Walter Miller Jr. - Il mattatore

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I grandi attori immortali , era uno dei brevi slogan della Smithfield. Ma l’impiegato aveva détto che vi era una produzione discontinua dei manichini di Mila Stone. Sovrapproduzione.

La promessa di una relativa immortalità non era stata che un’esca. I sindacati degli attori avevano resistito all’autodramma, perché ovviamente per i generici e quelli poco noti non ci sarebbero state richieste. Costruendo dozzine, anche centinaia, di copie dello stesso attore, si sarebbero potuti avere attori di talento per ogni parte; e il manichino di un solo attore avrebbe potuto recitare contemporaneamente dozzine di parti in tutto il paese. I sindacati avevano resistito, ma pochi comunque venivano richiesti dalla Smithfield, e l’esca era molto attraente. La promessa di altissime percentuali era abbastanza allettante e inoltre… immortalità per l’attore, tramite la duplicazione dei manichini. Autori, artisti, commediografi erano sempre riusciti a sopravvivere al loro secolo, ma gli attori venivano ricordati soltanto da quelli del mestiere e i loro nomi brevemente citati negli annali del teatro. Shakespeare avrebbe vissuto ancora un migliaio di anni, ma chi si ricordava di Dick Burbage che aveva una compagnia ai tempi del Bardo? Carne e ossa, cuore e cervello, questi erano gli strumenti dei commedianti e la loro arte non poteva sopravvivere a questi strumenti.

Thorny conosceva la brama di sopravvivere e non se la sentiva di odiare coloro che si erano arresi. Per quanto lo riguardava, l’industria dell’autodramma gli aveva fatto un’offerta tentatrice, ma lui aveva resistito in parte perché era ragionevolmente certo che l’offerta sarebbe stata ritirata durante la procedura delle prove. Alcuni attori non erano “cibergenici”; non potevano essere adeguatamente schematizzati nei facsimili elettrorobotici. Questi erano gli intimisti, la cui arte era rivolta all’intimo e le cui parti dovevano venir vissute più che recitate. Nessun facsimile poligrafico avrebbe potuto registrare il loro talento e Thornier sapeva di essere uno di loro. Gli era stato facile resistere.

All’angolo dell’Ottava Strada, si ricordò del nastro di riserva e della testina magnetica per il Maestro. Ma se fosse tornato indietro subito, avrebbe ritardato la prova e Giada si sarebbe infuriata. Si prese mentalmente a calci e guidò il camion verso l’entrata di servizio del teatro. Lasciò il manichino imballato ai macchinisti e ritornò al deposito senza aver visto l’impresario.

— Ehi, amico — disse l’impiegato — il tuo capo ha telefonato. Sembrava piuttosto infelice.

— Chi… D’Uccia?

— No… be’, sì, anche D’Uccia. Ma lui non era infelice, solo un attacco di nervi. Volevo dire la signorina Ferne.

— Oh… dov’è il telefono?

— Da quella parte. La signorina era quasi isterica.

Thorny deglutì con fatica e si diresse verso la cabina. Giada Ferne era una buona amica, ma se la sua sbadataggine le avesse mandato all’aria il programma…

— Ho già preparato il nastro e la testina magnetica — gli gridò dietro l’impiegato. — Me lo ha detto la signorina quando ha telefonato. Amico, lei è davvero nel pallone oggi… eh sì, un bel po’ nel pallone.

Thorny si sentì avvampare e formò il numero nervosamente.

— Grazie a Dio — si lamentò Giada. — Thorny, abbiamo fatto la prova con Andreyev che sembrava uno zombie. Il Maestro si è mangiato la copia del nastro di Peltier e stiamo andando avanti senza l’analogico di uno dei protagonisti. Pupo, ti ammazzerei!

— Mi dispiace, Giada. Credo d’essere un po’ sfasato.

— Non importa. Sbrigati a portare il meccanismo magnetico per Thomas e il nastro di Peltier. E non naufragare. Sono le due e stasera c’è la “prima” e non abbiamo ancora il protagonista. E non abbiamo neppure il tempo di far arrivare i ricambi in aereo dalla Smithfield.

