«Ci basterebbe. Useremmo la massa di Poseidone, naturalmente, come facciamo adesso.»
Lilo ci pensò su. Era maledettamente frustrante. Bisognava costruire e utilizzare le attrezzature pesanti utilizzate per scavare le gallerie. Una miriade di particolari. Un viaggio spaziale non si poteva progettare e metter su in una notte.
«Quanto pensi che ci vorrebbe per essere pronti?»
Scrollò le spalle. «Lavorando sodo, senza complicazioni impreviste, potrei farcela in due settimane.»
E le Vaffa ispezionavano il posto tutti i giorni. Si tornava sempre alle Vaffa.
Cominciai a dormire male. L’incontro con Vejay e Niobe aveva rafforzato le mie speranze, rinvigorito il mio desiderio di fare qualcosa per evadere. Ero lontana dalla juga come prima, ma non mi sembrava di. esserlo. Avevamo risolto la parte più facile dell’equazione per raggiungere la libertà. Avevamo sempre davanti tutti i problemi. Sei, forse dieci, e si chiamavano tutti Vaffa.
Una Vaffa poteva essere uccisa. Era difficile, però; in tutti quegli anni era successo due volte, ad opera di disperati. Avevo sentito raccontare le due storie almeno cento volte. Si poteva tendere loro un agguato e sopraffarle all’interno. Fuori erano invulnerabili come le loro tute. Si poteva seppellirle sotto una tonnellata di rocce; ma i campi delle tute le avrebbero protette e sarebbero sopravvissute finché fosse durata l’aria, un tempo più che sufficiente per i soccorsi.
Seppellirle tutte insieme? Si poteva far saltare tutto, ma con cosa sarebbero rimasti?
«Cosa sono?»
«Bambini di zucchero. Scherzi? Come fai a non sapere cosa sono i bambini di zucchero?»
Ma Lilo non lo sapeva. Erano in un grande vaso di vetro dal collo stretto. L’avevano scoperto nel nascondiglio di Cass. Apparentemente lui se ne era stancato, ma a quanto pareva se l’erano cavata bene.
Il fondo del vaso era coperto di terra nera, con cinque olmi nani, tre abeti Douglas e molto muschio. C’era una grotta formata da sassolini ammucchiati uno sull’altro, e all’entrata della grotta tre figure bipedi, alte un millimetro. Avevano il corpo bianco e la parte superiore delle loro piccole teste era nera. Sembravano minuscoli esseri umani.
«Sembra che abbiano una faccia,» osservò lei, chinandosi a guardare più da vicino.
«Non scherzare. Non le hai davvero mai viste?»
«Mai.» Eppure mentre lo diceva, aveva la strana sensazione che non fosse vero. Scosse la testa, ma la sensazione restò.
«Be’, hanno una faccia. Ma guarda meglio.»
In un lato del vaso era incassata una lente d’ingrandimento. Lilo vi guardò attraverso e l’illusione svanì. Quelli che erano sembrati capelli erano semplicemente la colorazione dell’esoscheletro che nascondeva occhi sfaccettati. Le facce erano tre punti e una linea. Le cose erano divise in segmenti alle giunture e alla vita, come marionette, o come…
«Formiche. Sono formiche.»
«All’inizio lo erano,» confermò Cass. «Poi le hanno cambiate. Guarda la quinta e la sesta zampa, alla vita. Sono davvero piccole.»
Lilo si sentiva male, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle creature. Dalla piccola grotta ne uscirono altre. Camminavano freneticamente sulle zampe posteriori, agitando le braccia snodate.
«È disgustoso,» disse Lilo. Stava per vomitare.
Cass fece una smorfia. «Sì, capisco cosa vuoi dire. Me le hanno date quando ero più piccolo e ora non so che farmene. Non posso semplicemente ucciderle; non mi sembrerebbe giusto.»
«Tweed vi lascia…»
«Ogni tanto possiamo ordinare qualcosa.»
«Queste arrivarono qualche anno fa dalla Luna. Le avevano tutti i ragazzi. Vorrei aver chiesto uova di gatto, invece.»
Adesso Lilo si sentiva confusa. Provava un senso di disorientamento, una crescente impressione di déjà vu. Si sforzò di ricordare, ma inutilmente. Però dentro di lei si era messo in moto qualcosa che non si sarebbe arrestato.
