— Voglio un figlio — disse Elene.
Damon la fissò, sbalordito dalla tristezza dei suoi occhi. L’amava. Lei era entrata nella sua esistenza scendendo da una nave mercantile e aveva deciso di provare la vita della stazione, sebbene parlasse ancora della sua nave. Per la prima volta da quando erano insieme non provava desiderio per lei… no, con quell’espressione e la morte dell’ Estelle e i suoi motivi di vendetta. Non disse nulla. Avevano deciso che non avrebbero avuto figli fino a quando Elene avesse saputo con certezza se avrebbe sopportato di rimanere. Ciò che gli stava offrendo poteva essere il suo consenso. Poteva essere qualcosa d’altro. Non era il momento di parlare, adesso, nella follia che li circondava. Damon la strinse a sé, l’accompagnò in camera da letto, la tenne stretta a sé durante quelle lunghe ore buie. Lei non disse nulla, e lui non fece domande.
— No — disse l’uomo al banco delle operazioni, questa volta senza guardare l’elenco; e poi, con uno stanco impulso umanitario: — Aspetti. Controllerò di nuovo. Forse non è stato scritto con quella dizione.
Vassily Kressich attendeva, nauseato dal terrore, mentre la disperazione aleggiava su quell’ultimo desolato raduno dei profughi che rifiutavano di allontanarsi dai banchi sui moli: famiglie e individui sparsi che cercavano i parenti, che attendevano notizie. Erano ventisette, sulle panche lì attorno, compresi i bambini; li aveva contati. Erano passati dal primogiorno all’altergiorno della stazione, ed erano venuti gli operatori di un altro turno al banco che costituiva una prova di umanità della stazione nei loro confronti, ma dai computer non arrivava niente di nuovo.
Vassily Kressich attese. L’operatore continuava a battere i tasti. Non c’era niente; e lui capiva che non c’era niente, dalle occhiate che quell’uomo gli rivolgeva. All’improvviso, ebbe un moto di cpmpassione per l’operatore, che era costretto a riprovare senza ottenere nulla, sapendo che non c’erano speranze, circondato da parenti addolorati, e dalle guardie armate che sorvegliavano il banco per precauzione. Kressich tornò a sedersi, accanto alla famiglia che nella confusione aveva perduto un figlio.
Ogni volta era la stessa storia. Erano saliti a bordo in mezzo al panico, con le guardie che pensavano più a imbarcarsi che a mantenere l’ordine e a far imbarcare gli altri. Era colpa loro: non poteva negarlo. La folla aveva inondato i moli, molti cercavano di salire a bordo con la forza senza le autorizzazioni assegnate al personale indispensabile destinato all’evacuazione. Le guardie, prese dal panico, avevano sparato, incapaci di distinguere fra gli assalitori e i passeggeri autorizzati. La stazione Russell si era spenta tra i tumulti. Finalmente anche l’ultima nave era stata caricata, e i portelli erano stati chiusi. Jen e Romy avrebbero dovuto essere a bordo prima di lui. Lui era rimasto, cercando di mantenere l’ordine nel posto assegnatogli. Quasi tutte le navi erano state chiuse in tempo. Ma la folla aveva assalito l’ Hansford , dove le droghe si erano esaurite, dove la pressione di un numero eccessivo di passeggeri aveva devastato ogni cosa e la folla impazzita si era scatenata. La situazione della Griffin era già abbastanza tragica; lui era salito a bordo molto prima dell’ondata che le guardie avevano dovuto stroncare. E aveva sperato che Jen e Romy ce l’avessero fatta a imbarcarsi sulla Lila. L’elenco dei passeggeri aveva certificato che erano sulla Lila : almeno, secondo le comunicazioni che alla fine erano filtrate nella confusione seguita al lancio.
