Era porta il cocchio a sfiorare la testa dei greci, scende ancora, disperde troiani come birilli di cuoio e di bronzo.
Atena balza giù su un cocchio vero, accanto all’esausto Diomede incrostato di sangue e al suo fedele auriga, Stenelo. «Hai terminato per oggi, mortale?» grida a Diomede, caricando di sarcasmo l’ultima parola. «Vali solo la metà di tuo padre, visto che ti fermi quando il tuo avversario tiene il campo così?» Indica il punto dove Ettore e Ares vanno alla carica e spazzano i greci.
«O dea» ansima Diomede «l’immortale Ares protegge Ettore e…»
«E IO NON PROTEGGO TE?» ruggisce Atena, alta quattro metri e mezzo; cresce ancora, incombe su Diomede, il cui bagliore si affievolisce.
«Sì, dea, ma…»
«Diomede, gioia del mio cuore, uccidi quel troiano e il dio che lo protegge!»
Diomede pare sorpreso, perfino inorridito. «Noi mortali non possiamo uccidere un dio…»
«Dove sta scritto?» romba Atena. Si china su Diomede, gli inietta qualcosa di nuovo, riversa in lui energia del proprio campo divino personale. Afferra lo sventurato Stenelo e lo scaglia a dieci metri dal cocchio. Stringe le redini e frusta i cavalli di Diomede, li spinge avanti, dritto verso Ettore e Ares e l’esercito troiano.
Diomede prepara la lancia, ha davvero intenzione di uccidere un dio, di ammazzare Ares.
"E Afrodite vuole usare me per uccidere Atena" penso, col cuore che batte forte per il terrore e l’eccitazione del momento. Forse tra qualche istante, qui nella piana di Ilio, la guerra andrà in maniera del tutto diversa da come ha predetto Omero.
12
SOPRA LA FASCIA DEGLI ASTEROIDI
La nave cominciò a decelerare quasi subito, appena lasciata la magnetosfera gioviana, così avrebbe impiegato diversi giorni standard, anziché ore, per descrivere il grande arco balistico sopra il piano dell’eclittica verso Marte, sul lato opposto del Sole. A Mahnmut e a Orphu di Io andava bene, visto che avevano un mucchio di argomenti da discutere.
Subito dopo la partenza, Ri Po e Koros III, nel modulo di comando di prua, annunciarono che avrebbero alzato la vela di boro. Mahnmut guardò dai sensori della nave la vela circolare dispiegarsi alle loro spalle, per sette chilometri, attaccata a otto cavi di buckycarbonio, e poi allargarsi al massimo, con un raggio di cinque chilometri. A Mahnmut, che guardava il video di prua, parve un cerchio nero tagliato nel campo di stelle.
Orphu di Io lasciò la sella nello scafo e corse sul cavo principale, lungo il toro di solenoide, poi verso l’esterno, sui cavi di sostegno, come un Quasimodo fatto a granchio che mettesse alla prova ogni cosa, che provasse la resistenza di ogni strumento, filando su jet a reazione sopra la vela per controllare se c’erano strappi o giunzioni o difetti. Trovò tutto in regola e tornò nella nave, con una bizzarra e imperiosa grazia a gravità zero.
Koros III ordinò di mettere in funzione il cucchiaio magnetico Matloff-Fennelly modificato e Mahnmut sentì e registrò il cambiamento energetico della nave, mentre il congegno sulla prua generava un campo di raccolta del raggio di millequattrocento chilometri, ramazzando ioni liberi e concentrandosi nel raccogliere il vento solare.
Quanto tempo ci vorrà ver decelerare tanto da fermarci a Marte? chiese Mahnmut sulla linea comune, pensando che gli rispondesse Orphu.
Invece udì il tono imperioso di Koros III. Mentre la velocità della nave decresce e l’area effettiva del cucchiaio aumenta, mantenendo sempre la temperatura della vela al di sotto del punto di fusione di duemila gradi Kelvin, la massa della nave sarà uguale a 4x10 alla sesta e quindi la decelerazione dalla nostra attuale velocità di 0,1992 c a 0,0001 c (il punto di collisione anelastico) richiederà 23,6 anni standard.