«Non possono vivere fuori dal vaso,» stava dicendo Cass. «Terra speciale, o qualcosa del genere; se li liberano possono diventare un flagello. Non credo che vivrebbero a lungo… ehi, stai bene?»
«Stai un momento zitto, per favore. Non dire nulla.» Continuò a fissare i minuscoli prigionieri. Era solo perché erano imprigionati? Non credeva che l’avrebbero turbata fino a quel punto. Non le era mai piaciuto vedere esseri in gabbia; proprio per questo aveva sempre evitato di lavorare con cavie vive. Ma anche così una reazione del genere non si giustificava.
Andò indietro nel tempo, di molti anni. Sapeva di aver già guardato una bottiglia come quella, di aver visto una colonia di bambini di zucchero. Una volta… no, due. Era sicura che le era successo tre volte. Di stare così, a guardare…
La testa cominciò a riempirlesi di numeri. Li vedeva come se fossero stati oggetti solidi, con dimensioni e massa. Cominciò a ricordare.
«Ho aiutato a farle,» disse piano.
«Cosa?»
«Facevo parte dell’equipe di ricerca che mise a punto questa razza di formiche. È successo venticinque anni fa. Lavoravo per i Laboratori Biologici di Copernico. C’ero io, Theresa, Zaire e… e Yaokaha. Sul brevetto c’è anche il mio nome. Per un anno furono un grosso successo, si vendevano molto bene, e…» Si interruppe come se di colpo le fosse mancato il fiato. Cass aspettava in silenzio lì accanto, con aria preoccupata.
«Era un grosso problema,» riprese lei come se stesse leggendo su un libro. «La base degli Anelli sarebbe finita male se avessi potuto dire a qualcuno dov’era, in caso d’interrogatorio. E tuttavia non potevo semplicemente abbandonarla lì. Dovevo poterla ritrovare se, non fossi stata arrestata. Dovevo sapere e non sapere.»
«Di che cosa stai parlando?» chiese Cass. «Lilo, stai…»
«Suggestione ipnotica profonda,» disse, come se non l’avesse sentito. «Non sapevo cosa mi avrebbero fatto in prigione. Dovevo seppellirlo così profondamente da morire senza ricordarlo, senza addirittura sapere che lo sapevo. Non potevo fidarmi di. nessuno per attivare il meccanismo di richiamo, e tuttavia dovevo essere in grado di ricordare se non fossi stata arrestata. Così collegai lo stimolo di richiamo a qualcosa in cui mi sarei imbattuta più o meno a caso. Ma non troppo spesso. Non poteva succedermi tutti i giorni, e neppure ogni settimana. È capitato tre volte in cinque anni. E ogni volta ho sepolto di nuovo il ricordo.»
«I bambini di zucchero ti hanno ricordato qualcosa?»
Guardò quelle creature. La scelta era stata giusta. Pietose cosine. Avevano cercato di uscire dalla bottiglia? Non poteva sapere che sarebbe sopravvissuta alla propria esecuzione, ed era stata pura fortuna incontrare i bambini di zucchero su Poseidone. Ma adesso sapeva.
«Lo so. So dov’è.»
Ormai da un mese circolavano voci a questo proposito: ci sarebbe finalmente stata un’esercitazione, una prova pratica di una delle armi utilizzabili in un’eventuale guerra contro gli Invasori. Quando sentì dire di cosa si sarebbe trattato, Lilo non ci credette. Tweed non l’avrebbe certamente fatto.
Ma dopo poco la notizia diventò ufficiale. Erano tutti preoccupati, ma nessuno sapeva còme intervenire. Tweed voleva togliere il buco nero dall’altra faccia di Poseidone, farlo passare attraverso Giove e stare a vedere la reazione. Su Poseidone erano tutti d’accordo che se una reazione ci fosse stata, non sarebbe stato necessario trasmettere le notizie a Tweed. L’intero sistema solare l’avrebbe saputo immediatamente.
Lilo ne parlò con Niobe e Vejay, quindi trascorse ore e ore con Cass e Cathay. Avevano tutti paura. Quello che Lilo voleva decidere era come comportarsi. Cathay pensava che qualsiasi tentativo di arrestare il processo sarebbe stato un suicidio e diceva che la cosa migliore era sperare che gli Invasori ignorassero tutto. In fin dei conti Giove era uh pianeta grande. Poteva anche darsi che non fosse colpito nessuno.
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