In tono discorsivo, Kathie disse: «Com'è cara, vostra cugina Linnell! È come se fosse davvero la mia gemella; le ho voluto bene fin dal primo momento che l'ho vista. Ma Callina mi fa paura. Non voglio dire che non è gentile, perché nessuno potrebbe essere più gentile di lei! Ma mi sembra quasi non umana. Per favore, potremmo smettere di danzare? Sulla Terra, tutti dicono che sono una brava ballerina, ma qui mi sento goffa come un elefante!»
«Probabilmente, non avete mai studiato la danza con la nostra assiduità», commentai.
Del resto, quella era una delle cose che mi avevano colpito, sulla Terra. L'indifferenza con cui si dedicano all'unica attività che ci distingue dai quadrupedi. Donne che non sanno danzare! Come può, un uomo, trovarle belle?
Per caso, ero girato verso l'ingresso, quando le tende si aprirono e Callina Aillard entrò nella sala.
E, almeno per me, tutta la musica si fermò bruscamente.
Avete mai visto il buio dello spazio interstellare punteggiato di singole stelle? Callina era come quello spazio, con un vestito nero trapunto di brillanti costellazioni; anche sui capelli, avvolti in una spessa rete di colore nero, portava alcune gemme brillantissime.
«Com'è bella!» sussurrò Kathie. «Che costume è? Non ho mai visto un vestito simile.»
«Neanch'io», dissi. «Lo avrà inventato lei, a fantasia.»
Tuttavia, era una menzogna. Non riuscivo a capire come una ragazza alla vigilia del matrimonio — anche un matrimonio non voluto — potesse indossare il tradizionale costume della Vendicatrice, la dea degli inferi e della dannazione: la Regina della Notte, Naotalba, figlia della Distruzione e data dagli dèi, contro il suo volere, in moglie del demone Zandru. Che faccia avrebbe fatto Beltran, quando avesse capito che la sua promessa sposa lo vedeva come Zandru? Era difficile trovare un insulto peggiore: peggiore addirittura che vestirsi come il carnefice.
Mi scusai con Kathie e raggiunsi Callina. Dopotutto, aveva accettato il volere dei Comyn; non aveva il diritto di mettere in imbarazzo i suoi famigliari, adesso che mancavano pochi giorni alle nozze.
Tuttavia, quando la raggiunsi, il Reggente Hastur la stava già sgridando. Sentii le sue ultime parole.
«Comportarti come una bambina dispettosa, capricciosa!» diceva.
«Nonno», rispose lei, in tono gelido. «Non puoi chiedermi di mentire, né di sembrare quella che non sono. Questo costume è proprio di mio gusto. Rispecchia il modo in cui sono stata trattata dai Comyn per tutta la vita.»
Rise con amarezza.
«Beltran di Aldaran», disse, «sarebbe disposto a sopportare insulti ancor peggiori di questo, pur di entrare in Consiglio! Lo vedrete!»
Lasciò il Reggente e si girò nella mia direzione. «M'inviti a ballare, Lew?»
Non era una domanda, ma un ordine. Io obbedii, ma la disapprovavo, e glielo lasciai capire. Che vergogna, rovinare così il primo ballo di Linnell!
«Mi spiace per lei», disse Callina, «ma questo vestito rispecchia il modo in cui mi sento. E mi sta bene, no?»
Le stava davvero bene.
«Maledizione, sei troppo bella», le dissi, con la voce roca. «Callina, non ti permetterò di terminare questa farsa!»
La spinsi dietro le tende e mi chinai per baciarla, selvaggiamente, schiacciandole le labbra. Per un momento lei rimase passiva tra le mie braccia, troppo sorpresa per reagire; poi s'irrigidì e mi allontanò con la forza.
«No! No!» disse.
Abbassai le braccia e la fissai, mentre la mia faccia si faceva sempre più rossa per la furia.
«Non ti comportavi così, questa notte!» la accusai.
Callina mi sembrava sul punto di piangere.
«Non potresti risparmiarmi tutto questo?» chiese.
«Hai mai pensato che c'erano delle cose che tu avresti potuto risparmiarmi?» le dissi. «Addio, comynara Callina; auguro a Beltran ogni gioia dal suo matrimonio.»
Sentii che cercava di prendermi per il gomito, ma, con uno strattone, mi liberai e mi allontanai.
