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Robert Sawyer: Fuga dal pianeta degli umani

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Robert Sawyer Fuga dal pianeta degli umani

Fuga dal pianeta degli umani: краткое содержание, описание и аннотация

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La porta tra gli universi è stata chiusa e rischia di non riaprirsi più. Ponter Boddit, lo scienziato Neanderthal, è tornato nella propria dimensione lasciando un solo rimpianto nella nostra: la genetista Mary Vaughan. Per questo convince il consiglio a tentare un pericoloso esperimento: invitare Mary in visita ufficiale sulla Terra parallela in cui sono i Neanderthal, non l’Homo sapiens, la razza dominante. Mary accetta e si avventura fra le sorprese di un mondo capovolto, in cui tra uomini e donne non può esistere il minimo contatto. Ma è solo l’inizio dell’odissea in un altro spazio, un altro tempo.

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Hak non aveva parlato a voce alta, per quanto lei avesse anche questa capacità… Ponter pensava ad Hak come a “lei” perché Kobast aveva dotato l’apparecchiatura della voce della sua defunta compagna. In certi giorni, come quello, la scelta si era rivelata tremendamente sbagliata: non faceva che ricordare a Ponter quanto gli mancasse Klast. Un giorno o l’altro avrebbe chiesto a Kobast di sostituire il sonoro di Hak.

— No — rispose Ponter con poco più di un mormorio. — No, non chiamare nessuno. Sai che Jasmel ha un fidanzato: probabilmente è arrivato con un bus precedente, e adesso sono fuori insieme.

— Il capo sei tu — disse Hak.

Ponter si guardò intorno. Gli edifici del Centro erano molto simili a quelli dell’Anello: strutture portanti cresciute grazie alle tecniche di arboricoltura, tronchi fatti crescere a forma di edificio; in alcuni casi si vedevano aggiunte in legno o mattone. Tutte le abitazioni, sul tetto o sul terreno circostante, avevano file di pannelli solari. In alcune aree dal clima ostile gli edifici dovevano essere prodotti artificialmente, ma Ponter li aveva sempre trovati orribili. Viceversa, i gliksin sembravano realizzare a quel modo tutte le loro case, ammassandole come mandrie di erbivori.

A proposito di animali. Quel pomeriggio si sarebbe svolta una caccia al mammut per provvedere ai banchetti del giorno seguente. Forse Ponter si sarebbe unito alla battuta; erano secoli che non prendeva in mano una lancia per abbattere prede con il vecchio sistema. Se non altro, gli avrebbe dato qualcosa da fare per riempire il tempo; a lui, come agli altri maschi solitari.

— Papà!

Jasmel gli stava correndo incontro, accompagnata dal fidanzato Tryon. Ponter avvertì un sorriso che gli si schiudeva. — Salute a te, tesoro — disse, quando la figlia lo ebbe raggiunto. — Salute a te, Tryon.

Jasmel strinse il padre in un abbraccio, mentre Tryon restò da parte, un po’ a disagio. Quando Jasmel si staccò da Ponter, Tryon disse: — Sono felice di vederla, signore. Ho sentito che ne ha passate delle belle.

— Altroché! — rispose lui. Immaginava di nutrire nei confronti del compagno della figlia gli stessi sentimenti ambigui che provano tutti i padri. Oh, certo, Jasmel non diceva altro che bene del ragazzo: la ascoltava quando lei parlava, era dolce durante il sesso, studiava per diventare pellettiere e dare il suo contributo al benessere della società… ma Jasmel era e rimaneva sua figlia, e per lei Ponter desiderava solo il meglio.

— Ti chiedo scusa per il ritardo — disse lei.

— Nessun problema — rispose Ponter. — E Megameg dov’è?

— Senti, ha deciso che non le piace più essere chiamata così. D’ora in poi, solo Mega.

Che poi era il suo vero nome, dato che Megameg era un diminutivo. Ponter si sentì invadere da un’ondata di malinconia. La sua figlia più grande ormai era adulta, e anche la piccola cresceva troppo in fretta. — Oh — disse. — Dov’è Mega, allora?

— A giocare con gli amici — rispose Jasmel. — La vedrai più tardi.

Ponter annuì. — E che progetti avete voi due per stamattina?

— L’idea era di giocare a ladatsa tutti insieme — buttò lì Tryon.

Ponter lo osservò. Doveva essere bello agli occhi delle ragazze, immaginava, con quelle spallacce, l’arcata sopracciliare deliziosamente prominente, il naso scolpito, gli occhi purpurei. Però aveva adottato alcune tendenze giovanili: invece di lasciare che i suoi capelli ramati si dividessero in modo naturale alla scriminatura, li aveva diretti a forza tutti verso sinistra, probabilmente con l’ausilio di qualche collante.

