Frank Long - In una piccola città

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In una piccola città: краткое содержание, описание и аннотация

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Bobby Jackson è apparentemente un ragazzo normale, e altrettanto normali sembrano i coniugi Martin, nuovi arrivati, in una piccola città americana come ce ne sono a migliaia: Lakeview. Ma non lontano da Lakeview c’è la caverna detta di Gover, e ciò che succede là dentro potrà coinvolgere nello stesso tremendo pericolo non solo un maestro di scuola, una bibliotecaria, un barista e altri tipici personaggi della provincia americana, ma… tutta la Terra.

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— Se ne ricorda qualcuno?

— Be’… Siamo soli nell’Universo?, Riesame del fattore della distanza cosmica, Universi pluridimensionali, Viaggi spaziali, ol­tre la velocità della luce, Gli osservatori silenziosi, Gli Ufo e l’ipo­tesi fondamentale del tempo, Spazio tangenziale e abitanti di altri mondi, Singolari mutazioni fisiche nell’atmosfera esterna terre­stre. Per lo più sono pubblicati da piccole case editrici e pochissi­mi vanno al di là della prima edizione.

— Prende a prestito anche libri da portare a casa, no?

— Oh, certo — risposi. — Sette o otto la settimana. Negli ulti­mi quindici giorni ha letto tutti quelli che l’interessavano. Ne sta leggendo uno anche adesso.

Guardai verso Bobby, che teneva gli occhi incollati su “Mes­saggi dallo spazio: realtà o fantasia?” Ebbi la sensazione che mi stesse osservando e avesse abbassato gli occhi appena in tempo per non incontrare il mio sguardo. Se era davvero capace di leg­germi nel pensiero — cosa che mi rifiutavo di credere — si sarebbe sicuramente accorto che lo avevo tradito: una cosa trascurabile, lieve forse, ma ciononostante tradimento…

Ho sempre creduto che un bibliotecario che rivela a un estra­neo curioso i titoli dei libri che un altro prende in prestito con­travviene all’etica della sua professione, come un avvocato o un medico troppo chiacchierone. Ma John Dyson non era un estra­neo e tutti e due eravamo preoccupati per Bobby… il che può scusarci, ma forse no.

6

Laura Hartley

Il mio sentimento di colpa aumentò quando John Dyson disse: — Deve avere letto e restituito qualcuno di quei libri. Mi piacereb­be dare un’occhiata a tre o quattro.

— Ma perché? — chiesi, con la sensazione che Bobby stesse di nuovo fissandomi.

— Bobby è turbato per qualche serio motivo — rispose lui. — Se n’è accorta anche lei. È molto cambiato in queste ultime settimane. Forse i libri ci daranno un indizio sulle cause del suo turbamento. In un ragazzo della sua età non è troppo difficile stroncare sul nascere sensazioni o pensieri che potrebbero pro­vocare dei gravi blocchi mentali paralizzando la sua capacità di adattamento alla vita che lo aspetta. Adesso è sulle soglie del­l’adolescenza, e i prossimi due o tre anni saranno un periodo critico. Fra i quattordici e i diciotto basta la minima deviazione per precipitare nell’abisso un giovane, per quanto intelligente possa essere.

Sebbene parlasse per metafora mi balenò vivida nella mente la visione di Bobby che dondolava appeso a una fune su un picco delle Alpi svizzere, con la corda che stava per rompersi e gli altri scalatori, tutti adulti, ormai arrivati in vetta che lo fissavano di­sperati e impotenti. E Bobby che li guardava a sua volta, altret­tanto sbigottito, con gli occhi sbarrati, mentre sotto di lui si spa­lancava l’abisso in cui s’addensavano le ombre della notte.

— Può anche darsi che ci si sia sbagliati completamente sul suo conto — dissi. — Potrebbe trattarsi di una fase passeggera, non diversa da quella provocata da una delle tante malattie della sua età, orecchioni o morbillo, che rendono infelici i ragazzi costrin­gendoli a casa in un giorno di vacanza.

— Bobby non è tipo da prendersela per delle sciocchezze — disse John Dyson. — E, tra l’altro, quest’anno non ha perso un solo giorno di scuola. È una crisi ben più profonda.

