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Poul Anderson: La comunione della carne

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La foresta circondava un sentiero aperto dalle bestie selvatiche: si distinguevano i colori del fogliame, l’oscurità dei rami e dei tronchi, delle ombre e talvolta si udivano richiami invisibili. A Evalyth pareva addirittura di avvertire il caldo umido e soffocante dell’aria e di sentire odori pungenti e ben poco piacevoli.

Quella terra, che non aveva altro nome all’infuori di Mondo, dal momento che gli uomini che l’abitavano non sapevano più cosa fossero le stelle, non era risultata assolutamente adatta alla colonizzazione. Gli stessi animali che l’abitavano si erano dimostrati spesso velenosi e comunque mai sufficienti dal punto di vista nutrizionale, così che gli umani riuscivano a sopravvivere solo grazie all’aiuto delle specie che si erano portati con sé.

Sicuramente i primi colonizzatori avevano cercato di migliorare le condizioni di vita, ma in seguito si era verificata una catastrofe: era stato scoperto che l’unica città presente su quella terra era stata abbattuta dai missili, insieme alla maggior parte della popolazione. In tal modo erano venute a mancare le risorse per procedere alla ricostruzione; a dire il vero era già un miracolo che una parte della popolazione fosse sopravvissuta.

— Eccoci arrivati, uomo venuto dalle nuvole.

Le immagini si riassestarono in un completo silenzio che si stendeva dalle baracche alla foresta.

— Non riesco a distinguere niente — commentò Donli.

— Vieni con me che te lo faccio vedere.

Donli ripose il trasmettitore nell’incavo di una pianta, e quello, così messo, inquadrò i due che procedevano in mezzo a un prato. Accanto all’esploratore, Moru pareva un bambino. Gli arrivava solo alla spalla. In realtà era già vecchio, con il corpo seminudo ricoperto da cicatrici e zoppicante dal piede destro a causa di qualche remota ferita, e il volto rugoso avvolto dalla massa nera dei capelli e della barba. In quel mondo un uomo che non poteva più mantenere la famiglia con la caccia ma solo con la pesca e le trappole diventava ancora più misero degli altri. Chissà che felicità aveva provato quando quegli stranieri erano atterrati vicino al suo villaggio e lo avevano rifornito di ogni tipo di merce per convincerlo a fare loro da guida per una o due settimane. Evalyth, grazie al trasmettitore del marito, aveva visto l’interno della capanna di paglia di Moru… scarse, povere suppellettili, la moglie distrutta dalle fatiche, i figli sopravvissuti che a soli sette o otto anni, dodici-tredici anni standard, parevano già dei nani rattrappiti.

Rogar aveva asserito — o almeno si era capito così, dal momento che non si conosceva ancora perfettamente la lingua di Lokon — che le popolazioni dei pianori avrebbero potuto essere più ricche se fossero state meno aggressive e se avessero smesso di farsi continuamente guerra tra loro. Ma a Evalyth non sembrava che costituissero poi un gran pericolo.

Moru indossava soltanto un perizoma, una corda avvolta intorno al corpo per le trappole, un coltello di ossidiana e una bisaccia di tessuto ingrassato così da contenere dei liquidi. I suoi compagni che andavano a caccia e, combattendo in battaglia, potevano impadronirsi di una parte del bottino, vivevano evidentemente meglio di lui, ma non ne differivano molto per quanto riguardava l’aspetto. Non avendo ulteriore spazio a disposizione, quella gente era endogamica per necessità.

Moru si inginocchiò dividendo in due un cespuglio con le mani.

— Ecco — disse rialzandosi.

Evalyth immaginava perfettamente quale ansia dominasse Donli in quel momento, tuttavia lo vide girarsi e sorridere al trasmettitore dicendo in atheiano: — Immagino che tu mi stia guardando, amore, e mi piacerebbe molto renderti partecipe di questa scoperta. Credo si tratti di un nido di uccello.

A Evalyth non era venuto in mente quale sarebbe stata l’importanza ecologica della presenza degli uccelli in quell’ambiente. Stava pensando solo a quello che aveva appena sentito. — Oh, sì, sì! — le venne spontaneo rispondergli, anche se sapeva che in quel momento non poteva essere udita.