Ponter stava per dire sì alla proposta del ladatsa (erano decine di mesi che non dava calci a un pallone) quando la memoria lo riportò all’improvviso a se stesso quando aveva quell’età, vent’anni prima, e faceva la corte a Klast. L’ultima cosa che avrebbe desiderato, all’epoca, sarebbe stato il padre di Klast intorno.

— No, andate pure voi — disse. — Ci si rivede stasera per cena.

Jasmel lo fissò negli occhi, e lui capì che lei aveva capito. Ma Tryon non era uno stupido: si affrettò a ringraziare Ponter, prese Jasmel per mano e se la trascinò via.

Ponter li osservò mentre si allontanavano. Presumibilmente Jasmel avrebbe dato alla luce il suo primogenito tra due anni, quand’era programmata la nascita della generazione 149. Allora, pensò Ponter, tutto sarebbe cambiato: se non altro, avrebbe avuto un nipotino a cui badare, nel periodo in cui i Due diventano Uno.

Il bus era ripartito da un pezzo, tornato all’Anello a fare un altro carico di maschi. Ponter si incamminò verso la città; poteva prendere un boccone e…

Il suo cuore sobbalzò. Ecco l’ultima persona che si sarebbe aspettato di incontrare. Eppure…

Eppure eccola là, come se fosse venuta per lui.

Daklar Bolbay.

— Salute a te, Ponter — disse.

Si conoscevano da molto tempo, ovviamente. Lei era la compagna di Klast, e se c’era una persona in grado di capire che cosa avesse significato per Ponter la perdita di Klast, era proprio lei. Ma…

Ma si era comportata in modo ignobile con Adikor, durante l’assenza di Ponter. Lo aveva addirittura accusato di omicidio! Assurdo. Adikor non avrebbe ucciso Ponter, né nessun altro se era per questo, per nessun motivo. Assurdo per assurdo, tanto valeva pensare che Ponter si fosse suicidato.

— Daklar — disse lui, tralasciando i convenevoli.

Lei capì e annuì. — Non posso biasimarti per avercela con me — disse. — Lo so di avere fatto del male ad Adikor, e ferire il compagno di qualcuno significa ferire lui. — Lo guardò dritto negli occhi. — Ti chiedo perdono, Ponter. Speravo di arrivare in tempo per dirlo personalmente anche ad Adikor, ma vedo che si è già allontanato.

— Dici che ti dispiace — commentò Ponter. — Ma ciò che hai fatto…

— Ciò che ho fatto, è stato orrendo — lo interruppe Daklar, abbassando lo sguardo sui propri piedi, avvolti nelle babbucce con cui terminavano i suoi pantaloni neri. — Ma sto andando da uno scultore di personalità e seguo una cura. Il trattamento è appena all’inizio, tuttavia già mi sento meno… incline all’ira.

Ponter conosceva, in parte, le tragedie che aveva passato Daklar. Non solo aveva perso la donna che entrambi amavano, l’adorata Klast, ma ancora prima Daklar aveva perso il compagno, Pelbon, che una mattina era stato prelevato dalla polizia. Ah sì, poi gliel’avevano restituito, ma non intero: era stato castrato. E la loro relazione era crollata.

Ponter aveva sofferto enormemente alla morte di Klast, ma almeno gli restavano Adikor e Jasmel e Megameg a dargli la forza per continuare. Doveva essere stato molto peggio per Daklar, che non aveva più un compagno e, a causa dell’operazione su Pelbon, neppure dei figli.

— Sono felice che tu ti senta meglio — disse Ponter.

— È così — confermò lei. — So che dovrò seguire un percorso molto lungo, ma… sì, sto cominciando a sentirmi meglio, e…

Ponter aspettò che lei terminasse la frase. Dopo un po’, la sollecitò: — E…?

— Be’ — rispose lei, evitando di incrociare il suo sguardo — è solo che attualmente sono sola, e… — Altra pausa, ma poi riprese spontaneamente: — E anche tu sei da solo. E… be’, il Due diventano Uno può diventare un’occasione molto triste se non si ha nessuno con cui trascorrere il tempo. — Lanciò una rapida occhiata al volto di lui, ma poi distolse immediatamente lo sguardo, come se temesse di scoprire cosa ne pensasse lui.

Ponter era strabiliato. Però…

Però Daklar era una donna intelligente, e a lui piaceva. I capelli bruni di Daklar erano attraversati da bellissime stilature grigie. E…

Ma no, no. Quella era una pazzia. Dopo quello che lei aveva fatto ad Adikor.

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