Ben Bova - Giove chiama Terra

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Giove chiama Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che in orbita attorno a Giove c’è qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile, dal momento che nessuna astronave terrestre è mai ancora arrivata laggiù. Ma...
Ma queste non sono praticamente le stesse parole con cui abbiamo presentato nello scorso numero
di Zach Hughes?
Il fatto è che Ben Bova e Zach Hughes per una straordinaria coincidenza hanno scritto e pubblicato contemporaneamente due romanzi che partono dalle stesse premesse pur arrivando a conclusioni diversissime. Veda dunque il lettore quali delle due preferisce e tenga conto d’altra parte che il complesso, ricchissimo romanzo di Bova è quasi tre volte più lungo di quello di Hughes e negli USA costa più del doppio, mentre in URANIA costa naturalmente lo stesso. Un’occasione da non perdere.

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«Io non userei esattamente questi termini.»

«Comunque è così. Borodinski ti vuole dalla sua parte. Se tu accetti, lui è al sicuro. Se ti unisci agli altri…»

«Non ci sono molti altri cui unirmi» puntualizzò il ministro. «Borodinski è un uomo molto attento.»

«Cosa farai?»

Il ministro fumò il sigaro per qualche istante, poi: «Cosa posso fare, se non mettermi con lui? Non ho nessun desiderio di vedere inasprire la lotta. Noi siamo al sicuro. Borodinski non creerà interferenze.»

«Ne sei certo?»

Il ministro sorrise, ma era un sorriso cupo. «Non hai di che preoccuparti, mio caro amico. Borodinski è abbastanza intelligente da evitare uno scontro con me, se io mi oppongo. Io resterò al ministero, e tu potrai tenerti la tua bella casa, e i servi, e la cantina piena di vini pregiati.»

«E te» aggiunse il burocrate, in un sussurro.

«Sì, anche me.»

Il burocrate sorrise.

«L’alieno, però» disse il ministro «è un’altra faccenda. Non permetterò agli americani di ficcanasare a Tyuratam, non senza insegnargli una lezione.»

«Ma gli americani hanno già visto Tyuratam anni fa, ai tempi della missione congiunta Soyuz-Apollo.»

«Allora era allora. Oggi è oggi. Non permetterò a Bulacheff e nemmeno a Borodinski di scavalcarmi in materia di sicurezza interna.»

«E cosa puoi fare? Gli americani stanno già arrivando qui.»

«Sì, lo so. Non posso impedirgli di arrivare a Tyuratam. Però posso impedirgli di raggiungere il loro scopo. Non entreranno mai in contatto con la nave aliena. Ci penserò io, e Borodinski saprà che sono stato io, e non sarà in grado di opporsi a me.»

Il suo ospite esalò un lungo sospiro. «Metti in gioco poste molto alte.»

«Borodinski deve capire che io non mi opporrò a lui, ma che nemmeno lui deve opporsi a me. Questa faccenda dell’astronave aliena e dell’astronauta americano è una buona occasione per insegnargli la lezione. Una lezione praticamente indolore, ma chiarissima.»

«Sì, vedo. Ma cosa farai per… insegnargli la lezione?»

Il ministro bevve d’un fiato il cognac, rimise giù il bicchiere. «Cosa?» chiese, secco. «Ucciderò l’astronauta americano, ovviamente. Potrebbe esserci una via più semplice?»

Stoner trascorse l’ultimo pomeriggio a Kwajalein in una serie d’incontri con Thompson, Tuttle, i russi, tutti i capigruppo. Poi, all’improvviso, venne a trovarsi solo in ufficio.

In piedi dietro la scrivania, studiò la stanza: impersonale come una cabina telefonica. Aprì, l’uno dopo l’altro, i cassetti: non c’era nulla che gli servisse, nulla che volesse portare con sé, nulla che fosse suo.

Poi i suoi occhi si posarono sull’assurda noce di cocco, e sorrise piano.

«Tu» disse al frutto scuro, rotondo «farai un viaggio molto molto lungo.»

«Lo so.»

Stupefatto, alzò la testa e vide Jo ferma sulla soglia. Il suo sorriso si trasformò in una smorfia d’imbarazzo. «Uh… Comincio a parlare alle noci di cocco. Un segno di nervosismo, immagino.»

«A me non sembri troppo nervoso.» Jo entrò in ufficio. Indossava i soliti calzoncini e una camicetta sbottonata a metà. La sua pelle aveva un colorito olivastro. Un sorriso enigmatico nasceva agli angoli della sua bocca.

«Un autocontrollo d’acciaio» mormorò Stoner.

«Hai già fatto le valigie?»

«Ho quasi finito. E tu? Non salirai sull’aereo vestita a quel modo, per caso?»

«Ma no» rispose lei. «Pensavo solo di fare un’ultima passeggiata sulla spiaggia prima di cena, ho tutto il tempo per cambiarmi e prendere l’aereo.»

