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Poul Anderson: La comunione della carne

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Evalyth scosse il capo.

— Non è che io ci goda. Ammazzerò l’assassino di mio marito come esige l’onore della famiglia. Gli altri vengano pure liberati, anche i suoi figli… nonostante quello che hanno mangiato. — Si servì abbondantemente il liquore e lo bevve in un sorso solo. Bruciava.

— Ti prego, non farlo — disse Chena. — Donli non avrebbe voluto. Ricordo che citava sempre un antico proverbio. Venivamo dalla stessa città, lo sai, perciò lo conosco… lo conoscevo da molto tempo. Gliel’ho sentito ripetere più volte: «Non sconfiggo forse i miei nemici se me li faccio amici?»

— Ma quando si tratta di un insetto velenoso te lo fai amico o lo schiacci?

— Ricordati che un uomo agisce sempre secondo le regole della società in cui vive. — Chena si infervorò. Afferrò la mano di Evalyth, che restò impassibile. — Che cosa significa un uomo solo se paragonato all’insieme di coloro che gli stanno intorno e di coloro che sono già morti? Il cannibalismo non sopravviverebbe in tutte queste genti così diverse fra di loro se non fosse un elemento fondamentale della cultura dell’intera razza.

Evalyth sentì la collera divampare.

— Ma che specie di razza è, allora? Non ho il diritto di agire anch’io come esige la mia cultura? Tornerò nel mio paese e crescerò il figlio di Donli lontano da voi, codardi. Non dovrà vergognarsi per aver avuto una madre troppo debole per fare giustizia. E ora scusami ma domani mi devo alzare presto per caricare l’astronave.

Evalyth rimase occupata tutto il giorno seguente. Si avviò a casa solo al tramonto, stanca ma un pochino più serena. Si ritrovò a pensare: Sono giovane e un giorno troverò un altro uomo. Comunque ti amerò sempre, caro.

Camminando sollevava la polvere. Metà del complesso era già stato smontato per cui parte del personale dormiva a bordo della Nuova Aurora.

La sera era tranquilla, il cielo giallo. Le baracche erano quasi deserte e Lokon taceva come ormai accadeva da tempo. Il rumore dei suoi passi sui gradini che portavano all’ufficio di Jonafer la rianimò.

La stava aspettando, seduto alla scrivania.

— Compito eseguito senza incidenti — riferì Evalyth.

— Si accomodi — la invitò.

Evalyth obbedì in silenzio. Infine il comandante disse: — Gli scienziati hanno terminato gli esami ai prigionieri.

Incredibilmente lei ci rimase male.

— Di già?… Cioè… Non è che abbiamo molte apparecchiature qui, e poi manca il personale specializzato, soprattutto adesso che Donli… Un esame accurato, utile… non richiederebbe più tempo?

— Certo — ammise Jonafer. — Non abbiamo trovato niente di rilevante. Se il gruppo di Uden avesse avuto idee precise, forse avremmo scoperto qualcosa di più. Si sarebbero potute formulare delle ipotesi e così arrivare a conoscere meglio questi organismi. È vero. Solo Donli Sairn avrebbe potuto farlo. Ma senza di lui e senza la collaborazione degli stessi prigionieri, ignoranti e terrorizzati, abbiamo dovuto procedere quasi alla cieca. Abbiamo individuato delle particolarità nei processi digestivi… niente a che vedere con l’ecologia dell’ambiente.

— Ma allora perché vi siete fermati? Ci resta ancora una settimana.

— L’ho deciso io dopo aver visto quello che succedeva. Uden mi ha detto che si sarebbe interrotto comunque.

— Cosa?… — irata Evalyth sollevò il capo. — Si riferisce al dolore psicologico?

— Sì. Ho visto quella donna legata a un tavolo, ricoperta di fili collegati a macchinari che ronzavano e lampeggiavano. Lei non vedeva niente, resa cieca dalla paura. Forse credeva che le levassimo l’anima, oppure anche peggio. Non capiva. I suoi figli, in una cella, si tenevano per mano non avendo altro a cui rivolgersi. Sono nel bel mezzo dello sviluppo: cosa ne sarà di loro? Moru giaceva a terra lì accanto, drogato. Aveva cercato di suicidarsi catapultandosi con la testa contro il muro. Uden mi ha detto che non sono riusciti a farli collaborare. Naturale. Quei prigionieri sanno che li odiamo a morte.

