La sede del governo siriano è stata trasferita ad Aleppo, dove continuano a giungere offerte di aiuto immediato e messaggi di solidarietà e di indignazione da parte di tutti i paesi del Medio Oriente, compresi Israele e i membri della Repubblica Araba Unita, da cui la Siria, nel mese di aprile scorso, si era staccata.
Le forze armate siriane sono state mobilitate al completo ma, in mancanza di un aggressore dichiarato, non è stata ancora intrapresa alcuna azione militare. L’intero paese è in preda a uno stato di sbalordimento e di angoscia.
Vicky passò tra Hutchman e lo schermo. «Quali sono le ultime notizie? Ci sarà la guerra?»
«Non lo so. La bomba, a quanto risulta, era a bordo di un aereo civile e forse, alle spalle, c’è qualche organizzazione di guerriglieri. In Siria ne esistono almeno una dozzina, se non di più.»
«La guerra, comunque, non ci sarà.»
«Lo sai tu? Che nome si può darle, quando i presunti autori sono guerriglieri? Sono passati dagli attacchi con missili contro le scuole materne fino a… fino…»
«Alludevo a una guerra che coinvolgerebbe anche noi.» Lei parlava con voce aspra, per ricordargli che non era il caso di sentire sensi di colpa che riguardavano altra gente.
«No, cara» disse lui, grave. «Forse ne sarà coinvolta la razza umana, ma noi, no.»
«Oh Dio» sospirò Vicky. «Dammi qualcosa da bere, Lucas. Mi sa che passeremo una serata difficile.»
Hutchman, finito di mangiare, andò nell’ingresso per cercare il numero dello stadio dove correvano le vecchie auto. Fece il numero, poi rimase in ascolto. Quando stava per riappendere, qualcuno, dall’altra parte, rispose.
«Pronto» disse la voce di un uomo, secca. «Qui parla Bennet.»
«Pronto, lo stadio di Crymchurch ?» Hutchman era talmente sicuro che nessuno avrebbe risposto che, per un secondo, gli mancarono le parole.
«Sì.» La voce era diffidente. «Sei tu, Bert?»
«No.» Hutchman respirò a fondo. «La corsa ci sarà lo stesso, oggi?»
«Ma certo che ci sarà» l’uomo fece una risata stridula, come se muovesse dei chiodi in un barattolo. «E perché non dovrebbe svolgersi? Fa bello, no?»
«Direi di sì. Comunque, volevo essere sicuro. Da come vanno le cose…» Hutchman riappese e si fermò a guardarsi in uno specchio dorato. Il tempo è bello e non c’è traccia di pioggia radioattiva.
«A chi hai telefonato?» Vicky aveva aperto la porta di cucina e lo fissava.
«Allo stadio» le rispose.
«E perché?»
Hutchman ebbe la tentazione di chiederle se l’esistenza in più o in meno di una città proprio non importava a nessuno. «Per chiedere a che ora cominciava la prima gara.»
Lei gli diede un’occhiata veloce, poi rientrò in cucina, nel suo universo privato e, un momento dopo, lui la sentì cantare mentre riordinava le stoviglie. David uscì dalla cucina masticando vorticosamente, e andò in camera sua lasciandosi dietro un vago profumo di menta. Hutchman fece il padre severo.
«David» urlò. «Cosa ti ho detto, a proposito della gomma da masticare?»
«Mi hai detto di non masticarla.»
«E allora?»
David, per tutta risposta, diede ancora due masticate violente, chiaramente percettibili dietro la porta chiusa. Hutchman scosse la testa, però lo ammirava. Suo figlio era indomabile, proprio come i ragazzini di sette anni sanno esserlo. Ma quanti ragazzini come lui, erano morti a Damasco? Seimila? E quelli di sei, di cinque anni, e quelli ancora più piccoli?
«Lascia in pace David» disse Vicky mentre gli passava vicino, diretta in camera loro. «Che male può fargli un chewing-gum ?»
I muri, che sembravano sul punto di crollargli addosso, tornarono all’istante al loro posto. «Ma lo sai che lo manda giù sempre?» Lucas articolò le parole, obbligando la mente e il cervello a seguire quelle futilità domestiche. «È assolutamente indigeribile.»
