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Patricia McKillip: Voci dal nulla

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Patricia McKillip Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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Finalmente si concentrò sul suono emesso dal tasto; rimase in ascolto, mentre l’aria tremolava e si calmava. Il suo viso, che rifletteva come un camaleonte ogni mutamento di pensiero, smise di seguire con clinico distacco il rumore prodotto dal piano e diventò se possibile ancora più rosso.

— Quest’affare stona anche solo a soffiarci sopra…

— Ha avuto una vita lunga e faticosa - disse Sidney. — E stato in piedi 75 anni in un attico del Settore Prateria, finché non l’ho scovato io. I topi avevano fatto il nido fra le corde — aggiunse, quando gli sembrò che il Mago non corresse più il rischio di svanire di nuovo nella sua musica. — Caffè? Birra?

Il Mago scosse la testa, poi soffiò via la polvere luminosa dai tasti. — Grazie, ma è ora di andare a letto. Cosa fai ancora in piedi, Sidney? Sono le… qualsiasi ora quell’orribile verde delle pareti stia a indicare.

— È l’alba — disse Sidney, e il Mago smise di respirare. Lo fissò senza espressione da sopra il piano.

— Sono rimasto per ascoltarti — continuò l’altro. — Non mi capita spesso di assistere gratis a un concerto di Bach. E comunque sono stato costretto a restare qui oltre l’orario. Per poco un complesso non ha suonato l’ Ultimo rosso , verso l’ora di chiusura. — Il Mago emise un suono confuso che Sidney ritenne una domanda. — Tu stavi suonando. Non ti sei accorto dei poliziotti e delle ambulanze.

— Cosa… Chi…

Sidney accennò vagamente con la mano a un palco lontano. — Un complesso nuovo, i Desperate Sun. Sembravano innocui, durante l’audizione… E invece intendevano fulminarsi con i loro strumenti, in sostegno della Coalizione Nazionale Regressista del Settore Tramonto. Un buttafuori ha staccato la corrente prima che si facessero male sul serio. E loro hanno continuato ad arringare i poliziotti sul diritto del Settore Tramonto di portare armi, autotassarsi e chiamarsi di nuovo Australia. Mi sfugge tuttavia perché volessero. morire per l’Australia proprio nel mio club.

Il viso d’arlecchino del Mago era un mosaico d’espressioni. — E io cosa facevo nel frattempo?

— Suonavi un mucchio di Toccate e Fughe. E poi hai suonato le Invenzioni. Dalla prima all’ultima. Quella parte è stata un pochino noiosa — confessò. — Poi hai suonato la Quarta suite inglese. E dopo quasi tutta la Quinta , e poi parte delle Suites francesi…

— Non mi…

— E hai concluso con il Cocktail di Hanro. Quattro ore filate, con i poliziotti che raccoglievano testimonianze sotto il tuo naso e trasportavano via i corpi dei feriti. A cosa diavolo pensavi?

Gli occhi del Mago si soffermarono, spalancati, sul viso di Sidney. La destra scivolò sulla tastiera; quell’unica nota sommessa risuonò ancora. Gli occhi, sempre fissi sul viso di Sidney, divennero opachi.

Tutt’attorno le pareti ridiventarono nere. Non avevano più angoli; nella notte fredda e primordiale dello spazio, un bagliore minuscolo, alternativamente chiaro e scuro, seguì la sua orbita immutabile attorno a lui…

— Magico Capo — disse piano Sidney, e l’altro batté le palpebre. Dopo qualche istante smise di suonare quell’unica nota e fissò la tastiera.

— Si bemolle. — Si portò le mani al viso, pasticciandosi il trucco, e si alzò con movimenti rigidi. — Mi ci vorrebbe proprio, quella birra.

— Ti farò compagnia. Non ho impegni, fino alle dieci.

Il Mago si diresse all’angolo bar preferito da Sidney, un cantuccio tutto quercia e ottone, specchi luminosi e luce calda. Accennò a sedersi, poi cambiò idea. — Sei rimasto ad aspettare tutta la notte — disse in tono meravigliato. — Perché non mi hai interrotto?

Sidney esitò, coronando abilmente di schiuma i boccali di birra. — Ero troppo affascinato — rispose infine. — Non ho mai visto nessuno suonare musica classica in uno stato di trance come te. E poi, eri magnifico. Una volta ripulito e svuotato il locale, era rilassante stare ad ascoltarti.