— In un certo senso, niente è cambiato, vero, Giada? — brontolò, pensando all’eterno isterismo che regnava dietro le quinte e che durava fino a quando le luci si spegnevano mentre, miracolosamente, dal caos prevalente nascevano bellezza e calma.

— Non filosofeggiare, sbrigati a venir qui! — sbottò lei e attaccò.

Quando uscì dalla cabina l’impiegato aveva già preparato i pacchi. — Senta, amico, stia bene attento a questo nastro di Peltier — lo avvisò. — È l’ultimo disponibile. Ne ho ordinati altri, ma non arriveranno prima di un paio di giorni.

Thornier fissò pensosamente il pacco più piccolo. L’ultimo Peltier?

Il piano, si ricordò del piano. Questo l’avrebbe reso più facile. Naturalmente, il piano era solo una fantasia, un sogno vendicativo. Non era possibile attuarlo. Sabotare lo spettacolo sarebbe stata una coltellata per Giada.

Udì la propria voce, come se fosse quella di un altro: — La signorina Ferne mi ha anche detto di prendere un nastro di Wilson Granger e un paio di calettature da tre pollici.

L’impiegato lo guardò sorpreso. — Granger? Non c’è nell’ Anarchico , no?

Thornier scosse la testa. — No… credo che lo voglia per una prova. Forse è per il prossimo spettacolo.

L’impiegato si strinse nelle spalle e andò a prendere il nastro e le calettature. Thornier aspettava torturandosi le mani. Naturalmente non aveva intenzione di portarlo fino in fondo: era soltanto un’idea balzana.

— Dovrò fare uno scontrino separato per questi — disse l’impiegato ritornando.

Firmò le bollette di consegna come se fosse in coma, poi salì sul camion. Si allontanò di tre isolati dal magazzino e poi si fermò in un parcheggio. Aprì con cura l’imballaggio dei nastri usando un coltellino, togliendo il nastro adesivo in modo da poterlo rimettere a posto. Tolse dalle loro piccole scatole metalliche i due nastri a schemi perforati, tolse attentamente i sigilli e li mise per il momento nel cruscotto. Srotolò i primi cinquanta centimetri del nastro di Peltier; non era perforato, ma vi erano stampati i dati di identificazione e di fabbricazione. Fortunatamente non si trattava di un nastro nuovo; era già stato usato altre volte e lo si poteva vedere da svariati segni d’usura. Un taglio non avrebbe sollevato sospetti.

Tagliò con il coltello l’etichetta di identificazione e la mise da parte. Poi fece lo stesso lavoro sul nastro di Granger.

Granger era grasso, gioviale, sulla cinquantina: il suo manichino interpretava i caratteri brillanti.

Peltier era giovane, magro, malinconico… il malvagio intellettuale, il fanatico convinto. Una buona scelta per la parte di Andreyev.

Le mani di Thornier si muovevano come per volontà propria, eseguendo automaticamente una parte lungamente provata. Tagliò i nastri; prese una delle scatole delle calettature a caldo e strappò la linguetta che dava il via alla reazione chimica. Aspettò quindici secondi controllando l’orologio poi aprì la scatola e vi inserì il capo tagliato del nastro di Granger e l’etichetta di identificazione di Peltier, li fece attentamente combaciare, poi richiuse la scatola. Quando smise di fumare la aprì per controllare il montaggio. Un taglio netto, ma scarsamente visibile, sul liscio nastro di plastica. L’analogico di Granger classificato come fosse Peltier: e il corpo del manichino era quello di Peltier. Lo rimise nella sua scatola e riapplicò il sigillo.

Cacciò nell’altra scatola il nastro di Peltier, l’etichetta di Granger e la bolla di consegna. Poi guidò il camion fuori dal parcheggio e si inserì nel traffico caotico come un pazzo, fidando nel radar antiurto per uscirne sano e salvo. Mentre attraversava il ponte buttò fuori dal finestrino il nastro Peltier che finì nel fiume. E così non vi era più modo di tornare indietro.

Giada e Feria erano seduti nell’orchestra e stavano guardando l’ultimo atto della prova con un Andreyev imbambolato. Quando Thorny fu al loro fianco, Giada finse di tergersi la fronte dal sudore.

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