In pochi secondi era tutto finito. Poi lui si staccò ed entrambi rimasero lì tremanti, l’uno di sollievo e l’altra di orrore; e lui l’avvisò che non le conveniva raccontare la faccenda ai loro genitori perché probabilmente non le avrebbero creduto, e se chiamavano un medico per la constatazione ci sarebbero stati certamente dei pettegolezzi, e una volta che questi avessero cominciato a spargersi per la città le avrebbero mandato in fumo per sempre ogni possibilità di fare un matrimonio adeguato.
Lei si limitò a fissarlo. Timothy non aveva mai visto uno sguardo così carico di odio.
Si diresse alla propria stanza, cadendo un paio di volte. Quando si destò, sul tardo pomeriggio del giorno seguente, era di nuovo lucido: fu sopraffatto dal terrore all’idea che da basso l’aspettasse la polizia. Ma c’erano soltanto suo padre, la sua matrigna, e la servitù. Nessuno si comportò come se fosse successo qualcosa d’insolito. Suo padre gli sorrise e gli domandò com’era andata la festa. Sua sorella era uscita con amici.
Non fece ritorno che all’ora di cena. Aveva un’aria normalissima e salutò Timothy con l’abituale cenno del capo, freddo e distante. Più tardi lo prese in disparte e gli disse, con una, voce tanto minacciosa da essere terrificante: — Se ti provi un’altra volta a farmi una cosa del genere, ti giuro che ti becchi una coltellata nelle palle.
Fu la prima e l’ultima volta che accennò al misfatto del fratello. Nei quattro anni trascorsi da allora non ne ha più parlato, almeno non a lui ma probabilmente a nessun altro: è chiaro che ha sigillato l’episodio in un remoto angolino della mente, classificandolo come la disavventura di una sera. Io stesso posso testimoniare che ha sempre conservato una superficie perfettamente glaciale, tenendo fede al ruolo di vergine sempiterna che si era prefissa.
E questo era tutto. Il grande segreto di Timothy. Terminato di parlare, Timothy ha rialzato gli occhi: era vuoto, prosciugato, grigio in volto, vecchio di un milione e mezzo di anni.
— Non hai idea di come mi sono sempre sentito idiota per aver fatto una cosa del genere — ha detto. — Idiota e in colpa.
— E adesso ti senti meglio?
— No.
Non sono rimasto sorpreso. Non ho mai creduto che aprire l’animo possa liberare dal rimorso. Serve solo a mettere a disagio qualcun altro.
Quella che Timothy mi aveva raccontato era una storia sporca, sordida. Una storia di gente ricca e oziosa, sempre intenta a fregarsi a vicenda nel solito modo, sempre preoccupata della verginità e delle convenienze, sempre pronta a creare piccoli melodrammi imperniati sullo snobismo e sulla frustrazione, per potervi avere insieme ai propri amici il ruolo dei personaggi principali.
Quasi provavo dispiacere per Timothy: il grosso, impacciato, cordiale, aristocratico Timothy, tanto vittima quanto colpevole, che cercava semplicemente un po’ di commedia, là a quel circolo sportivo, e invece si era preso una ginocchiata all’inguine. E così si era ubriacato e aveva violentato sua sorella perché pensava che ciò l’avrebbe fatto sentir meglio, o perché non pensava più del tutto. E questo era il suo grande segreto, il suo tremendo peccato inconfessabile.
Mi sentivo insudiciato anch’io. Era una storia meschina, spregevole, e ora me la dovevo portare dentro per sempre. Non sono riuscito a trovare una sola parola da dirgli.
Dopo forse una decina di minuti di silenzio, Timothy si è alzato pesantemente e si è diretto alla porta strascicando i piedi.
— Benissimo — ha detto. — Ho fatto quello che voleva Fra Javier. Adesso mi sento come un sacco di merda. E tu come ti senti, Oliver? — Una breve risata. — E domani tocca a te.
È uscito.
Già. Domani tocca a me.