«E allora? Su, dammi una mano a vestirmi.» Lucas la seguì in camera da letto fingendo di essere sensibile alla sua civetteria, e intanto pensava agli oceani di tempo che bisognava superare, prima di potersi allungare finalmente in un letto e abbandonarsi al sonno.
La folla, allo stadio, era abbastanza numerosa per quel periodo dell’anno. Hutchman sedeva indifferente nell’oscurità della tribuna: non faceva caso alla presenza di sua moglie e del figlio, ed era incapace di seguire lo spettacolo delle macchine che sbandavano, si impennavano, cozzavano l’una contro l’altra. Dopo, a letto, si addormentò istantaneamente.
Quando si svegliò, era ormai sicuro che avrebbe costruito la macchina anti-bombe.
Mentre Hutchman ascoltava il giornale radio, Vicky spense due volte la radio, dicendo che aveva mal di testa. Ogni volta, regolarmente, lui si alzò e la riaccese, ma a volume basso. Le notizie riguardavano combattimenti sporadici ai confini della Siria con la Turchia e l’Iraq, provocati, ovviamente, da un senso violento di frustrazione da parte dei Siriani, ed erano inframmezzate da innumerevoli relazioni di incontri all’ONU e di attività diplomatiche in una dozzina di capitali, da messaggi di oscuri fronti di liberazione e da accenni a vasti movimenti della flotta nel Mediterraneo. Hutchman, intorpidito dal sole e dall’andirivieni domestico, seguiva ben poco della situazione mondiale, a parte il fatto che non era ancora stato identificato l’aggressore. Si dedicò a tutta una serie di comportamenti rituali, come legare le stringhe di David, togliere dal frigo lo yogurt, mettere vicino a ciascun piatto una capsula di olio di fegato di halibut , mentre la sua mente cercava di fare un primo bilancio di quanto avrebbe richiesto la costruzione della macchina.
Fare i calcoli per un risonatore a neutroni era una cosa, ma tradurre quelle cifre in un congegno funzionante era, per un teorico, una prospettiva tutt’altro che semplice, soprattutto se doveva contare esclusivamente sui propri mezzi. La macchina sarebbe costata parecchio denaro. Denaro reale, e una somma tale che forse l’avrebbe costretto a mettere un’ipoteca sulla casa, che, pensiero onnipresente, era un regalo del padre di Vicky. Tanto per cominciare, Hutchman disponeva di una frequenza corrispondente a una lunghezza d’onda Angstrom, e l’unico modo per produrre energia con quella frequenza era un laser cestron.
Prima difficoltà: non esistevano, per quanto ne sapeva lui, laser cestron. Il cestron era un gas scoperto da poco, un prodotto dell’isotopo praseodimio e, senza la stella guida delle equazioni di Hutchman, non c’era motivo per usarlo come base di un laser. Insomma, avrebbe dovuto costruirne uno di fortuna.
Osservando, al di là della tavola, la faccia trasognata di suo figlio, Hutchman si sentì prendere dallo sconforto all’idea delle difficoltà pratiche che l’aspettavano. Come prima cosa, aveva bisogno di una quantità sufficiente di praseodimio per produrre, diciamo, cinquanta milligrammi di cestron. Poi gli occorreva un cristallo di praseodimio, da usare nei circuiti di stimolazione del laser, e i circuiti, per conto loro, non erano semplici da fabbricare. Lui aveva una certa esperienza in fatto di elettronica, però una macchina che usava frequenze dell’ordine di 6 x 10 18Hertz richiedeva l’impiego di onde guida tubolari, anziché di fili. Avrà l’aria di un arnese da idraulici anziché…
«Lucas!» Vicky batté con la forchetta sul piatto. «Continuerai a fare il muso per tutta la giornata?»
«Non faccio il muso!» E le radiazioni non scherzeranno. Sono più pericolose dei raggi X! Sarà necessario proteggersi e bisognerà collegarle otticamente con il laser. Insomma, mi occorrono alcune piastre d’oro per collegarle con quegli aggeggi a specchio concavo…
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