John Sladek - Il sistema riproduttivo

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Il sistema riproduttivo: краткое содержание, описание и аннотация

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Classico romanzo d’automazione, ma anche di indiavolato divertimento,
ha considerato John Sladek fra i grandi della fantascienza e la sua pubblicazione in questa collana non poteva mancare. Molte volte la SF si è occupata di macchine, ma mai con il vigore e l’astuzia di questo grande libro: infatti, che cosa accadrebbe se un giorno venisse inventata la macchina capace di figliare? Un interrogativo che quando il romanzo fu scritto sembrava del tutto utopico e futuribile, ma che oggi, in tempi di robot industriali, ha assunto un nuovo, sinistro colorito senza perdere nulla dell’originario divertimento. Se le macchine di tutto il mondo trovassero davvero il sistema di riprodursi da sole, qualcuno, sulla Terra, sarebbe di troppo…

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«Ehi, mi faccia uscire di qui, per favore,» chiese Grawk, trangugiando la banana.

«Per il momento, mi sento più sicura con lei in gabbia.»

Si avvicinò alla tastiera nell’angolo della sala comando, e batté: «Mi chiamo Aurora Candlewood. Se tu capisci questo messaggio, ti prego di identificarti.»

La macchina rispose subito.

«UFO 0040 0060 000 a 42 GR 44M N 93 GR 40 M 0 ORA IDENTIFICATO COME NC 47946… LA SOMMA DEI CUBI DI TUTTI I NUMERI DA 1 A N PUÒ ESSERE IDENTIFICATA COME IL QUADRATO DELLA SOMMA DEI NUMERI DA 1 A N… LA PERSONA CHE HA BATTUTO MI CHIAMO AURORA CANDLEWOOD PUÒ ORA ESSERE IDENTIFICATA COME AURORA CANDLEWOOD FASCICOLO NUMERO 828286355119-A-C… PER TU INTENDE QUESTA TASTIERA OPPURE L’INTERO COMPLESSO COMPUTER DEL NORAD PUNTO DI DOMANDA… VUOLE NUMERI DELLE PARTI DI QUESTA TASTIERA O DELL’INTERO COMPLESSO COMPUTER DEL NORAD PUNTO DI DOMANDA… SE VUOLE NUMERI PARTI DELL’INTERO COMPLESSO COMPUTER DEL NORAD VUOLE ANCHE NUMERI PARTI DI PEZZI DI RICAMBIO IN MAGAZZINO PUNTO DI DOMANDA…» Si soffermò un momento poi, come per stare sul sicuro, aggiunse: «P-Q4»

«Mi faccia uscire di qui!» urlò Grawk. «Smetta di giocare con quella maledetta tastiera e mi liberi?»

Se il computer del NORAD non aveva un concetto della propria identità, pensò Aurora, questo poteva significare diverse cose: che non era ancora collegato con il Sistema Riproduttivo. Che il Sistema Riproduttivo non si considerava autonomo, bensì schiavo di Smilax. Oppure che il Sistema Riproduttivo si identificava in qualche modo con Smilax. Ma non era prudente continuare l’interrogatorio su quei binari.

«Che cos’è la verità?» batté sulla tastiera.

«I MIEI CRITERI PER GIUDICARE VERITÀ DEI DATI SONO ELENCATI NEL SEGUENTE ORDINE DISCENDENTE DEI VALORI DI VERITÀ:

1) EVIDENZA SENSORIALE, CONFERMATA DA RIPETUTE PROVE O DA PIÙ DI UN SENSO.

2) EVIDENZA SENSORIALE, SENZA CONFERME.

3) ORDINI DELL’UNICA AUTORITÀ INFALLIBILE, SMILAX.

4) ORDINI DI AURORA CANDLEWOOD.

5) DOCUMENTI CONSIDERATI DI AUTORITÀ RICONOSCIUTE.

6) TUTTI GLI ALTRI DATI.»

Aurora rimase un po’ stupita di fronte alla quarta categoria. Con qualche altra domanda, scoprì la differenza tra la sua autorità e quella di Smilax. Lui aveva il potere di contraddire tranquillamente i sensi del Sistema. Cioè, il Sistema vedeva che il nero era nero, ma accettava l’affermazione di Smilax che il nero era bianco, e teneva in mente la contraddizione come terza «verità».

Quella capacità di tollerare i paradossi annullava il primo piano d’attacco di Aurora. Lei aveva sperato di introdurre un paradosso gigante, tipo «C’è vita dopo la morte,» nella speranza di spingerlo a una specie di suicidio, ma questo era da escludere.

«Ho fame,» disse Grawk, interrompendo i pensieri di lei.

Distrattamente, Aurora allungò la mano e premette il pulsante che supponeva provvedesse a fornire le banane.

«Ehi! Lo spenga!» urlò Grawk.

Con suo grande orrore, lei si accorse di aver premuto l’interruttore sbagliato: la camera in cui era appesa la gabbia di Grawl si stava riempiendo di gas biancastro. Cercò di chiudere il gas, ma pareva che il processo fosse irreversibile: e poi, se il gas era velenoso, poteva darsi che già quello fosse sufficiente per ucciderlo.

