Diomede lancia un grido di guerra quasi acuto come l’urlo di Afrodite ancora echeggiante e va di nuovo alla carica contro Enea e Apollo. Stavolta il corpo potenziato dalla nanotecnologia e la spada spostata di fase aprono un varco negli strati esterni dello scudo di energia di Apollo.
Il dio rimane immobile, mentre Diomede colpisce di taglio e si apre la strada nello scintillante campo di forza, come un uomo che spali neve invisibile.
Allora la voce di Apollo squilla con un’amplificazione che di sicuro la rende udibile fino a quattro, cinque chilometri. «Rifletti, Diomede! Sta’ indietro! Smettila con questa follia mortale… guerreggiare con gli dèi. Non siamo della stessa razza, o umano. Mai lo fummo. Mai lo saremo.» Apollo cresce di dimensioni, dagli imponenti tre metri diventa un gigante di più di sei.
Diomede si blocca e arretra, ma è impossibile dire se lo fa per temporanea paura o per pura e semplice stanchezza.
Apollo si china e rende opaco il campo di forza intorno a sé e a Enea. Quando, un minuto dopo, la nera nebbia scompare, il dio è svanito, ma Enea è ancora lì disteso, privo di sensi, ferito, sanguinante, col bacino fratturato. I guerrieri troiani accorrono a formare un cerchio intorno al loro capo caduto e rimasto solo, prima che Diomede lo macelli.
Quell’uomo non è Enea. So che Apollo ha lasciato lì un ologramma e ha portato il vero principe sulla sommità di Pergamo, la cittadella di Ilio, dove le dee Latona e Artemide, sorella di Ares, useranno la loro divina medicina nanotech per salvare la vita di Enea e risanare le sue ferite nel giro di qualche minuto.
Sono pronto a sfrecciare su Olimpo, quando a un tratto Apollo si telequanta di nuovo sul campo di battaglia, nascosto alla vista dei mortali. Ares, ancora impegnato a radunare i troiani dietro il suo scudo difensivo, alza lo sguardo all’arrivo dell’altro dio.
«Ares, sterminio dei mortali, assaltatore di mura, lascerai che quel pezzo di merda ti insulti a questo modo?» dice Apollo. Invisibile agli achei, indica Diomede, che ansima e riprende le forze.
«Insultarmi? Come mi ha insultato?»
«Idiota» tuona Apollo, in frequenze ultrasoniche percettibili solo dagli dèi e dagli scoliasti e dai cani di Troia che rispondono con feroci ululati. «Quel… quel mortale… ha appena assalito la dea dell’amore, tua sorella, recidendo i tendini del suo polso immortale. Diomede ha assalito perfino me, uno dei più potenti degli dèi post-umani. Atena l’ha reso una creatura superumana per mettere alla berlina Ares, dio della guerra, sempre lordo di sangue!»
Ares gira la testa verso l’ansante Diomede, che non bada più al dio, da quando ha fallito il tentativo di penetrare nel suo campo di forza.
«Si prende gioco di me?» grida Ares, con un urlo che tutti, da qui a Olimpo, possono sentire. Ho notato nel corso degli anni che Ares è piuttosto stupido, per essere un dio. Oggi lo dimostra. «Osa burlarsi di me?»
«Uccidilo» grida Apollo, usando sempre gli ultrasuoni. «Strappagli il cuore e mangiaglielo.» E il dio dall’arco d’argento si telequanta via.
Ares diventa pazzo. Non posso andarmene proprio ora, decido. Voglio ardentemente telequantarmi su Olimpo per vedere quant’è grave la ferita di Afrodite, ma questa situazione è troppo interessante per perdermela.
Innanzi tutto, il dio della guerra si morfizza nell’impetuoso Acamante, condottiero dei traci, e corre qua e là fra i troiani in movimento, spingendoli a lottare per respingere i greci fuori del saliente che hanno creato seguendo Diomede nelle file troiane. Poi si morfizza in Sarpedone e rimbrotta aspramente Ettore, che con insolita reticenza si trattiene dalla battaglia. Vergognoso per le accuse che ritiene di Sarpedone, Ettore si unisce di nuovo ai suoi uomini. Quando Ares vede che Ettore raduna il corpo principale di guerrieri troiani, ritorna se stesso e si unisce al cerchio di combattenti che tengono indietro i greci dall’ologramma di Enea svenuto.