Ventitré virgola sei anni standard! esclamò Mahnmut. Era un tempo di discussione molto più lungo di quanto non avesse auspicato.
Ci rallenterebbe solo all’ancora ragguardevole velocità di trecento chilometri al secondo , disse Koros III. Un millesimo della velocità della luce non è disprezzabile, all’interno del sistema solare.
Si prospetta un atterraggio duro, su Marte , disse Mahnmut.
Orphu emise un rombo simile a uno starnuto.
L’ufficiale di rotta, Ri Po di Callisto, si inserì in linea. Non dipenderemo solo dalla decelerazione della vela di boro, Mahnmut. Il viaggio reale richiederà un po’ meno di undici giorni standard. E la nostra velocità all’entrata in orbita intorno a Marte sarà inferiore a sei chilometri al secondo.
Così va meglio , disse Mahnmut. Era nella sala di comando del Dark Lady , ma tutti i sensori e i comandi erano bui. Trovava strano ricevere tutti i dati, tranne quelli relativi al suo supporto vita, dai grandi sensori della nave. Cosa fa la differenza?
Il vento solare , disse Orphu, sulla linea diretta. Qua fuori ha una media di circa trecento chilometri al secondo e una densità ionica di dieci alla sesta protoni per metro cubo. Siamo partiti con mezzo serbatoio di idrogeno gioviano e un quarto di serbatoio di deuterio e toglieremo altro idrogeno e deuterio dal vento solare mediante il cucchiaio Matlojf-Fennelly e accenderemo i quattro motori a fusione appena oltrepassato il Sole. Ecco dove ci spingerà la reale accelerazione.
Non vedo l’ora , disse Mahnmut.
Anch’io , ammise Orphu. Ripeté il rombo simile a starnuto. Mahnmut pensò che il gigantesco moravec o non aveva il senso dell’ironia o ne aveva uno diabolicamente fine.
Mahnmut lesse À la recherche du temps perdu di Proust, mentre la nave passava circa centoquaranta milioni di chilometri sopra la fascia degli asteroidi.
Orphu aveva scaricato la lingua francese in tutte le sue complessità classiche insieme con il romanzo e con notizie biografiche su Proust, ma Mahnmut finì per leggere le cinque traduzioni in inglese, perché quella era la lingua perduta su cui aveva concentrato gli studi negli ultimi centocinquant’anni terrestri e si sentiva più a suo agio nel giudicare la letteratura scritta in quella lingua. Orphu aveva ridacchiato, quando l’aveva saputo, e aveva ricordato al piccolo moravec che sbagliava a paragonare Proust all’amato Shakespeare, che i due autori differivano nella sostanza come il roccioso pianeta interno da poco sottoposto a terraforming al quale erano diretti differiva dalle loro familiari lune di Giove; tuttavia Mahnmut l’aveva riletto in inglese.
Alla fine, pur sapendo di averne fatto una lettura superficiale, era ansioso d’iniziare il dialogo e si collegò con Orphu sul raggio a fascio compatto, poiché il moravec di Io, stavolta ben agganciato a cavi di sicurezza a causa della decelerazione sempre più forte, era uscito di nuovo a controllare la vela di boro.
Non so , disse. Non lo capisco, ecco. Mi sembrano riflessioni troppo elaborate di un esteta.
Esteta? ripeté Orphu, commutando sul canale a fascio compatto un peduncolo di comunicazione, mentre manipolatori e flagelli erano impegnati nella saldatura di un connettore di cavi. A Mahnmut, che guardava dal video posteriore, il bianco arco di saldatura pareva una stella contro il nero della vela dietro la goffa massa di Orphu. Parli di Proust o del narratore Marcel?
C’è differenza? replicò Mahnmut. Nell’istante in cui trasmise l’ironica domanda capì d’essere ingiusto. Aveva mandato a Orphu centinaia, forse migliaia, di e-mail nel corso dell’ultimo mezzo secolo terrestre, spiegando la differenza fra il poeta chiamato "Will" nei sonetti e lo storico artista di nome Shakespeare. Sospettava che Proust, per quanto chiuso e impenetrabile, fosse altrettanto complesso, quando si trattava di stabilire l’identità di autore e personaggi.
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