Ben Bova - Giove chiama Terra

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Giove chiama Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che in orbita attorno a Giove c’è qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile, dal momento che nessuna astronave terrestre è mai ancora arrivata laggiù. Ma...
Ma queste non sono praticamente le stesse parole con cui abbiamo presentato nello scorso numero
di Zach Hughes?
Il fatto è che Ben Bova e Zach Hughes per una straordinaria coincidenza hanno scritto e pubblicato contemporaneamente due romanzi che partono dalle stesse premesse pur arrivando a conclusioni diversissime. Veda dunque il lettore quali delle due preferisce e tenga conto d’altra parte che il complesso, ricchissimo romanzo di Bova è quasi tre volte più lungo di quello di Hughes e negli USA costa più del doppio, mentre in URANIA costa naturalmente lo stesso. Un’occasione da non perdere.

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Thompson avvertiva il calore del corpo della ragazza. Jo gli si stava quasi strusciando contro con la spalla. Costringendosi a concentrarsi sul lavoro che aveva davanti, disse: «E questo sarebbe l’ultimo programma?»

«Sì» rispose lei. «Questa colonna rappresenta i dati trasmessi dalle ultime foto di Big Eye.»

Thompson fissò i numeri con una smorfia. Erano anni che non affrontava un problema di meccanica orbitale. Da che si era specializzato ed era andato a lavorare all’osservatorio sotto la direzione di McDermott, non era mai stato costretto a calcolare orbite e traiettorie. In fondo, i neo-laureati servivano a quello: a fare il lavoro più noioso.

Ma le ultime serie di numeri che il computer stava sputando fuori non avevano senso. Erano una cosa talmente folle da richiedere la sua attenzione personale.

Thompson scosse la testa. «Sarà meglio che tu passi queste cifre a Keith. In questo campo, ne capisce più di me.»

Jo si scostò leggermente. «Non posso più andare da lui. Il professor McDermott non vuole che lo riveda.»

«Non fai più da corriere?»

«No. Mac non vuole nemmeno che gli parli per telefono.»

Spingendosi gli occhiali sulla fronte, Thompson la scrutò a lungo. «E a te va bene? Credevo che tu e Keith foste, insomma…»

Jo scosse la testa. «Preferirei non parlarne, se non le spiace.»

«Non puoi nemmeno telefonargli?»

Lei agitò la mano, in segno d’impotenza. «Il telefono di quella casa è sotto controllo. A Mac arrivano le registrazioni di tutte le telefonate in arrivo e in partenza.»

«Gesù Cristo, è proprio come essere in Russia.»

Jo non disse niente.

«Okay» disse Thompson «immagino che qualcun altro dovrà portargli questo orrore.»

«Oppure potremmo trasmettergli le cifre per computer» disse dolcemente Jo. «La casa è dotata di un terminale.»

«Sì, perfetto.»

«Sto sbagliando io?» chiese Jo, scrutando gli stampati. «O è il computer che ci prende per i fondelli?»

«Mi venga un colpo se lo so. Dovrò lavorarci tutta notte per capire cos’è che non va» disse Thompson.

«Devo avere fatto un errore.» Nella voce di Jo s’insinuò una nota d’insoddisfazione.

«Sei sotto pressione da parecchio tempo.»

«Questa non è una scusa.»

Thompson scostò leggermente la poltroncina dal tavolo, abbandonando la sua solita posizione curva. «Mac ti sta proprio torchiando, eh?»

Jo ebbe un sorriso triste. «Più di quanto non immagini.»

Lui si accorse che gli stava salendo la pressione: la ragazza sembrava tanto disperata, tanto fragile.

«È un vero peccato che Keith ti abbia messo di mezzo. Non è stata una mossa troppo intelligente scrivere ai russi.»

«Non ha detto nulla che non dovesse dire!» s’infiammò lei.

«La marina non la pensa così.»

«Una brava persona» insistette Jo. «Non farebbe mai niente che possa essere dannoso.»

Thompson le sorrise. «Nemmeno Chamberlain l’avrebbe mai fatto.»

«Chi?»

«Neville Chamberlain, il primo ministro inglese che a Monaco ha ceduto a Hitler.»

«Oh» disse lei. «Storia.»

D’improvviso, Thompson si sentì estremamente vecchio.

Studiarono le cifre del computer ancora per un’ora, ma Thompson si accorse di non riuscire a concentrarsi. Avrebbe preferito lavorare su Jo. Alla fine, con un enorme sforzo di volontà, scostò la poltroncina dal tavolo e si alzò.

«Ragazza, sarà meglio che tu torni a casa. Mi ci vorrà tutto il resto della notte per scoprire dove sta l’errore.»