Confesso di non avere mai visto combattimenti così feroci nei miei nove anni qui. Se Omero ci ha insegnato una cosa, è che l’essere umano è un fragile recipiente, un vaso di carne pieno di sangue e di visceri solo in attesa d’essere versati.
Ora vengono versati.
Gli achei non aspettano che Ares riprenda fiato, ma si avventano con cocchio e lancia, seguendo la folle guida di Diomede e di Odisseo. Cavalli nitriscono. Cocchi si schiantano e si rovesciano. Cavalieri spingono il destriero contro una muraglia di lance e di scudi lucenti. Diomede fiammeggia di nuovo in prima linea, chiama avanti i suoi uomini e intanto uccide ogni troiano che gli giunga a tiro.
Apollo ricompare sul campo di battàglia, in una turbinante nebbia violacea, e getta nella mischia l’Enea guarito… il vero Enea. Il giovane troiano è stato guarito e non solo: risplende di luce, come Diomede dopo l’intervento di Atena. I troiani, già raccolti dietro Ettore, lanciano in massa un grido alla vista del loro principe ancora vivo e si avventano nel contrattacco.
Ora sono Enea e Diomede, da una parte e dall’altra, a guidare il combattimento e uccidere condottieri nemici a palate, mentre Apollo e Ares incitano altri troiani a gettarsi nella mischia. Vedo Enea uccidere gli spensierati gemelli achei, Orsiloco e Cretone.
Menelao, ripresosi dalla ferita, passa avanti a Odisseo e si lancia verso Enea. Sento la risata di Ares: il dio della guerra sarebbe felice, se il fratello di Agamennone e vero marito di Elena, l’uomo che ha iniziato questa guerra per la sua trascuratezza verso la propria moglie, fosse ucciso questo giorno stesso. Enea e Menelao giungono a portata di lancia e gli altri guerrieri arretrano per rispetto della aristeia ; i due danno stoccate di lancia e fintano i colpi, stoccate e finte.
A un tratto il figlio di Nestore, Antiloco, buon amico del quasi dimenticato Achille, balza avanti e si pone al fianco di Menelao: teme, è chiaro, che se non interviene la causa greca muoia con il suo condottiero.
Affrontato non da uno, ma da due leggendari uccisori insieme, Enea arretra.
Duecento metri a est di questo scontro, Ettore intanto è penetrato nella linea greca, con tale ferocia che perfino Diomede e i suoi uomini indietreggiano. Con la vista potenziata, Diomede vede Ares, invisibile agli altri, combattere a fianco di Ettore.
Voglio ancora andare via per controllare Afrodite, ma non riesco ad allontanarmi proprio ora. Vedo Nightenhelser prendere appunti come un matto. Usa come registratore l’ansible, un congegno per trasmissioni a velocità superiore a quella della luce. Mi viene da ridere, perché le migliaia di nobili guerrieri troiani e argivi non sanno né leggere né scrivere, come bambini di due anni. Anche se trovassero gli scarabocchi di Nightenhelser, addirittura scritti in greco, non li capirebbero.
Ora tutti gli dèi intervengono.
Era e Atena ricompaiono ed è chiaro che la moglie di Zeus incita l’altra a combattere. Atena non oppone resistenza. Ebe, la dea della giovinezza e ancella degli dèi più anziani, compare in un cocchio volante; Era ne prende i comandi e anche Atena sale a bordo, lascia cadere la veste e si allaccia la corazza. La sua camicetta da guerra risplende. Atena alza uno scoppiettante scudo d’energia giallo vivo e rosso pulsante e con la spada scaglia fulmini sulla Terra.
«Guarda!» mi grida Nightenhelser, superando il frastuono. Un vero fulmine proviene da nord, da un torreggiante banco di stratocumuli che si alza a diecimila metri e più nel caldo cielo pomeridiano. All’improvviso la nube assume la sagoma e i lineamenti del viso di Zeus.
«SALTATE SUL COCCHIO ALLORA, MADRE E FIGLIA» romba il tuono emesso dalla nube tempestosa.«ATENA, GUARDA SE SEI DEGNA AVVERSARIA DEL DIO DELLA GUERRA. STENDILO, SE PUOI!»
Nere nubi ribollono basse sul campo di battaglia, mentre pioggia e fulmini colpiscono troiani e argivi insieme.
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