabbro, sicuramente.
«Potreste portare mia moglie da lei, con quel carro? Non c’è un momento da perdere». Alvin sapeva che per un uomo era disdicevole parlare con tanta franchezza del parto davanti alla donna che stava per dare alla luce un bambino. Ma Faith non era una stupida, sapeva che cosa contava veramente, e giungere dove ci fossero un letto e una levatrice competente era più importante che girare in punta di piedi intorno alla questione.
David e Calm aiutarono premurosamente la madre ad arrivare al carro in attesa. Faith barcollava dal dolore. Sicuramente scendere dal sedile di un carro alla sponda di un fiume non era l’esercizio più indicato per una donna in travaglio. Eleanor le stava alle spalle, e aveva preso in mano la situazione come se non fosse stata più piccola di tutti i suoi fratelli maschi, tranne i gemelli. «Measure! Raduna le bambine. Verranno sul carro con noi. Anche voi, Wantnot e Wastenot! So che potete aiutare i grandi, ma ho bisogno che badiate alle piccole mentre io sto con la mamma». Eleanor non era mai stata un tipo da prendere alla leggera, e la gravità della situazione era tale che nell’obbedire non si azzardarono nemmeno a chiamarla Eleonora d’Aquitania. Persino le bambine smisero quasi completamente di bisticciare e si affrettarono a salire sul carro.
Sulla sponda, Eleanor si voltò a guardare suo padre, seduto a cassetta. Gettò un’occhiata a valle, poi tornò a guardarlo con aria interrogativa. Alvin comprese la domanda, e col capo fece cenno di no. Faith non doveva venire a sapere del sacrificio di Vigor. Nonostante cercasse di controllarsi, negli occhi di Alvin spuntarono le lacrime. Ma non in quelli di Eleanor. Eleanor aveva solo quattordici anni, ma quando non voleva piangere, non piangeva.
Wastenot diede una voce al cavallo, e il piccolo carro si mosse bruscamente in avanti. Faith trasalì sotto la pioggia battente, mentre le figlie le davano affettuosi colpetti sulle spalle. Lo sguardo della donna era malinconico come quello di una mucca, e altrettanto incurante di ciò che la circondava, mentre si volgeva a guardare il marito e il fiume. In momenti come quello del parto, pensò Alvin, la donna si trasforma in una bestia; la mente s’intorpidisce, e il corpo prende il sopravvento mentre compie il suo dovere. Come avrebbe potuto sopportare tanto dolore, altrimenti? Era come se l’anima stessa della terra avesse preso possesso di lei nello stesso modo in cui possiede l’anima degli animali, rendendola parte del flusso universale della vita, liberandola dalla famiglia, dal marito, da tutti i legami ai quali la razza umana è soggetta, per condurla nella valle della maturazione, del raccolto, della mietitura, del sangue e della morte.
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