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Robert Jordan: Il cuore dell’inverno

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Robert Jordan Il cuore dell’inverno

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«Conoscete la situazione» disse loro. «Solo uno sciocco non la reputerebbe disperata, e nessuna di voi due è una sciocca.» Le guardie erano un involucro: se una manciata erano uomini passabili, più del doppio erano energumeni e bruti più adatti a gettare ubriachi fuori dalle taverne, o a essere buttati fuori loro stessi. E ora che i Saldeani se n’erano andati e gli Aiel stavano partendo, il crimine dilagava come le erbacce in primavera. Pensava che la neve l’avrebbe smorzato, ma ogni nuovo giorno c’erano rapine, incendi e anche peggio. Più il tempo passava, più la situazione peggiorava. «A questo ritmo, ci saranno delle ribellioni nel giro di poche settimane. Forse prima. Se non riesco a mantenere l’ordine nella stessa Caemlyn, la gente mi si rivolterà contro.» Se non fosse riuscita a mantenere l’ordine nella capitale, sarebbe stato come annunciare al mondo che non era adatta a governare. «Non mi piace, ma dev’essere fatto, perciò così sarà.» Entrambe aprirono la bocca, pronte a discutere ancora, ma lei non diede loro alcuna possibilità. La sua voce si fece salda. «Sarà fatto.»

La treccia dorata di Birgitte, lunga fino alla vita, dondolò mentre scuoteva la testa; ciò nonostante un consenso di malavoglia filtrò attraverso il legame. Aveva una visione decisamente singolare della loro relazione come Aes Sedai e Custode, ma aveva imparato a riconoscere quando non era il caso di insistere con Elayne. Lo aveva imparato fino a un certo punto. C’erano il possedimento e il titolo. Comandare le guardie, e qualche altra piccola questione. Dyelin piegò un poco il collo, e forse le ginocchia; poteva essere un inchino, ma il suo volto era di pietra. Era bene ricordare che molti di coloro che non volevano Elayne Trakand sul Trono del Leone vi avrebbero preferito Dyelin Taravin. La donna le era stata di enorme aiuto, ma erano ancora i primi giorni e talvolta una vocina insistente sussurrava nei recessi della testa di Elayne. Forse Dyelin stava semplicemente aspettando che lei commettesse qualche grosso pasticcio prima di farsi avanti per ‘salvare’

Andor? Qualcuno abbastanza prudente, abbastanza subdolo, avrebbe potuto tentare quella strada e perfino riuscirci. Elayne sollevò una mano per sfregarsi la tempia, ma lo tramutò invece nel gesto di aggiustarsi i capelli. Così tanto sospetto, così poca fiducia. Il Gioco delle Casate si era diffuso in Andor da quando era partita per Tar Valon. Era grata ai mesi passati fra le Aes Sedai non solo per aver appreso a usare il potere. Daes Dae’Mar era il pane quotidiano per molte Sorelle. Era grata anche per gli insegnamenti di Thom. Senza nessuno dei due, forse non sarebbe sopravvissuta tanto a lungo dopo il suo ritorno. Volesse la Luce che Thom fosse al sicuro, che lui, Mat e gli altri fossero sfuggiti ai Seanchan e si trovassero sulla strada per Caemlyn. Ogni giorno da quando aveva lasciato Ebou Dar, lei pregava per la loro salvezza, ma quella breve supplica era tutto ciò per cui aveva tempo, ora.

Prendendo posto al centro dell’arco, sullo scranno della regina, cercò di assumerne la posa, schiena dritta, la sua mano libera appoggiata leggera sul bracciolo intarsiato. ‘Avere l’aspetto di una regina non è sufficiente’, le aveva detto spesso sua madre, ‘ma una mente sveglia, un’acuta conoscenza delle questioni e un cuore valoroso non serviranno a nulla se la gente non ti vede come una regina’. Birgitte la stava osservando con molta attenzione, quasi con sospetto. Talvolta il legame era decisamente inopportuno!

Dyelin accostò alle labbra la sua coppa di vino.

Elayne trasse un profondo respiro. Aveva affrontato questa faccenda da ogni punto di vista possibile e non riusciva a vedere nessun altro modo.

«Birgitte, per primavera voglio che le guardie siano un esercito pari al numero di uomini che dieci casate possono mettere in campo.» Era molto probabile che fosse impossibile riuscirci, ma solo provarci voleva dire mantenere i mercenari arruolati ora e trovarne altri, ingaggiando tutti gli uomini che mostravano la minima inclinazione. Luce, che tremendo intrico!

