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Robert Sawyer: Fuga dal pianeta degli umani

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Robert Sawyer Fuga dal pianeta degli umani

Fuga dal pianeta degli umani: краткое содержание, описание и аннотация

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La porta tra gli universi è stata chiusa e rischia di non riaprirsi più. Ponter Boddit, lo scienziato Neanderthal, è tornato nella propria dimensione lasciando un solo rimpianto nella nostra: la genetista Mary Vaughan. Per questo convince il consiglio a tentare un pericoloso esperimento: invitare Mary in visita ufficiale sulla Terra parallela in cui sono i Neanderthal, non l’Homo sapiens, la razza dominante. Mary accetta e si avventura fra le sorprese di un mondo capovolto, in cui tra uomini e donne non può esistere il minimo contatto. Ma è solo l’inizio dell’odissea in un altro spazio, un altro tempo.

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Mary rimase a bocca aperta.

La cortina celeste si stava dividendo nel mezzo, come un tessuto acquamarina strappato da una mano invisibile. La fessura si allungò, si allargò, partendo dalla cima e scendendo verso l’orizzonte. Un fenomeno a cui Mary non aveva assistito la volta scorsa.

Alla fine l’immensa tenda si suddivise in due, come le acque del Mar Rosso al passaggio di Mosè. Alcune… scintille?, questo almeno era il loro aspetto… passarono rapidamente da una metà all’altra creando un ponte etereo. Poi sembrò che la parte destra si arrotolasse a partire dal fondo, come una tapparella. Intanto mutava colore: ora verde, ora blu, ora violaceo, ora arancio, ora turchese.

Infine, con un lampo spettrale, quell’intera zona dell’aurora boreale svanì.

La rimanente cortina di luce adesso vorticava come se il firmamento la risucchiasse attraverso un imbuto. Man mano che acquistava velocità, sputava lingue di fiamma color verde ghiaccio, trasformandosi in un mulino acceso sullo sfondo della notte.

Mary era folgorata. Sebbene quella fosse solo la sua seconda esperienza diretta con il fenomeno, aveva visto numerose fotografie su libri e riviste; ma ora si rendeva conto che le immagini non rendevano giustizia alla realtà. Ah sì, aveva ben letto che l’aurora boreale si spaccava e sfarfallava, ma non era preparata a questo.

Il vortice continuava a contrarsi, e nel frattempo diventava sempre più luminoso. Finché al termine, con un… davvero Mary aveva sentito un pop?.., sparì nel nulla.

Barcollò, andando a sbattere contro il freddo metallo della sua Dodge Neon presa a noleggio. Solo allora si accorse dei suoni della foresta tutto intorno: insetti e rane, civette e pipistrelli, si erano improvvisamente ammutoliti, come se l’intera Natura fosse sospesa in ammirazione.

Il cuore le batteva all’impazzata. Tornò al sicuro dentro l’automobile e in testa le iniziò a echeggiare e riecheggiare un pensiero.

“È normale che l’aurora si comporti così?”

2

Jurard Selgan si alzò dalla sella e si mise a passeggiare lungo le pareti circolari dell’ufficio, intanto Ponter Boddit gli raccontava del suo primo viaggio nel mondo gliksin.

— Perciò — disse Selgan, tornando al proprio posto — la tua relazione con Mèr Vaughan si è conclusa in modo insoddisfacente?

Ponter annuì.

— Le relazioni terminano di frequente senza una soluzione — disse Selgan. — Sarebbe bello se non fosse così, ma di certo questa non è stata la prima volta per te che un rapporto si è chiuso in maniera deludente.

— No, certo che no — rispose Ponter quasi mormorando.

— Stai pensando a una persona specifica, non è così? Coraggio, parlane.

— La mia compagna, Klast Harbin — rispose Ponter.

— Ah. La vostra relazione è terminata, immagino. Chi ha chiesto la separazione?

— Nessuno dei due — scattò lui. — Klast è morta venti mesi fa.

— Oh — esclamò Selgan. — Accetta le mie più sentite condoglianze. Era… era anziana?

— No. Era della generazione 145, come me. Selgan sollevò il sopracciglio fin sopra l’arcata ossea.

— Si è trattato di un incidente?

— Un tumore al sangue.

— Una tragedia, dunque. Ma…

Non dirlo — sibilò Ponter.

— Non dire cosa? — chiese lo scultore di personalità.

— Ciò che stavi per dire.

— Cioè cosa, secondo te?

— Che la mia relazione con Klast si è interrotta improvvisamente, e poi è successa la stessa cosa con Mèr.

— È questo il modo in cui interpreti la vicenda? — chiese Selgan.

