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Michael Marshall: Eredità di sangue

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Michael Marshall Eredità di sangue

Eredità di sangue: краткое содержание, описание и аннотация

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Il seguito di “Uomini di Paglia” prende le mosse dalla fuga di Ward Hopkins, ex-agente della CIA, dal quartier generale del gruppo sovversivo che intende usare ogni mezzo per riportare l’umanità alla sua purezza primitiva. Il leader carismatico del gruppo, il fantomatico Homo Erectus, è ancora in circolazione, e Ward sa che tornerà a braccarlo. Quando, insieme a John Zandt che ha ricevuto una soffiata, Ward si mette sulle tracce del tenebroso fratello, ad attenderlo ci saranno ancora una volta indecifrabili messaggi nascosti in efferati delitti e un mistero che affonda le proprie radici nella storia della fondazione dell’America.

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Abbassammo le braccia. Lì dentro nessuno avrebbe potuto farci del male.

Zandt si schiari la gola. «Sono stati loro?»

«Gli Uomini di Paglia? Può darsi, ma alcuni di questi corpi sono qui da molto, molto tempo.»

Zandt voleva mettere a soqquadro la baracca, ma uno sguardo intorno mi fece capire che non avremmo trovato nulla. Se uccidevi qualcuno in quel posto potevi prenderti tutto il tempo che volevi. In più, non volevo più stare lì, neanche un secondo. Più ci rimanevi e più avevi la sensazione che dall’edificio emanasse, lentamente, una palpabile esalazione di aria mefitica. Volevo uscire.

Indietreggiai verso la porta, volgendo la testa verso l’interno della stanza. Ora mi stupivo meno che parte del legno fosse rimasto marrone. Era come se moltissimi fatti orrendi fossero stati assorbiti dalle pareti, mantenendole umide, in vita. Qualsiasi cosa fosse accaduta lì dentro, aveva avuto luogo in un lungo arco di tempo. Doveva trattarsi del lavoro di più di una persona, forse addirittura di più di una generazione. Era semplicemente un posto dove scaricare i cadaveri, oppure la loro silenziosa presenza e la loro stessa disposizione dovevano far pensare a qualcosa di più oscuro? Pensai al paese nella sua totalità, con tutti i suoi vasti e desolati spazi, e mi domandai se questo fosse l’unico luogo del genere.

Anche Zandt usci, ma poi si fermò improvvisamente, fissando qualcosa al di sopra delle mie spalle.

Mi voltai e vidi cosa stava guardando. Era a circa sei metri di distanza, dall’altra parte del canyon, posizionato in modo tale che sarebbe stato impossibile non vederlo uscendo dal rifugio.

Feci alcuni passi in quella direzione. Questo cadavere era decisamente più recente e non era stato sistemato come la coppia che avevamo trovato sul pianoro, ma semplicemente buttato a terra con le braccia spalancate e una gamba piegata. Qualcosa di marrone era stato inchiodato al centro del petto, dove era impossibile non vederlo. Non assomigliava a nulla che io avessi mai visto, ma l’innaturale vuoto della bocca spalancata mi disse di cosa si trattava.

«È quel tizio? È Joseph?»

Zandt non ebbe bisogno di rispondere.

Per tornare al camioncino fummo costretti a una lunga camminata. Procedemmo in silenzio seguendo la Columbia fino a Portland.

All’aeroporto prendemmo due voli diversi. Non ci incontrammo se non dopo un altro mese, quando tutto era ormai cambiato.

Parte I

Freddi rifugi

Sono convinto
Anche se non le ho trovate
Che ci possano essere
Parole che sono cose.

Lord Byron, Il pellegrinaggio di Childe Harold

Capitolo uno

Non c’è mai verso di trovare un parcheggio quando ne hai bisogno. Stai andando a tutta velocità, solo foresta da ambo i lati della strada, avendo facilmente la meglio di piccoli avvallamenti e discese ripide, file di betulle che incorniciano una serie di immagini tremolanti così splendide nel loro candido biancore da non riuscire nemmeno a vederle. Continui a pensare che dietro la prossima curva troverai pure un posto dove fermarsi e parcheggiare, ma per qualche strana ragione non c’è mai. È un nuvoloso martedì pomeriggio di metà gennaio, un fatto che di per sé ti è già parso bizzarro, è un periodo strano per fare quello che stai facendo, e tu hai la strada tutta per te per forse dieci chilometri in entrambe le direzioni. Potresti semplicemente lasciare la macchina sul ciglio della strada, ma non ti sembra la cosa corretta da fare. Sebbene sia un’auto a noleggio e non abbia con te alcun legame se non quello di essere l’ultima macchina che guiderai, non ti va di abbandonarla così. Non è una questione di sentimentalismo, non pensi si tratti di questo. Non è nemmeno il voler «evitare che qualcuno la veda, che si chieda se stia accadendo qualcosa di spiacevole e cominci a indagare — anche se in realtà non vuoi che accada. È solo una questione di precisione: vuoi che la macchina sia parcheggiata. Ferma in un posto. Proprio in questo momento ti sembra un elemento fondamentale, ma non c’è mai un’area dove fermarsi. Improvvisamente ti rendi conto che è questo il problema: vivere in un dannato guscio di noce. Mai un posto dove fermarsi, nemmeno quando ne hai bisogno veramente. A volte non si tratta di cercare un belvedere, vuoi solo avere la possibilità di…

Cazzo — eccone uno.