Attraversai la sala, con inquietudine. C'era qualcosa che mi dava un leggero fastidio: come un disturbo telepatico, come se qualcuno, pochi istanti prima, avesse tentato di impossessarsi della mia volontà.
Aldaran aveva preso a danzare con Callina; con perfidia, mi augurai che cercasse di baciarla. Dov'erano Lerrys e Dyan? Erano in costume, irriconoscibili. In quella sala avrebbe potuto esserci metà della colonia terrestre, e io non l'avrei mai saputo.
In un angolo, Rafe Scott chiacchierava con Derik; questi era rosso in viso e, nel salutarmi, aveva la voce spessa e incespicava sulle parole.
«'Sera, Lew», mi disse, con il tono degli ubriachi.
«Derik», gli chiesi, «per caso hai visto Regis Hastur? Sai che costume abbia?»
«Non lo so», mi rispose. «Io sono Derik, se mi cerchi, e non so altro. Faccio già abbastanza fatica a ricordarmelo. Perché non provi a essere Derik anche tu?»
«Proprio un bello spettacolo», dissi. «Derik, cerca di ricordare chi sei! Esci fuori, cerca di farti passare l'ebbrezza. Non ti rendi conto dello spettacolo che dai ai terrestri!»
«Sei tu, che dimentichi chi sei», mi rispose. «Quello che faccio io, non ti riguarda. E, poi, non sono ubriaco.»
«Ah, Linnell sarà fiera di te!» ironizzai.
«Quella ragazzina è arrabbiata con me», disse, lasciando da parte la collera e parlando in tono di autocommiserazione. «Non vuole neppure danzare con me.»
«E chi sarebbe disposta a farlo?» risposi io, piantando saldamente i piedi in terra per resistere alla tentazione di prenderlo a calci.
Mi allontanai da lui per cercare il Vecchio Hastur, che aveva un'autorità superiore alla mia e che sarebbe riuscito a farsi obbedire da Derik. Era già abbastanza brutto avere una Reggenza in momenti così difficili, ma che l'erede designato dovesse fare pubblicamente la figura dell'idiota, davanti a mezzo pianeta e agli ospiti di altri mondi…!
Scrutai in mezzo alla confusione di costumi, alla ricerca del Vecchio Hastur. Un ospite in particolare mi colpì, e riconobbi subito il costume: avevo già visto la figura di Arlecchino nei vecchi disegni della Terra. Con i calzoni e la casacca a rombi multicolori, la faccia mascherata e un berrettuccio a punta, in quel momento mi parve qualcosa di orribile. Non per il costume, che a suo modo faceva soltanto ridere, ma quell'uomo aveva su di sé un'atmosfera che…
Oh, maledizione, pensai, irritato con me stesso. Cominciavo ad avere le allucinazioni?
«Vero. Non piace neanche a me», disse Regis, con voce pacata, al mio fianco. «E non mi piace l'atmosfera di questa sala… e di questa festa.» Tacque per un istante, poi proseguì: «Sono andato da mio nonno, oggi, e gli ho chiesto di aprire il mio laran. »
Io gli strinsi il braccio, senza parlare. Ogni Comyn, prima o poi, deve sottoporsi al doloroso procedimento di farsi imprimere nella mente le conoscenze di famiglia.
«Adesso, le cose sono diverse», disse lentamente. «O sono diverso io. Adesso so che cos'è la Dote degli Hastur, e perché in tante persone della mia famiglia è un carattere recessivo. Purtroppo, in me, non è recessivo come in mio nonno.»
Non risposi. Sapevo che avrebbe finito per accettarla, ma per il momento, quella forza, quella nuova dimensione dei suoi poteri — qualunque fosse — era ancora una dolorosa ferita nel suo cervello.
«Ti ricordi della Dote degli Alton e di quella degli Hastur?» mi chiese. «Quanto possono resistere le tue barriere? Qui potrebbe succedere il finimondo, lo sai.»
«In un affollamento come questo, le mie barriere non valgono molto», risposi.
Tuttavia, capivo che cosa intendesse dire. La Dote degli Hastur e quella degli Alton sono opposte tra loro, come due magneti della stessa polarità, che non si possono portare in contatto. Io non conoscevo la natura della Dote degli Hastur, ma da tempo immemorabile occorreva adottare grandissime precauzioni, perché un Hastur e un Alton potessero lavorare insieme in un Cerchio di matrici o in altri lavori.
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