Frank Herbert - Gli occhi di Heisenberg

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Gli occhi di Heisenberg: краткое содержание, описание и аннотация

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In un futuro lontano, una classe dominante di umani geneticamente modificati ottiene l’equivalente dell’immortalità mediante l’uso di droghe. Questa classe dominante tiene l’intera società in stasi grazie alla manipolazione genetica del genoma umano, eliminando ogni sorta di mutazione spontanea dello stesso. Come se non bastasse, solo poche persone attentamente selezionate hanno la possibilità di riprodursi. Tuttavia nelle megalopoli si sviluppano dei movimenti clandestini ed appare una razza di cyborg, opposta agli immortali.

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«Glisson vuole soltanto alleati fidati,» replicò Harvey. «E io gliene sto fornendo uno.»

«Come fa a sapere di potersi fidare di Svengaard?» chiese Igan.

«Il fatto stesso che me lo chieda tradisce il suo essere ancora incompleto come Cyborg,» replicò Harvey. Si girò, iniziò a slegare le mani di Svengaard, si chinò e gli tolse i legacci che gli bloccavano le gambe.

«Vado a vedere se arriva Glisson,» annunciò Igan, e lasciò la stanza.

Harvey si rialzò, guardò in viso Svengaard. «È a conoscenza delle condizioni di mia moglie?» domandò.

«Ho sentito quel che ha detto Igan,» rispose Svengaard. «Ogni bioingegnere deve studiare la storia, e le origini genetiche. Ho una conoscenza accademica dello stato di sua moglie.»

Boumour emise un suono sprezzante.

«Quella è la borsa di Igan,» indicò Harvey a Svengaard. «Mi dica perché mia moglie sta male.»

«Non è soddisfatto della spiegazione datale da Igan?» chiese Boumour. Sembrava addirittura oltraggiato da quel pensiero.

«Ha detto che era naturale,» obiettò Harvey. «Ma come si fa a definire naturale uno stato di malessere?»

«Igan ha somministrato qualcosa a sua moglie,» disse Svengaard. «Sa di cosa si trattava?»

«Era una capsula simile a quella che le ha dato mentre eravamo in viaggio,» rispose Harvey. «Ha detto che si trattava di un tranquillante.»

Svengaard si avvicinò a Lizbeth, ne studiò gli occhi, la pelle. «Mi dia la borsa,» disse, annuendo in direzione di Harvey. Poi guidò Lizbeth fino ad un materasso vuoto, scoprendo di essere affascinato dalla prospettiva di visitare la donna. Fino a poco tempo prima, il pensiero l’avrebbe disgustato; ora, il fatto che Lizbeth portasse l’embrione in grembo, alla maniera antica, lo riempiva di curiosità, come per un grande mistero.

Lizbeth rivolse uno sguardo interrogativo verso il marito, mentre Svengaard la faceva stendere sul materasso. Harvey le rivolse un cenno del capo inteso a rassicurarla. Lizbeth tentò di sorridere, ma era stata assalita da uno strano timore. Non era Svengaard a spaventarla. Le mani del medico erano delicate, gentili. No, era la prospettiva di essere visitata a terrorizzarla. Sentiva che nel suo corpo lo spavento lottava contro la medicina che le aveva somministrato Igan per calmarla.

Svengaard aprì la borsa, ricordando i diagrammi e le spiegazioni contenute negli mnemo-nastri che aveva consultato da studente. A quel tempo, quelle nozioni erano state oggetto di battute goliardiche, ma in quel momento anche queste ultime gli furono d’aiuto, poiché lo aiutavano a concentrarsi sugli elementi essenziali.

Attaccati alla parete, perché se ti capiterà di cascare,

allora sì che dovrai imparare a nuotare!

Nella sua memoria udì la strofetta, e lo scoppio di risa che invariabilmente la seguiva.

Svengaard si dedicò alla visita, escludendo dai propri pensieri ogni altra cosa, tranne se stesso e la paziente. Pressione sanguigna… enzimi… produzione di ormoni… secrezioni corporee…

Poi si rilassò, corrugò la fronte.

«C’è qualcosa che non va?» gli chiese Harvey.

Boumour era in piedi, alle spalle di Harvey. «Sì, ce lo dica,» insisté.

«C’è una quantità sovrabbondante dell’ormone che regola il ciclo mestruale,» li informò Svengaard. Poi pensò, Attaccati alla parete…

«Ma è l’embrione a provocare questi mutamenti,» ribatté sarcasticamente Boumour.

«Sì,» ammise Svengaard. «Ma perché è avvenuto questo squilibrio nella produzione dell’ormone?»

