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Isaac Asimov: Nemesis

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Isaac Asimov Nemesis

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Sedeva solo, racchiuso. Fuori c'erano le stelle, e una stella particolare col suo piccolo sistema di mondi. Poteva vederla con l'occhio della mente; nemmeno se avesse deopacizzato la finestra l'avrebbe vista con tanta chiarezza. Una piccola stella, rosso-rosa, il colore del sangue e della distruzione, e con un nome appropriato! Nemesis! Nemesis, la Dea della Punizione Divina.

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Eugenia Insigna si sentì improvvisamente stanca. Se era impossibile ingannare Marlene, perché provare? «Be’, veniamo al sodo, cara. Cos’è che vuoi?»

«Vedo che ti interessa davvero saperlo, quindi te lo dirò. Voglio andarmene.»

«Andare via?» ripeté Eugenia, senza riuscire a capire la semplice risposta della figlia. «Andare, dove?»

«Non esiste solo Rotor, mamma.»

«D’accordo. Però non c’è altro nel raggio di due anni luce.»

«No, mamma, non è vero. A meno di duemila chilometri c’è Eritro.»

«Questo non conta. Là non si può vivere.»

«C’è della gente che vive proprio là.»

«Già, ma sotto una cupola. Un gruppo di scienziati e di tecnici, che vivono su Eritro perché stanno svolgendo un compito necessario di carattere scientifico. La Cupola è molto più piccola di Rotor. Se qui ti senti a disagio per lo spazio ristretto, là come ti sentirai?»

«Su Eritro c’è un mondo intero all’esterno della Cupola. Un giorno la gente si espanderà e vivrà su tutto il pianeta.»

«Forse. La cosa non è assolutamente certa.»

«Per me, sì.»

«In ogni caso, ci vorranno secoli.»

«Ma un inizio deve pur esserci. Perché non posso far parte dell’inizio?»

«Marlene, non essere assurda. Qui stai benissimo. A quando risale questa fissazione?»

Marlene serrò un attimo le labbra prima di rispondere. «Non ne sono sicura. A qualche mese fa, ma la voglia di andare via è sempre più forte. Non sopporto più di stare qui su Rotor.»

Eugenia guardò la figlia, corrugando la fronte. "Sente di avere perso Aurinel" rifletté. "Ha il cuore infranto, vuole partire e punire Aurinel in questo modo. Vuole andare in esilio su un mondo desolato, così lui si pentirà…"

Sì, era un ragionamento plausibilissimo. Eugenia ricordava i suoi quindici anni. "I cuori sono così fragili allora, basta un nonnulla perché si spezzino. Gli adolescenti guariscono in fretta, però a quell’età si stenta a crederci, sembra impossibile riprendersi. Quindici anni! È dopo… è dopo che…"

Inutile pensarci!

«Cos’ha di speciale Eritro per attirarti tanto, Marlene?» chiese.

«Non so, di preciso. È un mondo grande. Non è naturale desiderare un mondo grande…» Marlene esitò prima di completare la frase, ma, alla fine, ci riuscì. «Come la Terra?» aggiunse.

«Come la Terra!» sbottò sua madre. «Non sei mai stata sulla Terra. Non sai nulla della Terra!»

«Ho visto parecchie cose, mamma. Le biblioteche sono piene di film sulla Terra.»

(Era vero. Da qualche tempo, Pitt era convinto che quei film andassero sequestrati… o addirittura distrutti. Secondo lui, staccarsi dal Sistema Solare significava staccarsi definitivamente ; era sbagliato mantenere vivo un romanticismo artificiale nei confronti della Terra. Eugenia dissentiva in modo netto, ma adesso, di colpo, le sembrava di comprendere le argomentazioni di Pitt.)

«Marlene, non puoi basarti su quei film» disse. «Idealizzano le cose. Perlopiù, parlano del passato remoto, di un periodo in cui la situazione sulla Terra era migliore, e, anche se un tempo le cose andavano meglio, quei film esagerano comunque, dipingono un quadro troppo roseo della realtà.»

«Un tempo la situazione era migliore, però…»

«Macché! Lo sai cos’è la Terra? È una fogna squallida e invivibile. Ecco perché la gente se n’è andata e ha formato le Colonie. Ha lasciato un mondo enorme e orribile come la Terra e si è spostata sulle Colonie, piccole e civili. Nessuno vuole tornare indietro.»

«Miliardi di persone continuano a vivere sulla Terra.»