Dyelin si strozzò, strabuzzando gli occhi; del vino scuro le sprizzò dalla bocca. Ancora sputacchiando, prese un fazzoletto smerlettato dalla manica e se lo passò sul mento.

Un’ondata di panico si riversò lungo il legame da Birgitte. «Oh, che io sia dannata, Elayne, tu non intendi... Sono un arciere, non un generale! È quello che sono sempre stata, non l’hai ancora capito? Ho fatto solo ciò che dovevo, quello che le circostanze mi hanno costretto a fare! Comunque, non sono più lei; sono solo io e...» Lasciò morire la frase, rendendosi conto che forse aveva detto troppo. Non era la prima volta. Il suo volto si fece scarlatto e intanto Dyelin la scrutava con curiosità.

Avevano detto in giro che Birgitte proveniva da Kandor, dove le donne di campagna indossavano vestiti simili ai suoi, tuttavia Dyelin sospettava chiaramente che si trattasse di una menzogna. Ogni volta che Birgitte non teneva a freno la lingua, rischiava di lasciarsi scappare anche il segreto. Elayne le scoccò un’occhiata che prometteva che più tardi avrebbero fatto una chiacchierata.

Non pensava che le guance di Birgitte potessero diventare più rosse di così. La mortificazione soffocò qualsiasi altra sensazione nel legame, sommergendola finché Elayne non sentì avvampare il suo stesso viso. Assunse in fretta un’espressione austera, sperando che le guance scarlatte venissero scambiate per qualcosa di diverso da un intenso desiderio di rannicchiarsi nella propria sedia per l’illuminazione di Birgitte. L’effetto a specchio poteva essere più che semplicemente inopportuno!

Dyelin indugiò solo per un momento su Birgitte. Infilando di nuovo il fazzoletto al suo posto, appoggiò con attenzione la coppa sul vassoio, poi si piantò le mani sulle anche. Il suo volto si era rannuvolato come subito prima di un temporale. «Le guardie sono sempre state il nucleo dell’esercito dell’Andor, Elayne, ma questo... La Luce abbia misericordia, questa è follia! Potresti metterti contro qualsiasi uomo dal fiume Erinin alle Montagne di Nebbia!»

Elayne si ricondusse alla calma. Se era in errore, Andor sarebbe stata una nuova Cairhien, un’altra terra bagnata di sangue in preda al caos. E lei sarebbe morta, ovviamente, un misero prezzo rispetto al costo totale. Non tentare era impensabile e in ogni caso per Andor ottenere un risultato sarebbe stato lo stesso che fallire. Una calma fredda, composta, inflessibile. Una regina non poteva mostrarsi spaventata, anche se lo era. Specialmente quando lo era. Sua madre le aveva sempre detto di spiegare le decisioni il meno possibile; più spesso spiegavi, più spiegazioni erano necessarie, finché il tuo tempo non era dedicato che a quelle. Gareth Bryne diceva di spiegare se potevi; la tua gente reagiva meglio se conosceva il perché delle tue scelte. Oggi, lei avrebbe seguito Gareth Bryne. Parecchie battaglie erano state vinte grazie a lui.

«Ho tre sfidanti dichiarate.» E forse una non dichiarata. Incontrò di proposito lo sguardo di Dyelin. Non con rabbia; solo occhi che incontravano occhi. O forse Dyelin la prese per rabbia, poiché la sua mascella si serrò e il volto arrossì. Se era così, tanto meglio. «Di per sé, Armilla è insignificante, ma Nasin ha unito la casata Caeren alla sua e, che lui sia sano di mente o meno, il suo appoggio significa che lei va tenuta in considerazione. Naean ed Elenia sono imprigionate; i loro soldati no. La gente di Naean può anche mostrarsi dubbiosa e discutere finché non trova una guida, ma Jarid è il Sommo Signore della casata Sarand e correrà rischi per soddisfare l’ambizione della moglie. La casata Baryn e la casata Anshar cercano di allearsi con entrambe; il meglio che posso sperare è che una vada con Sarand e l’altra con Arawn. Diciannove casate nell’Andor sono abbastanza forti perché le casate minori seguano la loro guida. Sei sono schierate contro di me, e io ne ho due.» Sei, finora... e grazie alla Luce lei ne aveva due!

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