Lo vide accucciarsi tra le erbe alte e malsane, tendendo le mani all’interno del cespuglio con gesti delicati che lei ben conosceva, per dividerne i rami.

All’improvviso scorse Moru assalirlo alle spalle, stringendogli il busto con le gambe; con una mano gli tirò indietro la testa, afferrandolo per i capelli, mentre nell’altra lampeggiò il coltello. Dalla gola squarciata di Donli iniziò a sgorgare il sangue e, mentre l’altro gli allargava la ferita, gli rimase solo la forza di gorgogliare qualcosa. Provò disperatamente ad afferrare la pistola, ma Moru gettò via il coltello per bloccargli le braccia. Rotolarono a terra avvinghiati; Donli cercò di liberarsi ma si afflosciò, dissanguato. Moru mantenne la presa e i due scomparvero alla vista di Evalyth dietro il cespuglio, finché la guida si sollevò, paonazza, piena di sangue e ansimante.

Evalyth si mise a urlare nel trasmettitore, con il mondo intero, e continuò a farlo, opponendosi quando provarono ad allontanarla dall’immagine del prato nel quale Moru stava per terminare la sua bell’impresa, finché si sentì pungere da qualcosa di freddo che la fece precipitare in un baratro privo di qualsiasi stella.

Haimie Fiell si morse le labbra bianche.

— Certo che non ne sapevamo niente finché non ce l’avete riferito. Donli e queir… quell’essere erano molto distanti dall’accampamento. Per quale motivo ci ha impedito di andare immediatamente a cercarlo?

— Perché stavamo seguendo il trasmettitore — gli rispose il comandante Jonafer. — Donli era già morto e voi avreste solo potuto peggiorare la situazione cadendo in un’imboscata o facendovi colpire dalle frecce o qualcos’altro del genere mentre percorrevate quei sentieri tanto angusti. Era più opportuno lasciarvi dove vi trovavate perché vi potevate difendere a vicenda nell’attesa che vi inviassimo su un veicolo.

Fiell oltrepassò con lo sguardo l’omone brizzolato che aveva davanti, fissando la staccionata esterna e lo spietato cielo del meriggio.

— Ma l’azione che stava compiendo quel piccolo mostro… — Si interruppe di scatto.

Altrettanto rapidamente Jonafer riprese: — Ho saputo che le altre guide se la sono data a gambe levate per paura di una rappresaglia. Me lo ha riferito Kallaman che, con il suo gruppo, si è recato immediatamente al villaggio. Non ha trovato nessuno, sono fuggiti tutti. Del resto non ci vuole molto a trasferirsi quando si indossa tutto ciò che si possiede e si può costruire un’altra capanna nel giro di una giornata.

Evalyth si sporse in avanti.

— E smettetela di essere così evasivi — li rimbeccò. — Cosa è successo a Donli che avreste potuto evitare raggiungendolo in tempo?

Fiell non aveva il coraggio di guardarla negli occhi e intanto si sentiva la fronte imperlata di sudore.

— A essere sinceri niente — bisbigliò. — Niente che lo avrebbe potuto salvare… quando il misfatto era già stato compiuto.

— Desidererei sapere che tipo di cerimonia funebre vuole per suo marito, tenente Sairn — chiese Jonafer. — Preferisce che le sue ceneri rimangano qui o che siano sparse nello spazio al momento della partenza, o che tornino in patria?

Evalyth si voltò verso di lui.

— E chi mai ha autorizzato la cremazione, comandante? — replicò adagio.

— Nessuno, ma… cerchi di vedere la situazione da un punto di vista più realistico. Mentre noi ci davamo da fare per recuperare il corpo di suo marito, lei era sotto l’effetto dell anestetico e dei sedativi, e qui non abbiamo avuto la possibilità di attendere e neppure c’era spazio vuoto nei refrigeratori; con il caldo che fa…

Quando era uscita dall’infermeria, Evalyth si sentiva stordita e non riusciva a realizzare che Donli fosse morto davvero. Aveva la sensazione che potesse entrare dalla porta da un momento all’altro, illuminato alle spalle dal sole; l’avrebbe liberata ridendo da quell’incubo. Ma sapeva perfettamente che era solo l’effetto dei farmaci che il medico le aveva somministrato, e ne era scocciata.

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