Si interruppe un istante, poi riprese: — Tutto ha un limite, tenente, anche la scienza e le punizioni soprattutto quando non si prospettano grandi risultati. Ho dato ordine di smettere gli esperimenti. Domani libereremo i ragazzi e la madre.

— E perché non oggi? — chiese Evalyth pur sapendo già la risposta.

— Perché speravo che lei mi permettesse di liberare anche l’uomo.

— No.

— In nome di Dio…

— Del suo Dio — guardò altrove. — Non mi faccia piangere. Vorrei tanto non doverlo uccidere, ma Donli è stato maciullato come un maiale. Ecco ciò che più mi ripugna del cannibalismo, che rende un uomo simile a un maiale. So perfettamente che Donli non tornerà a vivere per questo, ma è come pareggiare i conti rendendo anche il cannibale simile a un maiale.

— Capisco. — Jonafer si mise a guardare fuori dalla finestra. Il suo viso, illuminato dalla luce del tramonto, era come una maschera d’ottone. — Bene — concluse con freddezza. — La Carta dell’Alleanza e lo Statuto non mi danno scelta. Però non vogliamo cerimonie macabre, né inutili vanaglorie. Avverrà tutto nel silenzio, di notte, nel suo alloggio. Farà in fretta e assisterà alla cremazione.

Le mani di Evalyth erano umide di sudore. Era la prima volta che uccideva un uomo indifeso. Ma lui…

— Va bene, comandante — disse.

— Allora, tenente, può raggiungere gli altri in mensa. Non lo dica a nessuno. Avverrà alle ore… — Jonafer consultò l’orologio — …ventisei.

Evalyth sentì un groppo in gola.

— Ma non è un po’ tardi?

— L’ho fatto apposta — confermò Jonafer — in modo che tutti gli altri dormano… e così magari lei avrà tempo di riflettere.

— No! — Evalyth si alzò di scatto e si diresse verso la porta.

La raggiunse la voce del comandante: — Anche Donli gliel’avrebbe chiesto.

La notte invase la stanza ma Evalyth non si alzò per accendere la luce. La sedia preferita di Donli pareva non volesse lasciarla andare.

Ricordò di avere ancora dei tranquillanti. Una sola compressa le avrebbe facilitato il tutto. Probabilmente anche Moru sarebbe stato stordito dai farmaci prima di essere condotto da lei.

In ogni caso non sarebbe stato giusto. — Perché?

Non aveva più le idee chiare.

Solo Moru poteva spiegare per quale motivo aveva ucciso Donli che si fidava di lui. Evalyth si trovò a sorridere nel buio. La superstizione lo aveva spinto a commettere quell’atto orribile e ora aveva visto i figli mostrare le prime avvisaglie della virilità. Doveva essere soddisfatto.

Le pareva strano che lo sviluppo fosse iniziato proprio in quelle circostanze di grande tensione. Le sarebbe parso più logico un ritardo, anche se bisognava ammettere che solo lì in prigionia quei ragazzi avevano avuto un’alimentazione adeguata e appropriate cure mediche. Però era proprio strano. Neanche giovani normali avrebbero iniziato lo sviluppo in un così breve lasso di tempo. Donli si sarebbe appassionato a quel caso: se lo vedeva davanti, sorridente, mentre si passava una mano sulla fronte, dicendo: — Dev’esserci qualcosa di strano; mi piacerebbe scoprirlo. — Evalyth se lo immaginò di fronte a Uden con una birra e una sigaretta.

— Ma come? tu sei solo un biologo e la fisiologia umana non fa parte della tua specializzazione — avrebbe risposto Uden.

— Uhm… in parte. Il mio incarico consiste nello studiare l’adattamento delle specie terrestri ai nuovi pianeti. E certamente tra queste specie è compreso anche l’uomo.

Ma Donli era morto e nessuno era in grado di sostituirlo… Si distolse da quell’idea e dal pensiero di quello che l’aspettava.

Cercò di convincersi che almeno un membro del gruppo di Uden aveva certamente cercato di usare il metodo di Donli. Era fuori discussione che lui, se fosse stato ancora vivo, avrebbe trovato la strada per scoprire importanti risposte… ammesso che ce ne fossero. Lo aveva detto anche Jonafer. Uden e gli altri erano meno intuitivi, banali. A loro non era neppure venuto in mente di controllare il calcolatore di Donli alla ricerca di notizie pertinenti. Avevano affrontato la questione solo dal punto di vista medico e in più il terrore dei prigionieri li aveva dissuasi dal continuare le ricerche. Donli si sarebbe comportato in modo del tutto diverso.

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