Una seconda ondata aveva avuto inizio, questa volta con un fiammeggiante arancione. Allo stesso tempo altri punti rossi fiammeggianti stavano strisciando fuori da dietro l’orlo scuro della Terra. I lanci effettuati dall’emisfero invisibile cominciavano a entrare nella visuale dello schermo.
Hans toccò un altro comando, e una serie di lampeggianti punti verdi comparve sulla proiezione, questi in un’orbita più alta.
— Quelle sono le nostre stazioni, tutto ciò che appartiene all’impero di Wherry, salvo le arcologie… sono troppo lontane per essere visibili su questa scala. Entro un’altra mezz’ora vedrete come la maggior parte dei lanci cominceranno a convergere sulle stazioni. Quassù dovremo far fronte in continuazione per le prossime trentasei ore ai rendez-vous e agli attracchi multipli.
— Ma come fate a sapere dove si trovano le navi? — Charlene aveva gli occhi spalancati per la meraviglia, ipnotizzata da quel turbinio di scintille luminose. — È tutto calcolato sulla base dei dati del decollo?
— Assai meglio. — Hans indicò con un gesto del pollice un altro degli schermi, sul lato. — I nostri satelliti da ricognizione seguono tutto quello che viene lanciato, in continuazione. I segnali termici generati nell’infrarosso dalla fase di lancio, e poi continuano con i radar ad apertura selettiva. Il software converte portata e velocità in posizione, e traccia le posizioni successive sulla proiezione. Wherry ha fatto installare il sistema di osservazione e di rilevamento alcuni anni fa, quando temeva che qualche pazzo sulla Terra potesse tentare un attacco di sorpresa contro una delle sue stazioni. Ma è ideale per questo uso.
Una terza ondata era iniziata. Tutt’intorno all’equatore, una nuova collana di abbaglianti punti azzurri si stava espandendo, allontanandosi dalla superficie della Terra. Il pianeta era cinto adesso da una confusione multicolore di spiraleggianti puntini luminosi.
— Per l’amor di Dio. — Wolfgang lasciò cadere ogni pretesa d’indifferenza. — Ma quanti ce ne sono? Ne ho contati più di quaranta e non ho cercato neppure di seguire quelli lanciati dall’emisfero americano.
— Duecentosei veicoli spaziali, di tutte le forme e dimensioni, e la maggior parte di essi non concepiti per il genere di attracco disponibile quassù. Il conto dei lanci appare in quel read-out laggiù. — Hans agitò la mano verso la proiezione, ma la sua attenzione era tutta sullo schermo.
— Sarà un incubo — riprese in tono allegro. — Dovremo farli combaciare tutti quando arriveranno qui. In realtà, non cercheremo neppure di far fare a tutti il percorso per intero. Molti di essi rimarranno in orbita bassa, e manderemo giù i rimorchiatori per trasferire il carico. Non ho avuto il tempo di preoccuparmi di trovare dei propulsori extra per farli arrivare fin quassù. Abbiamo già avuto abbastanza problemi anche soltanto a far arrivare in orbita alcuni di quei rottami.
Una quarta ondata era appena cominciata. Ma adesso lo schermo era davvero troppo confuso per riuscire a seguirla. I punti luminosi stavano convergendo, e la limitata risoluzione degli schermi ne faceva apparire molti in rotta di collisione, anche se erano separati da molte miglia di spazio. I due uomini parevano ipnotizzati, gli occhi fissi su quel luminoso carosello di navi orbitanti. Charlene andò all’oblò e guardò direttamente giù verso la Terra. Non c’era niente da vedere. Le navi erano troppo piccole perché potessero esser visibili contro la gigantesca mezzaluna del pianeta. Scosse la testa e si voltò per guardare il read-out che indicava il numero dei lanci. Il totale stava salendo ancora, balzando avanti a piccoli scatti a mano a mano che la velocità orbitale delle navi appartenenti al nuovo gruppo veniva confermata.
Hans aveva lasciato la consolle dei controlli, e tutti e tre adesso se ne stavano lì, immobili, fianco a fianco. La stanza rimase totalmente silenziosa per parecchi minuti, salvo per il morbido bip dei contatori.
