Dopo un po’ gli ansiti di Grego tacquero. S’era addormentato. Ender lo portò a letto; dall’altra parte della piccola camera anche Quara era già immersa nel sonno. Ela rimboccò le coperte al bambino, con mani leggere e gentili, poi prese uno straccio e cercò di asciugare i pantaloni di Ender, senza ottenere un gran risultato.
Di ritorno nell’atrio, Miro lo scrutò clinicamente. — Be’, Araldo, credo che lei abbia poca scelta. I miei pantaloni le andrebbero stretti, e anche po’ corti, ma quelli di papà riuscirà certo a metterseli.
Mentre lui ci pensava sopra, Ela si fece avanti. — Mamma non sarà a casa fin fra un’ora. Mi dia i suoi pantaloni, c’è tutto il tempo di lavarli e asciugarli. Intanto si cambi.
— Vada per quelli di Miro, allora — disse Ender. — Se mi staranno corti, porterò pazienza.
CAPITOLO OTTAVO
DONA IVANOVA
Significa una vita di continui sotterfugi. Andate a osservare e vi accade di scoprire qualcosa, magari qualcosa d’importante, e una volta tornati alla Stazione buttate giù il vostro rapporto; ma un rapporto per noi innocuo, dove non appaia niente che riveli la «contaminazione culturale» che ci ha consentito di apprendere quel che abbiamo appreso.
Voi siete troppo giovani per capire quale tortura sia. Mio padre e io abbiamo cominciato a farlo perché non sopportavamo più di dover negare informazioni ai maiali. E voi scoprirete, com’è accaduto a me, che non è meno penoso il celare dati ai vostri colleghi scienziati. Quando li vedrete arrovellarsi su una domanda, sapendo che voi potreste facilmente risolvere i loro dilemmi; quando li vedrete arrivare vicini alla verità e poi, non sapendo ciò che voi sapete, allontanarsi dalla conclusione corretta e tornare a quella erronea… non sareste esseri umani se questo non vi angustiasse molto.
Sarete costretti a dirvi, ogni giorno: è la loro legge, è una loro scelta. Loro hanno costruito un muro fra se stessi e la verità, e saranno duri nel punirci se capiranno quanto facilmente e fino a che punto noi abbiamo varcato questo muro. E per ogni scienziato framling a cui interessa solo la verità, scoprirete che esistono dieci descabeçados (teste vuote) che disprezzano la ricerca sul campo, che hanno paura di mettere alla prova le loro ipotesi, il cui solo lavoro è di spulciare gli scritti dei veri studiosi allo scopo di scovare piccoli errori, o contraddizioni, o falle nella loro metodologia. Questi pidocchi analizzeranno ogni rapporto da voi spedito, e alla prima imprudenza da voi commessa vi manderanno al rogo.
Questo vuol dire che non potrete neppure menzionare un maiale il cui nome sia derivato da contaminazione culturale. «Orcio» svelerebbe che abbiamo insegnato loro i rudimenti dell’arte del vasaio. «Calendar» e «Reaper» (Mietitore) sarebbero ancor più ovvi. E neppure Dio stesso potrebbe salvarci se sentissero nominare Arrow (Freccia).
Nota di Liberdade Figueira de Medici a Ouanda Figueira Mucumbi e Miro Ribeba von Hesse, sequestrata per ordine della Federazione e addotta fra le prove del processo in contumacia agli xenologi di Lusitania, accusati di Tradimento e Condotta Scorretta.
Novinha s’era attardata nella Stazione Biologista malgrado che il lavoro programmato per quel giorno fosse finito da oltre un’ora. Le pianticelle di patata clonate avevano attecchito nella soluzione nutriente; adesso era solo questione di seguirne giornalmente lo sviluppo per vedere se le sue alterazioni genetiche avrebbero prodotto piante più robuste e con radici capaci di assimilare meglio il terreno locale.
Se non ho più niente da fare, perché non me ne vado a casa? A quella domanda non aveva una risposta valida. I suoi figli avevano bisogno di lei, questo era innegabile; non faceva certo loro un favore uscendo di casa la mattina presto per rientrare solo dopo che i più piccoli erano già a letto. E tuttavia, pur sapendo che avrebbe dovuto andare, ecco che continuava a sedere lì e a guardare il laboratorio, senza vedere niente, senza fare niente, senza vivere.