Tom abbassò il piede tre secondi in ritardo e troppo violentemente. L’auto sbandò per una decina di metri, sculettando graziosamente fino a che non si fermò a cavallo delle due corsie, come se vi fosse stata messa da una mano gigante. L’uomo rimase immobile per un attimo, con il collo che formicolava. Attraverso il finestrino penetrava l’aria fredda e il suono di un uccello che gracchiava con insistenza maniacale. A perte questo, tutto era silenzio, grazie a Dio. Se ci fosse stato qualcun altro sulla strada sarebbe finita male, il che sarebbe stato dannatamente ironico, ma ancora una volta, sarebbe stato un evento non voluto. Era già abbastanza mal sopportato così.

Manovrò l’auto fino a riportarla nella giusta direzione e poi fece un po’ di retromarcia fino alla piazzola. Sarah sarebbe stata in grado di infilarcisi direttamente, lui no. Perlomeno, non si sentiva sicuro di saper fare una cosa del genere, e quindi non ci provò nemmeno. Quello era sempre stato il suo modo di fare: nascondere i propri difetti, custodire i propri segreti. Non correre mai il rischio di apparire un imbecille, anche se questo significava sembrare un codardo imbecille.

Svoltò nella piccola area di parcheggio, facendo scricchiolare la striscia di dieci centimetri di neve spazzata via dalla carreggiata. Lo spiazzo faceva evidentemente parte dell’inizio di un qualche sentiero poco conosciuto, sicuramente chiuso per il fuori stagione. Solo quando la macchina fu ferma Tom si accorse che le sue mani stavano tremando vistosamente. Si allungò sul sedile del passeggero per raggiungere la bottiglia e bevve un lungo sorso. Guardò per un po’ nello specchietto retrovisore, ma non vide nulla se non il volto pallido, i capelli castani, gli occhi segnati e quel principio di doppio mento che si aspettava. La maschera tipica della persona di mezza età.

Aprì la portiera e lasciò cadere le chiavi nella tasca laterale. Non aveva senso rendere tutto troppo ovvio. Si trascinò fuori dall’auto e scivolò immediatamente su un sasso, finendo lungo disteso per terra.

Quando si sollevò sulle ginocchia vide che c’erano dei piccoli tagli bagnati su uno dei palmi, e anche la fronte e la guancia destra sembravano sanguinare. Il dolore alla caviglia e il fastidio al viso provocato dai frammenti di selciato gli fecero capire, in un attimo di lucidità, che quello che stava facendo era la cosa giusta.

Prese il suo zaino dal portabagagli e lo chiuse: l’irrevocabilità del rumore prodotto gli fece comprendere che in fin dei conti provava qualcosa nei confronti di quel veicolo. Si assicurò che l’auto fosse chiusa, poi superò la bassa barriera fatta di tronchi e si mise in cammino tra gli alberi, avendo cura di andare in direzione opposta al sentiero.

L’uccello, o una creatura molto molto simile, stava ancora producendo quel suo fastidioso gracchiare. Tom provò a farlo tacere, prima a parole poi con dei semplici rumori. In un primo tempo l’uccello sembrò zittirsi, ma ben presto ricominciò la sua litania. Tom comprese il messaggio: in quel frangente lui era semplicemente un altro animale rumoroso e non occupava alcuna posizione che gli desse il diritto di dare ordini.

Lasciò perdere l’uccello e si concentrò per rimanere in piedi.

Il percorso era duro e ripido, e ben presto si rese conto del perché non ci fossero aree di sosta: quella foresta non aveva nulla di ameno e piacevole. Non era lì per il piacere di qualcuno: non c’erano percorsi con le corde, bivacchi o piazzole per un picnic, nessuna delle tradizionali vie di mezzo tra un pasto cucinato e uno crudo. La cosa non lo disturbava. Quel poco di cibo di cui aveva bisogno l’aveva con sé già pronto. Nello zaino non c’era praticamente nulla se non dell’alcool, e Tom si era fermato per risistemare il contenuto in modo che le bottiglie non urtassero fra loro. In corpo non aveva niente se non alcool. Cominciava già a dubitare della vodka come filosofia di vita. Ad ogni modo, non era fatta per i codardi. Ci voleva un elevato livello di tolleranza per sentirsi una merda. Lui non era ancora arrivato a quello stadio, ma affrontava la cosa abbastanza coraggiosamente.

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