— Quasi ci siamo — osservò Charlene, alla fine. Stava ancora seguendo la numerazione delle navi lanciate. — Duecentotré, quattro, cinque. Ancora una… ecco. Duecentosei. Dobbiamo applaudire?
Sorrise a Wolfgang, che senza accorgersene le stava stringendo la mano. Poi, quasi distrattamente, riportò lo sguardo sul contatore. Lo fissò per un attimo, d’un tratto insicura di ciò che stava vedendo.
— Ehi, Hans, mi pareva che tu avessi detto che il totale complessivo era di duecentosei! Adesso il read-out ne indica duecentoquattordici, e continua a salire.
— Cosa? — Hans girò di scatto la testa per guardare, il resto del suo corpo ruotò in senso inverso per compensare il movimento in condizioni di bassa gravità. — Non può essere. Ho raccattato ogni nave in grado di volare. Non c’è modo…
La voce gli morì in gola. Sullo schermo una nuova fontana di punti luminosi stava sgorgando verso l’alto. Si accentravano in un’area del sud-est asiatico. Mentre guardavano, un altoparlante accanto alla consolle tartagliò, accendendosi di colpo.
— Hans! Massimo allarme. — La voce era aspra e tesa, ma Wolfgang riconobbe il timbro autoritario. Era Salter Wherry. — Inserisci il nostro sistema difensivo. I monitor mostrano lanci di missili dalla Cina occidentale. Non abbiamo ancora informazioni sulla traiettoria. Potrebbero essere diretti sull’America o sull’Unione Sovietica, qualcuno potrebbe venire dalla nostra parte. È troppo presto per dirlo. Qui ho attivato l’interruttore. Tu conferma i posti di combattimento. Fra un minuto sarò nella centrale di controllo.
Malgrado il tono teso e angosciato della sua voce, aveva fatto quelle dichiarazioni con uno staccato così veloce che le frasi erano diventate un unico flusso continuo di ordini. Hans Gibbs non tentò neppure di rispondere. In un istante aveva lasciato la sua seggiola ed era corso ad un’altra consolle. Rimosse un sigillo di plastica e tirò fuori la leva dietro di esso ancora prima che Wolfgang e Charlene potessero fare il minimo movimento.
— Cosa sta succedendo? — gridò Charlene.
— Non lo so. — Hans dava l’impressione di essere sul punto di soffocare. — Ma guarda gli schermi e il conteggio. Quelli devono essere lanci di missili. Non possiamo permetterci il rischio d’indovinare dove sono diretti.
Il read-out stava impazzendo. Le cifre guizzavano via troppo veloci per riuscire a leggerle. La numerazione dei lanci aveva superato i quattrocento. Mentre saliva ancora, Salter Wherry fece il suo ingresso nella sala di controllo, incespicando.
Fu il suo arrivo in carne e ossa che rese Charlene consapevole della reale gravità della situazione. Qui c’era un uomo che ben di rado incontrava qualcuno, che valutava la propria privacy al di sopra di qualsivoglia ricchezza, che odiava farsi vedere dagli estranei. E in quel momento si trovava nella sala di controllo dimentico della presenza di Charlene e di Wolfgang.
Lei lo fissò incuriosita. Era quella la leggenda vivente, il maestro architetto dello sviluppo del Sistema Solare? Lei sapeva che era molto vecchio. Ma in quel momento appariva più che vecchio. La sua faccia era bianca e scheletrica, come una maschera della morte tirata al massimo, e le sue mani sottili tremavano.
— Quegli stolti — disse con voce sommessa. La sua voce era un sussurro gracchiante. — Quegli stolti, quei dannati stolti, dannati stolti. Temevo questo, ma non avevo mai davvero creduto che sarebbe successo mentre ero ancora in vita. Hai innalzato le nostre difese?
— Sono in posizione — rispose Hans con voce aspra. — Siamo protetti. Ma cosa ne sarà delle navi dirette quassù da noi? Verranno fatte esplodere se si trovano su una traiettoria di rendez-vous con noi.
Charlene lo fissò per qualche istante senza capire. Poi afferrò il significato delle sue parole. — Le navi? Mio Dio, l’intero staff dell’Istituto è in viaggio per quassù. Non potete usare i vostri missili difensivi contro di loro. Non potete farlo!
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