— Sapevo che non dovevo venire qui! — sbottò Ponter.

— Voi scultori della personalità siete convinti di avere idee molto profonde. Be’, non lo sono. Sono solo delle volgari semplificazioni: “La storia A è finita all’improvviso, e il modo in cui è finita la storia B te l’ha riportata alla memoria”. — Ponter emise un grugnito di disprezzo.

Selgan rimase in silenzio per vari “battiti”, forse per vedere se Ponter intendeva aggiungere altro di sua spontanea volontà. Quando fu chiaro che non era così, Selgan disse: — Eppure tu hai spinto affinché venisse riaperto il varco tra i due mondi, il nostro e quello di Mèr. — Lasciò che la frase aleggiasse nell’aria.

Alla fine, Ponter rispose: — Pensi che sia stato quello il motivo per cui “spingevo”? Infischiandomene delle conseguenze, con tutte le loro ramificazioni nel nostro mondo? Che la mia unica preoccupazione fosse trovare un modo per risolvere una storia irrisolta?

— Sei tu a dovermelo spiegare — replicò Selgan con dolcezza.

— Non era quello! Oh, certo, esiste una superficiale somiglianza tra ciò che è successo tra me e Klast, e tra me e Mèr. Ma io sono uno scienziato. — Piantò negli occhi di Selgan le proprie pupille dorate. — Un vero scienziato. Sono in grado di comprendere quando si verifica una reale simmetria. Be’, non è questo il caso. Così come so riconoscere un’analogia ingannevole.

— E ciononostante, hai fatto pressioni sul Gran Consiglio dei Grigi. L’ho visto sul mio voyeur, come migliaia di altre persone.

— S… sì, ma…

— Ma cosa? A che cosa stavi pensando? Che cosa volevi ottenere?

— Niente. Tranne il meglio per il nostro popolo.

— Ne sei sicuro?

— Certo che sono sicuro! — urlò Ponter.

Selgan restò muto e lasciò che Ponter sentisse l’eco della propria voce che rimbombava sulle lisce pareti di legno.

Ponter Boddit doveva ammettere che nessuna esperienza che avesse attraversato… anzi, probabilmente nessuna esperienza mai attraversata da nessuno del suo popolo… era stata terrificante come il ritrovarsi trasportato dalla sua Terra a quella Terra bizzarra, per di più arrivandoci nel buio più completo e finendo quasi annegato in un vascone.

Tuttavia, tra le cose che succedevano nel suo universo, poche potevano essere paragonate a una convocazione davanti al Gran Consiglio dei Grigi. Mica si trattava di un qualsiasi consiglio locale: il Gran Consiglio governava l’intero pianeta. E adesso era arrivato fin qui, a Saldak, allo scopo specifico di incontrare Ponter e Adikor, oltre a vedere il computer quantistico che avevano usato due volte (finora) per aprire un varco su un’altra realtà.

Nessun membro del Gran Consiglio era di una generazione successiva alla 143; quindi avevano tutti almeno vent’anni in più di Ponter. Erano formidabili la saggezza, l’esperienza e, sì, quand’erano in giornata, anche la testardaggine di gente così anziana.

Ponter avrebbe potuto lasciar perdere. Nessuno aveva chiesto a lui né ad Adikor di riaprire il varco. Anzi, tranne forse quel gruppetto di donne di Evsoy, nessuno avrebbe avuto nulla da ribattere se i due scienziati avessero dichiarato che il fenomeno era stato aleatorio e non riproducibile.

Ma la possibilità di scambi tra i due tipi di umanità era un’ipotesi troppo accattivante perché Ponter la lasciasse cadere. C’era tanto da guadagnare per entrambi, in uno scambio di informazioni: per esempio, le nozioni neanderthaliane sulla superconduttività in cambio della tecnologia aeronautica gliksin. Ma soprattutto sarebbe stato interessante uno scambio culturale: arte in cambio di arte, per esempio l’epica interativa dibalat contro una tragedia di Shakespeare; una scultura del grande Kaydas contro un dipinto di Leonardo.

Ponter non dubitava che a spingerlo fossero solo nobili motivazioni. Personalmente, non aveva da guadagnarci molto a riaprire il varco. Be’, certo, Mary. Ma era assai improbabile che lei provasse un autentico, profondo interesse per una persona così diversa, un uomo tanto più peloso dei maschi gliksin, tanto più forzuto; un uomo con una doppia arcata sopracciliare che gli faceva da tettoia sugli occhi che, per giunta, erano gialli, anziché azzurri come quelli di Mary o marroni come quelli di tanti gliksin.

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