— Per l’amor di Cristo — lo interruppe Robinson. — Vuol dirci o no cosa abbiamo ricevuto?
Kresh pareva sempre più agitato. — Scusatemi. Dovete capire che questa è stata un’esperienza che mi ha scombussolato moltissimo, che ha scombussolato tutti… — Riprese fiato. — Vi trasmetto le immagini sullo schermo. Sapete, credo, che la sonda era programmata per entrare nel sistema di Proxima Centauri, cercare pianeti che potessero essere abitabili, mettendosi poi in orbita intorno a quelli che avesse trovato, calandosi nell’atmosfera di qualunque pianeta mostrasse chiari segni di forme di vita? Le nove ore di trasmissione arrivate finora coprono in realtà un tempo reale di due mesi. Questa è Proxima Centauri vista da una distanza di zero virgola cinque unità astronomiche.
Kresh scomparve dallo schermo. Al suo posto comparve l’immagine d’una piccola e pallida stella rossa. Due altre stelle, assai più luminose, erano visibili in un angolo dello schermo.
— La nana rossa è Proxima — riprese a dire Kresh. — Quelle, sono le sue compagne, Alfa Centauri A e B, che sono simili al nostro sole come tipo di spettro. Quelli del Cal Tech mi dicono che tutte e tre le stelle sembrano possedere sistemi planetari. Comunque, la Sonda Stellare ha trovato che i pianeti di Proxima sono di maggiore interesse, e così…
Adesso sullo schermo comparve una sfera verde anonima.
— Mio Dio — mormorò Robinson.
Kresh proseguì: — Questo è il secondo pianeta del sistema di Proxima Centauri, situato a zero virgola ottantasette unità astronomiche dalla stella. Proxima Centauri, mi dicono, mostra spiccatissimi «flares», cioè è soggetta a improvvise fluttuazioni di luminosità che sarebbero pericolose per forme di vita che si trovassero più vicine. Ma la Sonda Stellare ha individuato segni di vita su Proxima Due e si è riprogrammata per un approccio planetario…
Sullo schermo, una turbinante nebbia spessa e impenetrabile, pesante, verde.
Verde?
— Oh, mio Dio — disse di nuovo Robinson. Elszabet sedeva, tesissima, le mani serrate a pugno, i denti affondati nel labbro inferiore.
Un’altra inquadratura, sotto la coltre delle nubi.
— Come potete vedere — disse ancora Kresh, — malgrado Proxima Centauri sia una stella rossa, la coltre delle nubi è così spessa che dalla superficie del secondo pianeta appare verde. Inoltre la coltre di nubi, così mi dicono quelli del Cal Tech, crea una specie di effetto-serra che mantiene la temperatura del pianeta entro una gamma di valori adatti al metabolismo delle creature viventi, malgrado la costante di emissione del primario del sistema, Proxima Centauri…
Un’altra inquadratura, adesso da un’orbita più bassa, praticamente sfiorando le nubi. Entrarono in gioco le telecamere ad alta definizione. Un cambiamento di lunghezza focale; poi, nuove immagini, fantasticamente ricche di particolari. Un delizioso paesaggio, verdi colline lussureggianti, verdi laghi splendenti. Più in basso, edifici: strutture misteriose d’un disegno inquietante e alieno, angoli inaspettati, disorientanti circonvoluzioni architettoniche. Un altro incremento nella capacità di risoluzione della telecamera. Figure che si muovevano su un prato, alte, affusolate, fragili nell’aspetto, con corpi cristallini luminosi come specchi, file di occhi sfaccettati situati su ognuno dei quattro lati delle loro teste a forma di losanga. — Mio Dio — mormorò Dan Robinson, più e più volte. Elszabet non si mosse, respirava appena, non lasciava neppure che i suoi occhi ammiccassero. Quella è la Triade dei Misilyne, pensò. E quelli devono essere i Suminoors, e quegli altri i Gaarinar. Oh. Oh. Oh. Era paralizzata dallo sgomento e dalla meraviglia. Voleva piangere; voleva lasciarsi cadere sulle ginocchia e mettersi a pregare; voleva correre fuori e gridare alleluia! Ma era incapace di muoversi. Rimase perfettamente immobile, pietrificata dallo stupore, mentre sullo schermo le immagini verdi si succedevano alle immagini verdi. Ogni cosa era insopportabilmente strana. Ogni cosa era bizzarramente aliena.