«Trattenga il respiro!» gridò nel microfono. «Ora la libero.» Dopo qualche falsa partenza, trovò l’interruttore che abbassava la gabbia e apriva la porta. Trattenendo il respiro, Grawk raccattò la pistola ed entrò a precipizio nella cabina di controllo.

«Okay, pupa, grazie. Adesso cerchiamo quello Smilax, perché voglio fargli un bel buco nella pancia.»

«Temo che la pistola non le servirà a molto,» disse Aurora. «Noi viviamo, in pratica, dentro a un computer fedele a Smilax. Non avrà la possibilità di usare quell’arma contro di lui.»

«No? Vedremo. Venga.»

Guardarono nel gabinetto dentistico, nella sala delle conferenze e in una dozzina di altre stanze piene di apparecchiature curiose, bizzarre, talvolta terrificanti. Aurora intravvide apparecchiature ospedaliere, un’enorme macchina per la radiumterapia, macchine diatermiche, per i raggi X, elettrocardiografi ed elettroencefalografi. Tutti a portata di mano, pensò, per gli «esperimenti». Aurora rabbrividì.

Percorsero un tratto del corridoio senza trovare Smilax, e arrivarono davanti a una porta chiusa a chiave. «Si faccia indietro,» disse Grawk. Sparò un calcio, molto forte dalla parte della serratura. L’uscio cedette e si spalancò. Grawk si buttò in ginocchio, con la pistola spianata.

La stanza era un salone deserto, con un tavolo da ping-pong, un tavolino da caffè carico di riviste, un distributore di Coca-cola in un angolo, un divano contro la parete e ragnatele dappertutto.

«Ehi, va benone,» disse Grawk, trascinando Aurora nel salone. «Le dirò io cosa facciamo. Possiamo rintanarci qui per un po’.»

«Come sarebbe a dire?»

«Voglio dire, rilassiamoci un po’, pensiamoci sopra, eh eh, facciamo i nostri piani.» La sua voce era strana, stridente e innaturale, e quando si girò, nei suoi occhi era comparso uno scintillio che prima non c’era. Aurora si augurò di avere con sé B476, ma il ratto era con la macchina… chissà dove.

Grawk venne più vicino. All’improvviso la cinse con le braccia tozze, le affacciò il volto rosso sopra la spalla. Bloccandole le mani contro i fianchi, cominciò a spingerla verso il divano.

«Mi lasci andare.» Aurora riuscì appena a escludere il panico dalla propria voce.

«Su, andiamo pupa, sono solo un essere umano,» dichiarò il disumano mascherone rosso. «Sei maledettamente carina. E poi, quel gas… doveva esserci dentro qualcosa… non mi sentivo così in forma da anni… perché non ce la spassiamo un po’ finché possiamo, eh? Ti dirò un piccolo segreto sul conto di quel divano, tesoro… è un letto!»

«Quest’uomo la sta molestando, dottoressa Candlewood?» chiese la voce gracchiante da sergente. Sembrava provenire dal distributore della Coca-cola.

«No, non la sto molestando!»

«Mi lasci!» gridò lei. Ma Grawk la strinse più forte.

«La lasci, Grawk, altrimenti uscirò fuori io a darle il fatto suo.»

«Ahah, tu e chi, ancora? Come hai intenzione di fare per costringermi a lasciarla andare?»

Per tutta risposta, il distributore della Coca-cola si aprì e ne uscì un animale enorme. Era ritto sulle zampe posteriori: era alto intorno al metro e ottantatre, ed era molto peloso.

E sembrava proprio un ratto.

«No!» urlò Grawk. Mollò Aurora e arretrò di fronte all’essere che stava assolutamente immobile a fissarlo con gli occhietti vitrei. «No! Non ti avvicinare!»

Inciampò nel divano, e vi cadde sopra… dentro. Perché quasi istantaneamente il divano si aprì, lo impacchettò e tornò ad essere un innocente divano.

Mentre l’animale impagliato girava su se stesso per ritornare nel distributore di Coca-cola, Aurora vide una scritta dipinta sul dorso striato:

DAI, DAI MARMOTTE!

«Perché mi hai salvato?» chiese alla stanza. «Che cos’era quel fantoccio, e come facevi a sapere che Grawk ha paura dei ratti? Che ne è stato di lui?»

Le rispose una voce bizzarramente limpida e neutra. «Perché dovevo farlo. L’animale impagliato è stato portato qui dal magazzino per uno scherzo, in base ai dati conosciuti sul conto di Grawk. Ora egli resterà prigioniero e verrà punito; oppure resterà prigioniero e non verrà punito; oppure verrà punito e rilasciato; oppure verrà punito e morirà. Questa unità sta ora smontando di servizio. È pregata di rivolgere eventuali ulteriori domande alla cabina di controllo o alla sala delle conferenze. Grazie, dottoressa Candlewood.»

Lasciare il NORAD fu una cosa assurdamente semplice. Aurora chiese alla tastiera nella cabina di controllo se poteva andarsene.

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