Lei era preoccupata. «Posso benissimo restare qui ad aiutarla…»

«No» ribatté lui, vagamente disperato. «Vattene a casa. Dormi un po’. Adesso telefono a mia moglie e le dico di mettere i ragazzi a letto e di tenermi in caldo la cena. Ho tre figli, sai.»

«Sì, lo so.»

«Okay. Ciao. Ci vediamo domani.»

Lei si alzò quasi con riluttanza, parve a Thompson, e raggiunse la porta del cubicolo che era il suo ufficio. «Prima di uscire, controllerò sotto i registratori di dati» gli disse.

«Benissimo. Buonanotte, Jo.»

Dopo che lei fu uscita, Thompson restò a fissare per molto tempo la porta. Poi chiamò casa sua, ma trovò la linea occupata. Nancy e le sue maledette amiche.

Si concentrò sugli stampati, cercando di togliersi dalla mente l’immagine di Jo.

Ma la sentì gridare: «Dottor Thompson!»

Alzando gli occhi dal tavolo, la vide di nuovo sulla porta, con un’espressione a metà tra il preoccupato e lo stupito.

«Cosa c’è?»

«I segnali» rispose Jo, senza fiato, agitata. «Si sono interrotti!»

«Cosa?»

Lui saltò su di scatto, sbatté lo stinco contro l’angolo del tavolo, corse al piano di sotto con la ragazza.

La grande stanza era stranamente silenziosa. Non c’era nessun altro; il turno di notte sarebbe montato solo un’ora dopo. Le grandi consolle elettroniche ronzavano piano. Le penne traccianti erano stranamente immobili, e sulla carta millimetrata che si muoveva lentamente sotto di loro apparivano linee perfettamente rette.

Thompson aggirò le scrivanie che ingombravano il centro della stanza, trovò un paio di cuffie, le collegò a una consolle.

Si appoggiò una cuffia all’orecchio.

Niente.

Solo il sibilo dell’universo, beffardo. I segnali radio erano scomparsi.

16

Stamattina sono stato testimone di uno dei maggiori errori politici d’ogni tempo. Il presidente ha rivelato al premier dell’Unione Sovietica servendosi della linea calda, che stiamo lavorando al tentativo di entrare in contatto con l’astronave aliena che abbiamo scoperto nelle vicinanze di Giove.

Il premier ha finto di non essere sorpreso; ha detto che anche i suoi scienziati si stanno occupando della stessa cosa. Il presidente ha proposto un programma comune: dividere personale, informazioni, attrezzature. Il premier è scoppiato a ridere e ha detto che ne sarebbe stato felicissimo. Chiaro che ne sarebbe felice! Nel frattempo, i pochi sostenitori che il presidente aveva al Congresso dovranno lasciare il partito quando si scoprirà che ha svelato ai russi i nostri maggiori segreti scientifici. In nome della pace e della fratellanza! Ormai non ho scelta; devo solo tentare di convincere il partito a non proporre più lui come candidato. Devo prendere sul serio queste primarie: è l’unica speranza che resta al partito per novembre.

Diario personale dell’Onorevole Walden C. Vincennes, Segretario di Stato

Stringendo i denti per il dolore, il cardinale Otto von Friederich iniziò la lunga salita degli scalini di marmo che portavano all’appartamento papale. Agli impiegati e ai monsignori che affollavano le stanze del Vaticano al perenne servizio di Santa Madre Chiesa, il cardinale appariva un simbolo austero e freddo di maestà: silenzioso e altero, forse un po’ fiaccato dagli anni e dall’artrite, ma pur sempre ritratto perfetto di un Principe della Chiesa dai capelli d’un bianco immacolato, i tratti angolosi e ascetici, la porpora svolazzante.

Il cardinale von Friedrich sapeva che le cose non stavano così. Il suo potere all’interno del Vaticano era illusorio. Il nuovo papa non aveva tempo per un vecchio legato alle tradizioni e agli insegnamenti del passato. Le sue udienze col Santo Padre, ormai, erano del tutto formali; i giorni della sua influenza, del vero potere, erano terminati.

Salendo i freddi scalini di marmo, recitò fra sé il rosario. Il dolore si faceva più forte di giorno in giorno. Era una penitenza, naturalmente, e lui sapeva che Dio non gli avrebbe mai mandato una Croce che fosse insopportabile. Il dolore gli copriva la fronte di uno strato leggero di sudore.

Un anziano monsignore, bianco come gesso, gli andò incontro alla sommità delle scale e in silenzio lo introdusse in una stanzetta spoglia e fresca.

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