— Mi fa piacere. — Sorseggiò con aria assorta la birra gelata e chiese, perché era una domanda priva di complicazioni: — Dove vai, stamattina? A tenere una conferenza da qualche parte, o a frugare il Settore Amazzonia alla ricerca del primo fischietto di latta?

— Vado a casa — rispose semplicemente Sidney. — Ieri mi hanno avvisato che alle dieci di stamattina dovrei ricevere una telefonata da Averno.

— Da Averno… — Il Mago inghiottì la birra troppo in fretta; Sidney gli porse una salvietta. — Come mai? — chiese, dopo aver ripreso fiato; Sidney si strinse allegramente nelle spalle.

— Non ne ho idea. Ho lavorato per parecchie istituzioni governative, ma mai per un carcere.

— Possiedi il club più famoso e più frequentato del Settore Costadoro; forse cominci a farti notare nei posti sbagliati. Hai sbattuto fuori qualche pezzo grosso della mala, di recente?

— Aaron mi avrebbe avvertito. Tiene d’occhio tutti.

— Aaron… — ripeté il Mago in tono bizzarro, e Sidney gli lanciò un’occhiata, sorseggiando la birra.

— Era qui, ieri notte, o meglio stamattina.

— In servizio?

— Non l’hai nemmeno visto?

— Avrei giurato di essere solo…

— Ti è mai successo prima d’ora? Di suonare in trance, voglio dire.

Il Mago lo guardò, incredulo. — Mentre un complesso cerca di arrostirsi davanti a me? Non avrei mai immaginato che sarei riuscito a suonare tutte le Invenzioni , neanche a pagamento. Non ricordo nemmeno di averle mai imparate tutte.

Sidney appoggiò il mento alla mano chiusa. — È stata una esecuzione notevole.

— La cosa strana è che i poliziotti non mi abbiano sparato, anche solo per avere un po’ di silenzio e di tranquillità.

— Aaron ha detto loro che sei un po’ tocco, ma inoffensivo.

Il Mago contrasse le labbra in una smorfia. Intuì di sfuggita nello specchio decorato alle spalle di Sidney l’immagine del proprio viso, una vistosa macchia confusa di vernice e di sudore, e si passò la salvietta sulla faccia. Il viso che ne emerse, teso, attento, curioso, non sembrava nemmeno il suo; gli occhi, del colore indefinito dell’acqua al tramonto, parevano in attesa di qualcosa appena oltre il raggio visivo.

Il Mago lasciò cadere la salvietta e bevve la birra. Gli sembrò di avere le dita più gelate del bicchiere. In quel momento avvertì improvvisamente la mancanza di sonno, il sudore gelido del suo corpo che aveva inseguito la musica con energia e passione per quattro ore, senza di lui. Sidney continuava a guardarlo curiosamente.

— Non ricordi a cosa pensavi?

Il Mago scosse la testa, con uno sbadiglio. — Non pensavo a niente.

— Qualcosa deve averlo innescato — disse Sidney con gentile insistenza, e il Mago avvertì l’eccitazione della mente dell’uomo, brillante, generosa, coscienziosa, che aveva fiutato un mistero musicale. Quel genere di cose rappresentava il suo lavoro, la sua passione, e il Mago frugò a disagio nel proprio cervello stanco in cerca di una risposta.

Ma non c’era niente: il puntino chiaro e scuro che ruotava lentamente contro un’ombra più intensa, il lento ritmo contro il quale aveva indirizzato la propria musica…

— Solo… — Ci rinunciò, scuotendo la testa. — Mi spiace.

— C’era qualcosa.

— Sì. Ma non ha alcun nesso.

— Il si bemolle.

— Era leggermente scordato. Tutto qui. Mi spiace — ripeté.

— Prima o poi te ne ricorderai — disse tranquillamente Sidney. — Credo che niente vada mai perduto del tutto. Nemmeno una nota. Secondo me noi viviamo fra gli echi di tutta la musica mai suonata, proprio come viviamo fra i nostri fantasmi. Nessuno strumento diventa mai obsoleto, nasce sempre qualcuno che tornerà a suonarlo. Tu suoni musica vecchia di centinaia d’anni, che ha indugiato nell’aria per tutto questo tempo, al di sopra di tutti i rumori del mondo, finché ne hai colto un frammento fra rumore e rumore, un’intimazione di esistenza. E poi sei stato spinto a cercarla. Spinto dalla fame.

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