— Ecco — ha esordito Oliver. — Un giorno, agl’inizi di settembre, io e il mio amico Karl siamo andati a caccia. Per tutta la mattina abbiamo cercato colombi selvatici o pernici nei boschetti a nord della città, ma non abbiamo preso nient’altro che polvere. Poi, usciti dalla macchia, ci siamo trovati davanti un laghetto: uno stagno, più esattamente. Eravamo accaldati e sudati, perché l’estate non era ancora finita del tutto. Perciò ci siamo tolti fucili e vestiti e abbiamo fatto una nuotata; poi ci siamo distesi su una grossa roccia piatta, ad asciugarci, e intanto speravamo che qualche uccello passasse di lì in modo che potessimo abbatterlo senza neppure alzarci.
"A quell’epoca Karl aveva quindici anni e io quattordici, ma io ero più grosso di lui perché mi ero sviluppato più in fretta e già in primavera l’avevo superato. Fino a pochi anni prima, Karl mi era sembrato tanto più grande e sviluppato di me; ma ora, al mio confronto, sembrava sottile e fragile.
"Siamo rimasti a lungo in silenzio; poi, mentre io stavo per proporre di rivestirci e cambiare zona, Karl si è girato verso di me, con uno sguardo singolare, e si è messo a scrutarmi il corpo, soprattutto l’inguine. Intento parlava delle ragazze: come sono stupide, che versi stupidi fanno quando uno le corica, com’era stufo lui di dover fare discorsi amorosi prima che loro lo lasciassero entrare, com’era stufo delle loro sciocche tette cascanti, delle loro risatine, del loro trucco, quanto detestasse dover loro comprare bibite é ascoltare le loro chiacchiere, e così via. Un sacco di discorsi su questo argomento. Io ho fatto una risata e ho detto: ’Be’, le ragazze avranno i loro difetti, ma sulla piazza non c’è altra scelta, no?’. E Karl ha detto: ’Si che c’è’.
"A questo punto mi sono convinto che mi stava prendendo in giro, e gli ho detto: ’Karl, a me non è mai piaciuto molto scopare le vacche o le pecore. O forse ultimamente ti sei messo con le anitre?’.
"Lui ha scosso il capo, con un’aria seccata. ’Non parlo di scopare gli animali’, ha detto, col tono che si usa parlando a un bambino. ’Quella merda lì è per gl’imbecilli, Oliver. Io sto solo cercando di spiegarti che esiste una maniera per venire senza aver bisogno di una ragazza, una maniera piacevole e pulita. Non abbiamo bisogno di venderci alle ragazze e di fare tutta la merda che loro vogliono farci fare per accontentarle, capisci cosa voglio dire? È una cosa semplice e leale, senza sorprese, con le carte tutte in tavola. Sai cosa ti dico? Non rifiutarla se prima non l’hai provata’.
"Io non ero ancora ben sicuro di quello che Karl intendeva: in parte perché ero ingenuo, e in parte perché non volevo credere che intendesse davvero quello che pensavo. Ho fatto un mezzo grugnito non impegnativo, che Karl deve aver scambiato per un invito a proseguire perché ha allungato una mano e me l’ha messa sulla coscia, in alto.
"’Ehi, un momento!’, ho detto, e lui ha detto: ’Non rifiutarla se prima non l’hai provata, Oliver’. Proseguendo con una voce bassa e cavernosa, mi ha spiegato che le donne non sono altro che animali, che lui voleva tenersene alla larga per tutta la vita, che anche se si fosse sposato non avrebbe avuto contatti con sua moglie se non per fare figli, ma che per il resto, per quanto riguardava il proprio piacere, si sarebbe sempre rivolto solo agli uomini, perché vedeva questa soluzione come l’unica accettabile e onesta. ’Andiamo a caccia con altri uomini’, ha detto, ’giochiamo a carte con altri uomini, ci ubriachiamo con altri uomini, parliamo con gli uomini come non parleremmo mai con le donne, aprendoci completamente: e allora perché non dovremmo andare fino in fondo e fare con gli uomini anche l’amore?’
"E mentre mi spiegava queste cose, parlando molto in fretta, senza mai lasciarmi infilare neanche mezza parola, riempiendomi la testa al punto che tutto quello che diceva mi sembrava ragionevole e logico, Karl mi teneva la mano sulla coscia, in maniera indifferente, così come si potrebbe tenere la mano sulla spalla di uno mentre gli si sta parlando; e poi ha cominciato a muoverla su e giù, su e giù, e ogni volta mi arrivava più vicino all’inguine.
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