John Sladek - Il sistema riproduttivo

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Il sistema riproduttivo: краткое содержание, описание и аннотация

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Classico romanzo d’automazione, ma anche di indiavolato divertimento,
ha considerato John Sladek fra i grandi della fantascienza e la sua pubblicazione in questa collana non poteva mancare. Molte volte la SF si è occupata di macchine, ma mai con il vigore e l’astuzia di questo grande libro: infatti, che cosa accadrebbe se un giorno venisse inventata la macchina capace di figliare? Un interrogativo che quando il romanzo fu scritto sembrava del tutto utopico e futuribile, ma che oggi, in tempi di robot industriali, ha assunto un nuovo, sinistro colorito senza perdere nulla dell’originario divertimento. Se le macchine di tutto il mondo trovassero davvero il sistema di riprodursi da sole, qualcuno, sulla Terra, sarebbe di troppo…

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«Gli effetti psicologici saranno veramente gratificanti. Le capacità di ragionamento degli schiavi si offuscheranno, e il loro pensiero diverrà sempre più tardo. Saranno sempre meno capaci di fronteggiare l’ambiente, e sempre più disposti a sottomettersi. Si creeranno superstizioni nei confronti del Sistema: faranno deboli tentativi di placarlo o di sfuggire alle sue punizioni, ma sempre invano.»

Ancora stordita, Aurora annuì vagamente.

«Non ho tralasciato nulla di quanto sia in mio potere fare, dottoressa Candlewood, per realizzare quest’opera. Ma ho bisogno di uno psicologo del comportamento che abbia la sua levatura, per colmare le lacune. Lei deve addestrare il Sistema.»

«Addestrarlo? Ma a che scopo? La dominazione del mondo è uno scopo fittizio, dottor Smilax, anzi non è neppure un fine. Cosa intende farsene del suo mondo, quando ne sarà il padrone?» Aurora era piuttosto sbalordita della propria audacia, mentre parlava con calma e razionalità della fine del mondo insieme a quel pazzo.

Lui sorrise. «Il mio scopo? Il mio scopo è difficile da realizzare… ma vale qualunque sforzo. È semplicemente questo.» Smilax regolò lo schermo, inquadrando una carta geografica polare dell’emisfero settentrionale, poi si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro.

«Il mio scopo,» annunciò con voce sonante, «è infliggere la maggiore sofferenza possibile al maggior numero possibile di esseri, sempre e dovunque: Weltschmerz !

«Sembra pazzesco, no? Eppure è necessario forse ricordarle che, per molte filosofie, la stessa vita è sofferenza? I più grandi mistici di tutte le religioni del mondo hanno conosciuto la sofferenza… e la sofferenza li ha fatti grandi. Sarebbe noiosissimo elencare tutti gli uomini geniali che hanno sofferto. Tutti i grandi momenti della storia sono stati momenti di intensa sofferenza: la persecuzione dei primi cristiani; la peste nera; la conquista del Messico; l’Inquisizione; il Terrore; le guerre mondiali.

«Non soffrire è essere morto, no? Che altro è la sofferenza se non l’essenza e il sostegno della vita?» Con gli occhi ardenti, si sporse attraverso la tavola e alitò in faccia ad Aurora un odore acido di biscotti per cani. «Sì! La mia verga e il mio bastone li consoleranno, ahahah, ed essi ascolteranno,» Smilax inclinò la testa da una parte, «la voce del loro padrone!»

Dopo un istante di silenzio, si asciugò la saliva dalle labbra e si girò verso la carta geografica. «Per lei, naturalmente, ci sarà la soddisfazione di essere la prima scienziata del comportamento a lavorare su questo progetto,» disse con voce più razionale. «Ci pensi: il mondo intero in una di quelle sue scatole Skinner! Pensi alle possibilità di ricerca quando potrà usare soggetti umani… per qualunque scopo!»

Aurora si accorse che Smilax aspettava una risposta. Evidentemente, non c’era possibilità di rifiutare; poteva essere pericoloso anche mostrarsi tiepida. Ostentando un debole sorriso, mormorò che sarebbe stata felice di incominciare a lavorare.

«Magnifico! Ho già pronto il suo primo compito. Torniamo nella cabina di comando.» La ricondusse nella stanza dalla lunga vetrata gialla, dalla quale lei poté vedere la gabbia di Grawk. «Può fare esperimenti su quel nostro animale in gabbia. Le mostrerò quello che ho ideato, e senza dubbio lei sarà in grado di apportare dei miglioramenti.»

Grawk dormiva, nella gabbia. Dopo aver premuto un pulsante che spinse la macchina a svegliarlo con un pungolo elettrico per il bestiame, Smilax attivò l’intercom e gli chiese come stava.

