Eric Russell - Sarchiapone
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- Название:Sarchiapone
- Автор:
- Издательство:Gamma
- Жанр:
- Год:1965
- Город:Milano
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— Sì.
Quando apparve Gregory, primo ufficiale, erano arrivati nella stretta cabina dell’intercom e cercavano a tastoni nella semioscurità. Peaslake se n’era andato da tempo, disgustato.
— M24. Microaltoparlanti riserva, sette e cinque centimetri, modello T2, una serie di sei.
— Sì.
Gregory guardò dentro, spalancò gli occhi e chiese: — Che succede?
— Ispezione ufficiale tra poco. — McNaught diede un’occhiata al suo orologio. — Vada a vedere se il magazzino ha mandato un carico e, se no, perché. Poi farebbe meglio a darmi una mano in modo da lasciare libero Pike per qualche ora.
— Vuol dire che la franchigia è sospesa?
— Ci può scommettere… finché sueccellenza non sarà venuto e andato via. — Gettò un’occhiata a Pike: — Quando lei scenderà in città, si guardi in giro e mi mandi indietro tutti gli uomini dell’equipaggio che trova. Nessuna spiegazione, nessuna scusa. Niente alibi e/o ritardi. È un ordine.
Pike sembrò infelice. Gregory lo guardò scuro, uscì, tornò indietro e disse: — Il magazzino ci porterà la roba nel giro di venti minuti — e guardò malevolo Pike che si allontanava.
— M47. Cavo intercom, schermato, tre rotoli.
— Sì — disse Gregory, mentre mentalmente si prendeva a calci per essere tornato a bordo nel momento sbagliato.
Il lavoro continuò fino a tarda sera e fu ripreso la mattina seguente di buon’ora. Ormai tre quarti degli uomini stavano dandosi da fare dentro e fuori dell’astronave, prendendo il loro compito come se vi fossero stati condannati per reati previsti ma non ancora commessi.
Per muoversi su e giù per i corridoi e le passerelle dell’astronave dovevano spostarsi lateralmente, come granchi nervosi. Ancora una volta era dimostrato che la forma di vita terrestre aveva il terrore della vernice fresca. Piuttosto che farsi una macchia, un uomo avrebbe preferito perdere dieci anni della sua vita sfortunata.
Nel bel mezzo di quest’atmosfera, a metà pomeriggio del secondo giorno, McNaught sentì che le sue ossa erano state profetiche. Stava recitando la nona pagina mentre Jean Blanchard confermava la presenza e la reale consistenza delle voci enumerate: a due terzi della strada si incagliarono, metaforicamente parlando, e cominciarono ad affondare rapidamente.
Con voce annoiata McNaught disse: — V1097. Tazza smaltata, una.
— È questa — rispose Blanchard toccandola.
— V1098. Anècord, uno.
— Quoi? — domandò Blanchard sgranando gli occhi.
— V1098. Anècord, uno — ripeté McNaught. — Be’, cos’è quella faccia? Questa è la cucina. Lei è il capocuoco. Lei sa che cosa deve esserci in cucina, no? Dov’è questo anècord?
— Mai saputo di questo — dichiarò Blanchard tranquillo.
— Deve averne saputo. È stampato ben chiaro in questo elenco delle dotazioni. Dice: Anècord, uno. Era qui quando siamo partiti quattro anni fa. Lo abbiamo controllato noi stessi e abbiamo firmato la nota.
— Io non ho firmato per niante chi si chiama anecòrd — negò Blanchard. — Nella cuscina non scè niante del genere.
McNaught si accigliò. — Guardi! — E gli mostrò il foglio.
Blanchard guardò e sbuffò seccato. — Io ho qui il forno elettronico, uno. Ho bollitori corazzati, capascità graduata, una serie. Ho casserole bagnomaria, sei. Ma niante anecòrd. Mai sentito. Non so niante di quello. — Allargò le braccia e alzò le spalle. — Niante anecòrd.
— Ci deve essere — insisté McNaught. — E avremo una bella burrasca, se non ci sarà quando arriva Cassidy.
— Lo trovi lei — suggerì Blanchard.
— Lei ha un diploma della Scuola di Cucina Hôtels Internazionali. Lei ha un diploma del Corso di Cucina del Cordon Bleu. Lei ha un diploma con tre lodi del Centro Alimentare della Marina Spaziale — chiarì McNaught. — Tutto questo… e non sa che cosa sia un anècord.