Pensava a tornare a casa e non riusciva a immaginare perché quella prospettiva non la rallegrava affatto. Eppure , ricordò a se stessa, Marcão è morto. È morto tre settimane fa. Mai troppo presto. Lui ha fatto tutto quello di cui avevo bisogno, e io ho fatto tutto quello che lui voleva, ma ogni nostra ragione per stare insieme era già morta quattro anni prima che luì finalmente scomparisse. Anni in cui non abbiamo mai condiviso un momento d’amore, anche se non ho mai pensato di lasciarlo. Il divorzio, qui, sarebbe stato impossibile, ma avrei potuto dare un taglio alla coabitazione. Metter fine alle botte. Aveva ancora un labbro gonfio e dolorante, dall’ultima volta che lui s’era sfogato a picchiarla. Che amabile ricordo m’hai lasciato in faccia, Cão, povero cane d’un marito!
Mentre ci pensava, nel labbro le saettò una fitta di sofferenza. Annuì, soddisfatta. È esattamente quello che merito, e quando sarò guarita mi dispiacerà.
Si alzò e fece qualche passo, senza zoppicare minimamente malgrado che il dolore all’anca le togliesse ogni forza dalla gamba destra. E non mi curo, non cerco neppure di curarmi. Anche questo è proprio quel che mi spetta.
Uscì e chiuse la porta dietro di sé. Appena se ne fu andata, il computer spense tutte le luci salvo quelle che nutrivano le diverse piante in fase fotosintetica forzata. Lei amava le sue pianticelle, i suoi animaletti vegetali, con un’intensità che a volte la sorprendeva. Crescete , gridava loro giorno e notte, crescete e prosperate. E si disperava per quelle che avvizzivano e cedevano soltanto quando era chiaro che non avevano nessun futuro. Anche adesso, mentre s’allontanava dalla Stazione, sentiva la loro musica subliminale, le grida delle microscopiche cellule che crescevano e si scindevano e si ristrutturavano in schemi sempre più elaborati. Stava andando dalla luce verso la tenebra, dalla vita verso la morte, e la sofferenza emotiva che era in lei peggiorava in perfetta sincronia con lo stato delle sue articolazioni infiammate.
Avvicinandosi a casa sua lungo il versante della collina poté vedere la luce che usciva dalle finestre e illuminava debolmente il tratto erboso oltre la strada. La camera di Quara e di Grego era al buio; non avrebbe dovuto affrontare quelle due insopportabili accuse: il silenzio di Quara e gii improvvisi odiosi misfatti di Grego. Ma la luce quella sera era accesa anche nell’atrio, e perfino in camera sua. Stava accadendo qualcosa fuori dell’ordinario, e a lei non piacevano le cose fuori dell’ordinario.
Olhado era seduto come al solito al terminale del soggiorno e ascoltava qualcosa in cuffia, ma aveva anche il jack dell’interfaccia collegato all’occhio destro. Evidentemente stava riesaminando vecchie immagini da lui trasferite nel computer, o forse vi registrava quelle che aveva visto negli ultimi giorni. Lei lo invidiò. Le sarebbe piaciuto trasferire da qualche altra parte le sue memorie visive, per rimpiazzarle con altre meno sgradevoli. Il cadavere di Pipo, quella era una scena di cui avrebbe voluto alleggerirsi, sostituendola con una tolta dai giorni gloriosi di loro tre insieme nella Stazione. E il corpo di Libo, quel corpo amato, tenuto insieme soltanto dal telo impermeabile in cui lo avevano avvolto. Quanto avrebbe desiderato conservare soltanto le altre impressioni delle sue membra, il tocco di quelle labbra, l’espressività delle sue mani sensibili. Ma i ricordi buoni erano i più deboli, sepolti troppo profondamente sotto altri che li avevano annientati. Io avevo rubato quei giorni, i giorni buoni. È per questo che mi sono stati strappati e sostituiti con quello che meritavo.
Olhado si volse a guardarla, con il jack che gli emergeva oscenamente dall’occhio. Lei non riuscì a reprimere un fremito, un impulso di vergogna. Mi dispiace , disse in silenzio. Se tu fossi figlio di un’altra madre, senza dubbio avresti ancora i tuoi occhi. Eri nato per essere il migliore, il più sano, il più completo dei miei figli, Lauro, ma naturalmente nulla di quello che esce da me può resistere intatto a lungo.
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