«Cosa? Uah! Ho fame,» disse Grawk, arretrando davanti al pungolo. «Quand’è che mi fa uscire di qui? E quand’è l’ora del rancio?»

«Ora del rancio?» fece Smilax, pungolandolo ancora. «Non mi pare di conoscere questa espressione.»

«Voglio dire… uah!… quando si mangia?»

Sebbene il pungolo sembrasse causare a Grawk più fastidio che sofferenza, Aurora non sopportava quella scena. Si sentiva contrarre lo stomaco ogni volta che Smilax allungava la mano verso quel pulsante. Il dottore, naturalmente, si divertiva moltissimo.

«Per la verità sono molto stanca,» disse Aurora. «Non potremmo farlo un’altra volta? Ho guidato per tutta la notte.»

«Stanca?» Smilax inarcò un sopracciglio. «Ma il vero scienziato deve essere sempre disposto a stancarsi, per amore della ricerca. Noi vogliamo la verità, non le comodità, dottoressa Candlewood. Come può ideare sistemi immaginosi per far soffrire gli altri, se lei rifiuta qualche lieve disagio? E adesso…»

Smilax premette un altro pulsante e una «giraffa» televisiva partì dalla parete e si protese verso Grawk. Al posto del microfono, reggeva una banana. «Ora di pranzo,» cantilenò il dottore. E a voce più bassa aggiunse: «Una mia piccola invenzione, rozza ma efficace.»

La giraffa si fermò a poca distanza da Grawk. Ogni volta che lui cercava di afferrare la banana, quella gli sfuggiva. «Ehi? Che diavolo…?»

«Mi è stato difficile addestrarla a compiere questa manovra,» spiegò Smilax. «È insito nella natura di una macchina desiderare di completare l’azione incominciata. Le è stato difficile afferrare la gestalt della situazione… Ma dimenticavo, lei adopera altri termini.»

Stancandosi di quello spasso, il chirurgo lasciò che Grawk arraffasse la banana. Ma quando l’ex generale cominciò a sbucciarla, Smilax gridò: «Fermo! È mio dovere avvertirla, Grawk… la banana è avvelenata.»

« Cosa? »

«Morirà tra tormenti orribili se ne mangia un solo boccone.»

Grawk guardò la banana, poi il suo torturatore, poi di nuovo la banana. Poi posò il frutto sul pavimento della gabbia e lo guardò ancora. Poi si sedette e cominciò a piangere.

«Così va meglio,» disse Smilax con un sospiro. «Avevo cominciato a pensare che Grawk non fosse del tutto umano. Bene, lo lascio nelle sue mani, mia cara. Ho affari urgenti da sbrigare e sono sicuro che lei non avrà difficoltà a punirlo adeguatamente, eh eh. A proposito, dovrò avvertirla di non lasciare il NORAD e di non abusare dei computer che si trovano qui, e che fanno parte del Sistema Riproduttivo. Se rivolgerà domande ai calcolatori o darà loro comandi che contrastino con i miei ordini espliciti, verrà messa a morte. Ha capito?»

«Ma come può pretendere che io addestri il Sistema, se non ho la libertà di fargli domande…»

«Ah, mi ha frainteso. Le domande che contraddicono i miei ordini espliciti sono relativamente poche: ‘Come mai il dottor Smilax conserva il controllo di un sistema complesso, intelligente e apparentemente autonomo?’ Oppure: ‘Come posso riuscire a uccidere il Sistema?’ Sono sicuro che lei capisce benissimo a quali domande e a quali comandi alludo. Lo lascio al suo giudizio, ma l’avverto: il Sistema è intelligente. È in grado di batterla a scacchi, o a qualunque gioco che lei può insegnargli, per esempio. Non cerchi di imbrogliare il Sistema.

«Bene, au revoir , mia cara, e non si dimentichi… si dia da fare, si dia da fare.» Ridacchiando, con un sorriso un po’ storto stampato sul viso solitamente serio, Smilax se ne andò. Aurora sedette e si coprì la faccia con le mani.

Non c’erano dubbi sul futuro. Avrebbe dovuto fare proprio quello che lui le aveva ingiunto di non fare, e doveva cercare di cavarsela. E mentre ancora si diceva che tutto ciò non poteva accadere, che doveva trattarsi di un incubo, un’altra parte del suo cervello stava formulando un elenco di domande da rivolgere al computer.

Alzò gli occhi e notò che Grawk stava ancora fissando la banana. «Oh, per amor del cielo, la mangi!» gridò nel microfono. «Non è avvelenata.»

«Non lo è? E lei come lo sa?»

«Perché la mente di Smilax funziona così. Ucciderla non lo divertirebbe la centesima parte di quanto lo diverta farla soffrire. È un sadico della specie più meschina… un burlone all’ennesima potenza.»

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