Robert Silverberg - Monade 116

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Monade 116: краткое содержание, описание и аннотация

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Anno 2381: nell’esistenza umana l’utopia è diventata realtà. Guerre, fame, contrasti sociali, criminalità e controllo delle nascite sono ormai un semplice ricordo del passato. L’esistenza si svolge tranquilla e ordinata all’interno di giganteschi grattacieli alti centinaia di piani. In una specie di ciclo chiuso, gli esseri umani nascono, studiano, lavorano, mettono al mondo figli, muoiono, senza mai uscirne. I figli sono considerati la massima benedizione di dio e il solo pensiero di porre un limite al loro numero è un’eresia. La libertà sessuale è totale: agli uomini — e alle donne — è permesso cambiare letto ogni notte e giacere con il partner che essi desiderano volta per volta. Soltanto chi è in preda alla pazzia può concepire il desiderio dl una vita privata, dell’intimità coniugale, e nutrire sentimenti di gelosia, tutti sintomi di una pericolosa eresia. Poiché è stato del tutto eliminato il bisogno di uscire fuori del proprio ambiente, di viaggiare, se n’è estinto anche il desiderio. Risuscitare tale desiderio sarebbe una grave eresia, e per chi si rende colpevole di eresia ci sono diversi trattamenti, il più drastico dei quali è l’eliminazione fisica del colpevole, la morte. Ma il numero di coloro che vengono colti da impulsi malsani, che desiderano sfuggire alla facile esistenza programmata delle monadi urbane, alla ricerca di qualcosa che neanche loro sanno con esattezza cosa sia, ma che è radicata nell’anima degli esseri umani, aumenta. Ormai, infatti, la vita stessa è diventata un’utopia. Robert Silverberg, un autore che si è imposto nel campo della fantascienza, oltre che della narrativa, vincitore di un premio Hugo ed ex-presidente dell’associazione degli scrittori americani di science fiction, ripropone in questo libro uno dei più pressanti problemi dell’umanità, prospettandone una terrorizzante conclusione.
Nominato per premio Hugo in 1972.

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Aurea trema. «Dove andranno?»

«Mi dicono che la nuova monade è quasi pronta. Numero 158.»

L’anima di Aurea è colma di pietà e di terrore. «Com’è orribile venire mandato in qualche altro posto! Memnon, non ci manderanno via di qui!»

«Certamente no. Dio benedica, siamo gente che vale! Ho una capacità di…»

«Ma non abbiamo bambini. Questa categoria è la prima a venire allontanata, non è vero?»

«Dio ci benedirà presto.» Memnon la prende tra le braccia. È forte, alto e magro, ha capelli rossi ondulati e un’espressione tesa, solenne. Al suo fianco Aurea sembra fragile e debole, sebbene in realtà sia robusta e agile. La sua corona di capelli d’oro si sta scurendo. Gli occhi sono verde pallido. Il seno è pieno e i fianchi larghi. Sìegmund Kluver dice che sembra una dea della maternità. Molti uomini la desiderano e vengono frequentemente a dividere la sua piattaforma-letto. Tuttavia rimane sterile. Negli ultimi tempi è diventata molto sensibile a questo fatto. L’ironia sulla sua voluttuosità sprecata la colpisce sempre.

Memnon la lascia ed ella cammina stancamente per il dormitorio. È una camera lunga e stretta che descrive un angolo retto attorno al nucleo centrale dei servizi della monade. Le pareti risplendono di motivi intarsiati color blu, oro e verde cangianti. File di piattaforme-letto, alcune sgonfie, altre utilizzate, coprono il pavimento. I mobili sono spogli e semplici e l’illuminazione, sebbene diffusa indirettamente dall’intera superficie del pavimento e dal soffitto, è quasi troppo intensa. Parecchi schermi e tre terminal di calcolatori sono montati sulla parete della camera volta a est. Ci sono cinque aree di secrezione, tre aree di ricreazione per la comunità, due impianti di doccia e due aree di privacy. Per tacita consuetudine gli schermi per la privacy non vengono mai sollevati in questo dormitorio. Quello che uno fa, lo fa davanti agli altri. La totale accessibilità di ognuno a tutti gli altri è la sola regola per mezzo della quale la civiltà della Monurb può sopravvivere, e in una residenza di massa come questa la regola è sommamente vitale.

Aurea si ferma vicino alla maestosa finestra dell’estremità est del dormitorio e guarda fuori. Il sole comincia a tramontare. Oltre le strade, la splendida mole di Monade Urbana 117 sembra tinta di rosso dorato. Aurea segue la guglia della grande torre per tutta la sua lunghezza, dal piano di approdo alla sommità del millesimo piano fino all’ampia parte centrale dell’edificio. Dal suo angolo visuale, non può scorgere molto al di sotto del 400° piano della struttura attigua.

Com’è, si chiede, la vita a Monade Urbana 117? O alla 115, alla 110, alla 140? Tutt’intorno a lei, fino alla linea dell’orizzonte, si stendono le torri della costellazione Chipitts, cinquanta imponenti pilastri di calcestruzzo, ognuno dei quali è alto tre chilometri, ognuno dei quali ospita un’entità controllata autonomamente di 800.000 esseri umani. A Monurb 117, pensa Aurea, si trovano persone che hanno un aspetto del tutto simile al nostro. Camminano, parlano, si vestono, pensano, amano proprio come noi. Monurb 117 non è un altro mondo. È soltanto l’edificio della porta accanto. Noi non siamo unici. Noi non siamo unici. Noi non siamo unici.