«Ce lo spieghi lei, che è dotato di una conoscenza superiore,» ironizzò Boumour.

Svengaard ignorò il tono derisorio dell’altro. Lo fissò. «L’avete fatto altre volte. Qualche vostra paziente ha sofferto di aborti spontanei?»

Boumour si accigliò.

«Ebbene?» incalzò Svengaard.

«Qualcuna,» ammise controvoglia Boumour.

«Sospetto che l’embrione non sia ben attaccato all’endometrio,» disse Svengaard. «Alla parete dell’utero,» spiegò poi, quando si rese conto che Harvey non aveva compreso. «L’embrione deve fissarsi saldamente alla parete dell’utero, ed è un ormone prodotto durante il ciclo mestruale che controlla il processo.»

Boumour si strinse nelle spalle. «Be’, ci aspettiamo sempre di perdere una certa percentuale di embrioni.»

«Mia moglie non è una certa percentuale ,» ringhiò Harvey. Si voltò e scoccò un’occhiata a Boumour che lo costrinse ad arretrare di tre passi.

«Ma queste cose possono sempre succedere,» si difese Boumour. Poi fissò Svengaard, che aveva estratto una siringa a pressione dalla borsa di Igan e la stava preparando. «Cosa sta facendo?»

«Le somministro una leggera dose di enzimi che stimoleranno la produzione degli ormoni di cui abbisogna,» spiegò Svengaard. Diede un’occhiata a Harvey, notando la paura che provava, e la necessità che l’altro aveva di essere rassicurato. «Per il momento, è la cosa migliore che possiamo fare per lei, Durant. Dovrebbe funzionare, se il corpo di sua moglie non ha risentito troppo di questo.» Con un gesto, indicò la loro fuga, la tensione emotiva, la stanchezza.

«Faccia tutto quello che ritiene necessario,» disse Harvey. «So che in ogni caso farà del suo meglio.»

Svengaard praticò l’iniezione, diede un colpetto affettuoso sul braccio di Lizbeth. «Tenti di rilassarsi. Riposi. Non si muova, se può farne a meno.»

Lizbeth annuì. Stava "leggendo" Svengaard, e aveva percepito la sua genuina preoccupazione nei propri confronti. Il suo tentativo di rassicurare Harvey l’aveva commossa, ma era invasa da timori che non riusciva a scacciare.

«Glisson,» sussurrò.

Svengaard intuì i pensieri di Lizbeth, disse, «Non permetterò che nessuno la faccia muovere di qui, prima di essere sicuro che lei si sia ristabilita. Lui e la sua guida dovranno aspettare.»

« Lei non permetterà?» ripeté Boumour in tono ironico.

Come per sottolineare quelle parole, il terreno che li circondava tremò con uno spaventoso brontolio. La polvere penetrò nella stanza dalla stretta entrata e mentre iniziava a ricadere, Glisson si materializzò, come per un qualche trucco da illusionista.

Non appena il terreno aveva iniziato a tremare, Harvey si era buttato al suolo con Lizbeth, coprendola col suo corpo.

Svengaard era ancora chino accanto alla borsa di Igan.

Boumour si era voltato di scatto a fissare Glisson. «Raggi sonici?» sibilò Boumour.

«No,» rispose Glisson. La voce solitamente fredda del Cyborg aveva assunto un tono cantilenante.

«Glisson non ha più le braccia,» fece notare Harvey.

Allora se ne accorsero tutti: dalle spalle del Cyborg, invece delle braccia, pendevano cavi sconnessi, che erano serviti a controllare gli arti di Glisson.

«Sono stati loro a intrappolarci qui dentro,» annunciò il Cyborg, ancora una volta con tono cantilenante, come se qualcosa si fosse rotto all’interno del suo corpo. «Come potete vedere, sono privo di braccia. Non è divertente? Ora avete capito perché non abbiamo mai potuto combatterli apertamente ? Quando vogliono, possono distruggere qualunque cosa… chiunque.»

«Igan?» bisbigliò Boumour.

«Quelli come lui sono facili da distruggere,» spiegò Glisson. «Ho assistito all’evento. Accettate la mia parola.»

«Ma cosa faremo?» domandò Harvey.

«Fare?» Glisson lo fissò. «Aspetteremo.»

«Ma uno di voi ha affrontato un’intera squadra della Sicurezza, quando Potter è fuggito,» gli ricordò Boumour. «E adesso tutto quel che sa fare è aspettare?»

«Non sono stato programmato per usare la violenza,» lo informò Glisson. «Vedrete.»

«Cosa ci faranno?» sibilò Lizbeth.

«Tutto quel che vorranno,» replicò Glisson.

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