Lui annuì. «Be’, di certo non rimpiangerò la cucina di qui.»

Lei gli afferrò il braccio. «Vieni a fare due passi con me. Diamo l’addio all’isola assieme.»

Sottobraccio, a piedi nudi, passeggiarono sulla spiaggia lambita dalle onde, sulla sabbia calda. Il sole rosso del tramonto proiettava ombre lunghissime.

Oltre la laguna, oltre le isolette che la delimitavano, il sole stava affondando nell’oceano, e il mondo intero era soffuso d’oro. Uccelli volavano nel cielo solcato di nubi, lanciando richiami all’infinito.

«Il nostro ultimo tramonto a Kwajalein» disse Jo, stringendo il braccio di Stoner con tutt’e due le mani.

«Non siamo riusciti a goderci troppo tutta questa bellezza, eh?»

«C’è un sacco di cose che non siamo riusciti a fare» rispose lei. «Ci siamo persi molto della vita.»

«Lo so.»

«Quando tutto questo sarà finito, Keith, quando le nostre esistenze diventeranno un po’ più normali…»

«Succederà mai?»

«Deve succedere» disse Jo. «Non credi?»

«Non lo so. L’alieno cambia tante cose… Chi può dire cosa accadrà?»

Lei si girò di colpo, lo abbracciò, gli appoggiò la guancia sulla spalla. «Keith, ti prego, non farlo. Questa missione mi spaventa.»

Stoner assaporò il profumo dei suoi capelli. «Spaventa te? Non volevi fare l’astronauta?»

«Se partissi io, non avrei paura» ribatté la ragazza. «Ma ho un terrore folle per te.»

Lui rise, ma il suo corpo s’irrigidì. «Reynaud è convinto che i russi vogliano uccidermi.»

«Vedi?» Jo si scostò un poco, lo fissò negli occhi. «Non sono l’unica.»

«Ne ho parlato con Kirill. È un’idiozia.»

«L’ha detto esplicitamente?»

«Più o meno.»

«Più o meno cosa? Si è messo a ridere o l’ha presa sul serio?»

Stoner agitò una mano. «Una via di mezzo.»

«Keith, tu “sei” in pericolo.»

«Sarò ospite del governo russo. Lo saremo tutti. Non oseranno tentare qualcosa.»

«Sei testardo» disse lei. «E stupido.»

«Kirill mi proteggerà.»

Jo alzò le mani al cielo. «Bella guardia del corpo. Non è nemmeno capace di guidare una canoa!»

Stoner rise.

«Non farlo, Keith. Ti prego. Lascia che i russi lancino i loro cosmonauti verso la nave aliena. Resta a terra con noi.»

«No.»

«Keith, ho paura per te! Sono terrorizzata!»

«Lo so» disse lui «ma non ha importanza. Io sono un figlio di puttana senza cuore, okay? Però per me questa cosa è più importante di tutto il resto. È la mia vita. Non lo capisci? È più importante dei miei figli, di te, di qualsiasi altra cosa o persona. Devo farlo. “Ho bisogno” di farlo. Camminerei sul fuoco, se fosse necessario.»

Jo non rispose. Abbassò la testa, fissò la sabbia.

«Sbaglio a pensarla così? Sono un mostro?»

«Sì» rispose lei, dolcemente. «Lo sai che ti stai mettendo in pericolo. Però rifiuti ogni emozione umana, ogni bisogno umano. L’unica cosa che vuoi è fare questo volo, anche se sai che ti uccideranno.»

«Cosa posso dire? Sono davvero un mostro, dopo tutto.»

«Non un mostro, Keith» ribatté Jo, «Una macchina. Una macchina che si programma da sé. Ho visto come hai picchiato Schmidt. Lui era un animale, ma tu eri una macchina. Una macchina inumana, instancabile, senza emozioni. Niente ti può fermare. Tu superi ogni ostacolo, tutto quello che ti sbarra il cammino. Mac, Schmidt, l’intera marina… Persino i tuoi figli. Non c’è nessuno tra noi che possa fermarti.»

«È questo che pensi di me?» La voce di Stoner era un sussurro strangolato. Dentro, lui avvertiva una sensazione di gelo, di vuoto.

«È quello che sei, Keith» disse Jo, lottando per allontanare il tremito dalla propria voce.

Per un lungo momento, lui non parlò. Poi «Okay, Sarà meglio tornare. Devo ancora preparare qualcosa.»

«Sì. Anch’io.»

Rifecero lo stesso percorso in silenzio, e Stoner la lasciò all’entrata dell’hotel. Jo lo guardò allontanarsi, irrigidito dall’orgoglio o dalla rabbia o dal dolore, e capì che anche lui aveva emozioni, che era vulnerabile.

“Però di me non gli importa” capì anche. “Non c’è modo di portarlo a preoccuparsi di me.”

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