Ma nessuno dei due era sceso a Pell; non avevano lasciato la nave. Nessuna delle persone in condizioni abbastanza critiche per venire ricoverate nell’ospedale della stazione corrispondeva ai loro connotati. Non potevano essere stati arruolati dalla Mallory; Jen non aveva una specializzazione che potesse interessare alla Mallory, e Romy… no, le registrazioni erano sbagliate. Lui aveva creduto all’elenco dei passeggeri, aveva dovuto crederci, perché erano così numerosi che il servizio comunicazioni della nave non poteva inoltrare messaggi diretti. Avevano viaggiato in silenzio. Jen e Romy non erano scesi dalla Lila. Non c’erano mai saliti.
— Hanno sbagliato a buttarli nello spazio — gemette la donna seduta accanto a lui. — Non li hanno identificati. Lui è morto, è morto, doveva essere sull’ Hansford.
Un altro uomo era tornato al banco, e cercava di sapere qualcosa, e sosteneva che l’identificazione dei civili arruolati dalla Mallory era una menzogna; e l’operatore stava effettuando con pazienza un’altra ricerca, comparando i connotati. Ancora un esito negativo.
— Lui c’era — gridò l’uomo all’operatore. — Era nell’elenco, e non è sceso, sono sicuro che c’era. — L’uomo stava piangendo. Kressich rimase seduto, intontito.
Sulla Griffin avevano letto l’elenco dei passeggeri e avevano chiesto i documenti d’identità. Pochi li avevano. Molti avevano risposto a nomi che non erano i loro. Alcuni avevano risposto a più d’un nome, per ottenere razioni doppie, cercando di non farsi scoprire. E lui aveva provato una paura profonda, nauseante: ma molta gente era a bordo delle navi sbagliate, e lui si era reso conto della situazione dell’ Hansford. Aveva avuto la certezza che fossero a bordo.
A meno che si fossero preoccupati e fossero scesi per cercarlo. A meno che avessero commesso un gesto così orribilmente stupido, per paura e per amore.
Le lacrime cominciarono a scorrergli sulle guance. Non erano certo Jen e Romy che potevano essere saliti sull’ Hansford , aprendosi a forza un varco fra uomini armati di pistole, coltelli e pezzi di tubo. Non credeva che fossero tra i morti di quella nave. Era più probabile che fossero ancora sulla stazione Russell, dove adesso regnava la Confederazione. E lui era lì, e non poteva tornare indietro.
Alla fine si alzò, rassegnato. Fu il primo ad andarsene. Andò nell’alloggio che gli avevano assegnato, il dormitorio per gli uomini soli; molti erano giovani, e probabilmente molti erano sotto falso nome, e non erano i tecnici che sostenevano di essere. Trovò una branda libera e ritirò il pacco distribuito dal supervisore. Fece il bagno una seconda volta — gli sembrava di non lavarsi mai abbastanza — e tornò indietro, tra le file di uomini esausti e addormentati, e si sdraiò.
C’era il lavaggio del cervello per i prigionieri abbastanza altolocati che potevano essere di qualche utilità. Jen , pensò, oh, Jen… e il loro figlio, se era vivo, destinato ad essere allevato da un’ombra di Jen, che pensava solo ciò che era approvato e non contestava niente, sottoposta all’Adattamento perché era stata sua moglie. Non era neppure certo che le avrebbero lasciato Romy. C’erano gli asili di stato, che sfornavano i soldati e gli operai della Confederazione.
Pensò al suicidio. Alcuni avevano fatto questa scelta, piuttosto che imbarcarsi sulle navi dirette verso un luogo sconosciuto, una stazione che non era la loro. Quella soluzione non era nel suo carattere. Disteso, immobile, fissò il soffitto metallico nella semioscurità: e sopravvisse, come aveva fatto fino a quel momento, solo, anziano, completamente svuotato.
PELL: 3/5/52
La tensione incominciò a manifestarsi all’inizio del primogiorno: i primi torbidi pellegrinaggi dei profughi alle cucine improvvisate sul molo, i primi tentativi, da parte di coloro che avevano i documenti e da parte di coloro che ne erano privi, di incontrarsi con i rappresentanti della stazione e di stabilire i diritti di residenza: la prima presa di coscienza delle realtà della quarantena.
— Avremmo dovuto andarcene all’ultimo turno — disse Graff, riesaminando i messaggi arrivati all’alba, — quando era ancora tutto tranquillo.
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