Il timore si impadronisce di lei.

«Memnon,» dice con voce aspra, «quando verrà l’ora dello sfoltimento, ci manderanno a Monurb 158.»

Siegmund Kluver è uno dei fortunati. La sua fertilità gli ha procurato un posto incontestabile a Monurb 116. La sua posizione è sicura.

Sebbene abbia appena compiuto quattordici annni, Siegmund è già padre di due figli. Il figlio si chiama Janus e la figlia neonata Persephone. Siegmund vive in un bellissimo appartamento di cinquanta metri quadrati al 787° piano, un poco più in alto del piano di mezzo di Shanghai. È specializzato nella teoria dell’amministrazione urbana e, benché sia così giovane, trascorre già gran parte del suo tempo a Louisville come consulente degli amministratori. È piccolo di statura, ha un bell’aspetto, è veramente forte, ha una grossa testa e folti capelli ricciuti. Durante l’infanzia è vissuto a Chicago ed era uno degli amici più intimi di Memnon. Si vedono ancora molto spesso; il fatto che ora essi vivano in città diverse non ostacola la loro amicizia.

Gli incontri mondani tra gli Holston e i Kluver avvengono sempre nell’appartamento di Siegmund. I Kluver non scendono mai a Chicago per fare visita ad Aurea e Memnon. Siegmund afferma che in ciò non c’è alcuno snobismo. «Perché dovremmo sederci tutti e quattro in un dormitorio rumoroso,» chiede, «quando possiamo trovarci insieme comodamente nella privacy del mio appartamento?» Aurea diffida di questo atteggiamento. Non si ritiene che la gente della Monurb debba considerare la privacy come un premio così grande. Il dorm non è un posto abbastanza buono per Siegmund Kluver?

Siegmund un tempo dormiva nello stesso dormitorio in cui dormono Aurea e Memnon. Questo accadeva due anni prima, quando tutti erano appena sposati. Parecchie volte, in quei giorni lontani, Aurea aveva concesso a Siegmund il proprio corpo. Ma la moglie di Kluver rimase incinta quasi subito, e questo fatto qualificò i Kluver a richiedere un appartamento privato: i progressi che il giovane faceva nella professione gli permisero di trovare una camera nella città di Shanghai. Aurea non ha più diviso la sua piattaforma-letto con Siegmund da quando egli ha lasciato il dormitorio. Questo le spiace, perché gli abbracci di Siegmund le procuravano piacere, ma ormai può fare ben poco. Le probabilità che egli si rechi da lei come passeggiatore notturno sono trascurabili. Le relazioni sessuali tra persone che vivono in città diverse sono correntemente considerate sconvenienti e Siegmund si conforma all’uso. Può camminare di notte nelle città che si trovano al di sopra della sua, ma è improbabile che scenda più in basso.

Siegmund è ora chiaramente destinato a cose più importanti. Memnon dice che a diciassette anni non sarà uno specialista nella teoria dell’amministrazione urbana, ma un vero amministratore, e vivrà nella nobile Louisville. Siegmund trascorre già molto tempo con i capi della Monurb. E anche con le loro mogli, ha sentito dire Aurea.

È un ospite eccellente. Il suo appartamento è caldo e piacevole: su due delle pareti scintillano pannelli di uno dei materiali decorativi, che emette un dolce mormorio modulato sulla lunghezza d’onda che ha scelto il proprietario. Questa sera Siegmund ha regolato i pannelli quasi sull’ultravioletto, e l’emissione dell’audio ha un tono prossimo al supersonico; l’effetto è una tensione dei sensi, che vengono spinti verso la loro massima ricettività, una sfida stimolante. Egli ha anche un gusto squisito nel maneggiare i fori di profumo della camera: l’aria odora di gelsomino e di giacinto. «Volete un eccitante?» chiede. «È appena giunto da Venere. Del tutto degno di benedizione.» Aurea e Memnon sorridono e annuiscono. Siegmund riempie una grande esile tazza d’argento del costoso liquido scintillante e la posa sul tavolo-piedestallo. Un colpetto di pedale sul pavimento e il tavolo si solleva all’altezza di 150 centimetri. «Mamelon?» dice. «Vuoi unirti a noi?» La moglie di Siegmund fa scivolare la neonata nella fessura di assistenza vicino alla piattaforma-letto e attraversa la camera dirigendosi verso i suoi ospiti. Mamelon Kluver è veramente alta, scura di carnagione e di capelli, raffinatamente bella in un modo selvaggio. La fronte è alta, gli zigomi prominenti, il mento aguzzo; gli occhi, attenti e lucenti, distanti, sembrano quasi troppo grandi, troppo dominanti nel viso pallido e affilato. La bellezza di Mamelon fa sì che Aurea si senta sulla difensiva per le sue morbide fattezze: il naso camuso, le guance rotonde, le labbra piene, lo spolverio leggero di lentiggini sulla pelle di bronzo. Mamelon è la più vecchia delle persone che si trovano nella camera, ha quasi sedici anni. I suoi seni sono gonfi di latte: sono trascorsi soltanto undici giorni dal parto e allatta. Aurea non ha mai conosciuto un’altra che abbia deciso di allattare. Mamelon è sempre stata diversa, però. Aurea è ancora un poco impaurita dalla moglie di Siegmund che è così fredda, così padrona di sé, così matura. Così appassionata, anche. A dodici anni, sposa novella, Aurea veniva svegliata ripetutamente la notte dalle grida di estasi di Mamelon che echeggiavano per il dormitorio.

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