— Nom d’un chien! — proruppe Blanchard, gesticolando. — Le dico mille volte chi non existe anecòrd. Un anecòrd non è mai existito. Escoffier in persona non potrebbe trovare questo anecòrd chi no existe. Forse io sono un mago?
— Fa parte delle dotazioni della cucina, continuò McNaught. — Deve essere così perché è a pagina nove e pagina nove vuol dire che il suo posto giusto è la cucina e la cucina è sotto il controllo del capocuoco.
— Ma bitte ! — ritorse Blanchard. Indicò una scatola metallica sulla parete. — Amplificatore intercom. È mio, quello?
McNaught ci pensò sopra e concesse: — No, è di Burman. I suoi aggeggi sono dappertutto, a bordo.
— Allora, domandi a lui di questo stupido anecòrd — disse Blanchard trionfante.
— Lo farò. Se non è della cucina è di Burman. Prima finiamo questo controllo. Se non sono sistematico e pignolo fino in fondo, Cassidy mi toglierà i gradi. — Percorse con gli occhi la lista. — V1099. Collare con scritta, cuoio, borchie ottone, per cane. Inutile cercarlo, l’ho visto io cinque minuti fa. — Vistò la voce e continuò: — V1100. Cuccia, cesto vimini, una.
— È questo — disse Blanchard calciandola da parte.
— V1101. Cuscino gommapiuma per cuccia, uno.
— Metà — ribatté Blanchard. — In quattro anni ha mangiato l’altra metà.
— Forse Cassidy ce ne farà avere uno nuovo. Non importa. Siamo a posto finché possiamo esibire almeno la metà che abbiamo. — McNaught si fermò, chiuse il raccoglitore. — Qui abbiamo finito; andrò da Burman per questa voce che manca.
Il gruppo di controllo si mosse.
Burman spense un ricevitore u.h.f., si tolse la cuffia e sollevò un sopracciglio interrogativamente. McNaught spiegò: — Nella cucina manca un anècord. Dov’è?
— Perché lo chiede a me? La cucina è nelle mani di Blanchard.
— Non del tutto. Ci passano un mucchio di cavi suoi. Lei ha due scatole di derivazione e anche un interruttore automatico e un amplificatore intercom. Dov’è l’anècord?
— Mai sentito — disse Burman, perplesso.
— Non mi risponda così! — urlò McNaught. — Ne ho abbastanza di sentirlo dire da Blanchard. Quattro anni fa avevamo un anècord, e qui c’è scritto: questa è la copia dell’elenco che abbiamo controllato e firmato noi; dice che abbiamo firmato per un anècord, e quindi ne dobbiamo avere uno. Deve essere trovato prima che Cassidy arrivi qui.
— Mi spiace, signore — conciliò Burman — ma non la posso aiutare.
— Può pensarci ancora — suggerì McNaught. — Su a prua c’è un indicatore di direzione e distanza: come lo chiama, lei?
— Indid — disse Burman incuriosito. McNaught continuò, indicando la trasmittente a impulsi: — E quella, come la chiama?
— Bip-bip.
— Nomignoli, visto? Indid e bip-bip: adesso si sprema le meningi e si faccia venire in mente che cosa lei chiamava anècord quattro anni fa. — Burman affermò: — Niente è mai stato chiamato anècord, che io sappia.
— E allora — domandò McNaught — perché abbiamo firmato per un anècord?
— Io non ho firmato per niente, signore; ha firmato lei tutte le liste.
— Ma mentre lei e gli altri controllavate. Quattro anni fa, presumibilmente in cucina, io ho detto: “Anècord, uno”, e o lei o Blanchard lo avete indicato e avete detto: “Sì”. Io ho avuto la parola di qualcuno su questo; io devo accettare la parola degli specialisti. Io sono un esperto navigatore, al corrente di tutti i più recenti ritrovati per la navigazione, ma non di questa roba. Così sono costretto a fidarmi di chi sa che cos’è un anècord… o dovrebbe saperlo.
Burman ebbe un’idea brillante: — Quando siamo partiti, un mucchio di cose diverse sono state sbattute nell’entrata, nei corridoi e nella stiva e abbiamo dovuto cercare in mezzo al mucchio per riporre ogni cosa al suo posto, si ricorda? Questo anècord potrebbe essere in qualsiasi posto, adesso. Non è detto che sia per forza sotto la mia responsabilità o quella di Blanchard.
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