«Ecco perché è una fogna invivibile. Le persone rimaste là partono non appena possono. Ecco perché sono state costruite tante Colonie, che adesso sono affollatissime. È per questo motivo che abbiamo abbandonato il Sistema Solare e siamo venuti qui , cara.»

Marlene disse sottovoce: «Papà era un terrestre. Lui non ha lasciato la Terra, anche se avrebbe potuto farlo».

«No, non l’ha lasciata. È rimasto.» Eugenia aggrottò le ciglia, cercando di controllare il tono della propria voce.

«Perché, mamma?»

«Via, Marlene. Ne abbiamo già parlato. Molti sono rimasti. Non volevano abbandonare un luogo familiare. In quasi tutte le famiglie di Rotor c’è stato qualcuno che non si è mosso dalla Terra. Lo sai benissimo. Vuoi tornare sulla Terra? È questo il problema?»

«No, mamma. Assolutamente.»

«Anche se volessi tornare, sei a oltre due anni luce di distanza, quindi è impossibile. Lo capisci, no?»

«Certo che capisco. Stavo solo cercando di far notare che abbiamo un’altra Terra proprio qui. È Eritro. È che voglio andare. Lo desidero moltissimo. »

Eugenia Insigna non riuscì a trattenersi e, provando quasi un senso di orrore nel sentire le sue stesse parole, eruppe: «Dunque vuoi staccarti da me, come tuo padre!»

Marlene sussultò, poi si riprese. «È proprio vero che lui si è staccato da te, mamma? Forse le cose sarebbero andate diversamente se tu ti fossi comportata in modo diverso» disse. Poi, tranquillamente, come se stesse annunciando di avere terminato la cena, soggiunse: «Sei stata tu a respingerlo , vero, mamma?»

4 Padre

VII

Strano, o forse stupido, che lei fosse ancora capace di ferirsi in modo così doloroso con pensieri del genere dopo quattordici anni.

Crile era alto un metro e ottanta, mentre su Rotor la statura media per gli uomini era leggermente inferiore a un metro e settanta. Quel particolare già di per sé (come nel caso di Janus Pitt) gli conferiva un’aura prepotente di forza che non era scomparsa nemmeno quando Eugenia si era resa conto, pur non ammettendolo mai nel proprio intimo, di non poter contare sulla sua forza.

Inoltre, Crile aveva una faccia dai lineamenti aspri, irregolari; naso e zigomi prominenti, un mento forte… un’aria, sì, famelica e selvaggia, in qualche modo. In lui, tutto esprimeva una intensa virilità. A Eugenia era sembrato quasi di poterla annusare quando lo aveva conosciuto, ed era rimasta subito affascinata.

Era ancora una studentessa neolaureata in astronomia all’epoca, stava completando il suo periodo di specializzazione sulla Terra, e non vedeva l’ora di tornare su Rotor e di ottenere l’abilitazione necessaria per lavorare alla Sonda Remota. Sognava già i grandi progressi che la Sonda avrebbe reso possibili (e non aveva mai pensato che proprio lei avrebbe fatto la scoperta più sorprendente).

Poi aveva incontrato Crile e, confusa, si era ritrovata follemente innamorata di un terrestre… un terrestre. In un attimo, aveva smesso di pensare alla Sonda Remota, e si era sentita pronta a rimanere sulla Terra, solo per stare con lui.

Ricordava ancora l’espressione meravigliata di Crile e le parole che le aveva detto. «Rimanere qui con me? Preferisco venire su Rotor con te.» Non avrebbe mai immaginato che lui volesse abbandonare il proprio mondo per lei.

Come avesse fatto Crile a ottenere il permesso di andare su Rotor, era un mistero. Eugenia non lo sapeva, e non lo aveva mai scoperto.

Le norme che regolavano l’immigrazione erano rigide. Quando una Colonia raggiungeva un numero di abitanti considerevole, si poneva un freno all’immigrazione; in primo luogo, perché i mezzi di sostentamento erano limitati, quindi la popolazione non doveva superare certi limiti se non si volevano creare dei disagi; in secondo luogo, perché si cercava disperatamente di mantenere stabile l’equilibrio ecologico. La gente che veniva dalla Terra (o anche da altre Colonie) per affari importanti doveva sottoporsi a noiose procedure di decontaminazione, stare in isolamento per un certo periodo, e ripartire volente o nolente il più presto possibile.

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