E allo stesso tempo ogni cosa le era così completamente, totalmente familiare , come se stesse guardando le fotografie della cittadina dov’era vissuta quand’era bambina.
Il gitano Snap e Pedro
non sono affatto camerati di Tom.
I punk io li disprezzo e i tagliaborse li maledico,
come le smargiassate dei ragazzi schiamazzanti.
Il mansueto, il candido, il gentile
mi toccano invece a fondo e non mi risparmiano.
Ma quelli che ostacolano Tom Rinoceronte
fanno ciò che neppure la pantera osa.
Malgrado io canti
«Un po’ di cibo, qualcosa da mangiare,
da mangiare, da bere o da vestire.
Vieni dama o fanciulla,
non aver timore.
Il povero Tom non farà male a nessuno».
Canto di Tom o’ Bedlam
Cominciava a far buio, prima del solito. Qualche nuvola cominciava ad arrivare dal nord, forse ci sarebbe stata perfino un po’ di pioggia, quella notte, pensò Tom. La prima della stagione. La sera prima limpida e fresca, la luce della luna vivida, intensa; quella notte, forse, pioggia. Un cambiamento di clima che forse annunciava altri e più grandi cambiamenti di lì a poco. Torna nella tua stanza, fai una bella doccia, vestiti per la cena. Poi fai una chiacchierata con qualcuna delle persone di qui, questo Ferguson, la ragazza grassa, April, qualcun altro. Il Tempo della Traversata era prossimo. Con la venuta della pioggia, la stagione stava cambiando.
— Andiamo — disse Tom, rivolto a Ferguson. — Sono ore che siamo qui fuori. Adesso bisogna rientrare.
— Sì — annuì Ferguson. — Sicuro. — Pareva sveglio soltanto per metà, o meno ancora, sognante, disorientato. Era così da quando Tom gli aveva fatto avere la visione. Seduto tranquillo sotto quegli alberi giganteschi, sorridente, scuotendo la testa di tanto in tanto, senza quasi dire niente. Era come se il sogno del Mondo Verde l’avesse stordito. Oppure si trattava di qualcos’altro? si chiese Tom. Forse qualcuno si era finalmente rivolto a lui, dicendogli: Senti, amico, m’importa di te, che sei un assoluto estraneo, senza nessuna dannata possibilità di guadagnarci qualcosa. Voglio che tu la smetta di soffrire, e questo è ciò che posso fare per te. Forse nessuno gli aveva mai detto niente del genere prima di allora, pensò Tom.
— Su, allora. Alzati.
— Sì. Sì. Vengo.
— Ti do una mano. Ecco.
Tom tirò su Ferguson. Era un uomo grande e possente, un sacco di muscoli. Farlo alzare fu un lavoro duro. Ferguson vacillò avanti, indietro. Calma, pensò Tom. Riprendi l’equilibrio. Sperò che Ferguson non cadesse. Ricordo lo sforzo che aveva dovuto fare per sorreggere April quand’era stata lei a cadere. Calma. Calma.
Ferguson riuscì a rimettersi in equilibrio. S’incamminarono verso il sentiero che conduceva al Centro.
— Credi che d’ora in poi li farò sempre, i sogni spaziali? — chiese Ferguson. — Senza che tu debba farmi questo, intendo.
— Certamente — rispose Tom. — Perché no? Sei spalancato. Lo sei sempre stato, soltanto che non volevi ammetterlo. Adesso sai come fare.
— Che cosa meravigliosa, il Mondo Verde. Adesso capisco tutto il chiasso. Voglio vedere anche gli altri, sai. Tutti e sette.
Tom replicò: — Ce ne sono più di sette.
— Davvero?
— I sette sono soltanto i principali, le visioni più forti. Ce ne sono altri. Migliaia. Milioni. Un’infinità. Alcuni mi si sono manifestati soltanto una volta, per una frazione di secondo. Alcuni solo un paio di volte, ad anni di distanza. Ma i sette principali, questi si manifestano in continuazione. Sono questi che posso offrire agli altri, i più forti, i principali.
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