— E si aspetta di scoprire cosa sia, sfogliando i libri che ha let­to e restituito? — insistetti. — Non vedo come sia possibile trarne la pur minima…

— Può aver fatto delle annotazioni in margine — disse John Dyson. — Ho visto che alcuni dei suoi testi scolastici sono pieni di appunti a matita. Anzi, uno che ha restituito l’anno scorso era talmente scarabocchiato che, se non si fosse trattato di lui, l’avrei rimproverato aspramente.

Io ero scandalizzata quanto può esserlo solo una bibliotecaria di fronte a una trasgressione così nefanda.

— Non ha mai scritto niente sui miei libri! — protestai. — Non Bobby!

— E perché no? — chiese John. — È noto che l’hanno fatto anche dei professori d’università. Qualche volta il desiderio di ri­battere seduta stante un errore o un’opinione sbagliata dell’autore è irresistibile. Scommetto che le sarà capitato di cancellare più di una volta delle annotazioni in margine.

Naturalmente era vero. Ma è una cosa che non manca di in­dignarmi, e non so perché mi riusciva impossibile credere Bobby capace di sfregiare un oggetto di pubblica proprietà. Tutta­via…

— Va bene — mi arresi. — Vediamo.

Mi alzai, senza guardare verso la sala di lettura, e mi diressi verso i reparti C, D ed E della biblioteca, per cercare quattro dei libri che Bobby aveva restituito la settimana precedente. Dovetti aprirne due e controllare la scheda di restituzione, perché non ri­cordavo a memoria tutti i titoli. Ero sicura che non avrei trovato nessuna annotazione a matita, mentre sfogliavo le pagine, poiché se Bobby avesse avuto l’abitudine di farlo me ne sarei accorta da tempo.

Nonostante quel che Johnny Dyson aveva dichiarato a propo­sito dei testi scolastici, io sapevo che Bobby trattava con cura i li­bri della biblioteca… anzi, sotto questo aspetto era addirittura scrupoloso.

Come aveva detto John Dyson, c’è gente che fa delle note a margine, ma non si tratta certamente di un gesto che si possa pa­ragonare ad atti vandalici quali strappare le illustrazioni o piega­re gli angoli ogni tre o quattro pagine.

E se i commenti a margine erano intelligenti… più intelligenti delle idee esposte dall’autore del libro? In questo caso una bibliotecaria sarebbe stata giustificata se li avesse cancellati, ren­dendo così nullo il piacere che avrebbe potuto trarne il futuro let­tore di quel libro? E non era forse possibile che più di un genio misconosciuto avesse raggiunto la pienezza creativa limitandosi ad annotare in margine i libri di una biblioteca pubblica?

Rimasi lì, ferma, con i quattro libri nell’incavo del braccio, stu­pita per lo strano corso che avevano preso le mie idee. Come mai avevo scelto proprio quel particolare momento per pormi delle domande che di solito non mi sarebbero neppure passate per la testa? Il mio dovere di bibliotecaria, sotto quel riguardo, era evi­dente e non esisteva alcun motivo perché dovessi fare una mon­tagna di un sassolino inesistente.

Mi sembrava addirittura incredibile che mi potesse essere pas­sato per la mente un pensiero simile, mentre mi recavo a prende­re negli scaffali quei quattro libri che, secondo John Dyson, avrebbero potuto illuminarci sulle cause del turbamento che af­fliggeva il suo allievo più brillante.

Poco o tanto che avesse scritto Bobby in margine non contava, e io non dovevo cercar di trovare delle scuse per difendere quel gesto, pensando che fosse ispirato dal genio. Forse Bobby crede­va che fosse così, ma quanto a me…

Per un attimo mi mancò il fiato. Forse Bobby credeva che fos­se proprio così!

Allora, i pensieri che mi affollavano la mente non erano miei? O se lo erano, era stato Bobby a ordinare loro di marciare in rigi­da formazione militare in una zona inesplorata dove la mente di una donna adulta e quella di un ragazzo quattordicenne poteva­no comunicare e affrontarsi in una specie di guerra amichevole e ostile nello stesso tempo? I giovani nutrono sempre un inesplica­bile antagonismo nei confronti degli adulti, per quanto buone possano essere le loro intenzioni, e se Bobby…

Scacciai con fermezza quel pensiero. Quando ci chiedono di fare una cosa assurda — e la richiesta di John Dyson mi sembrava piuttosto insensata — la mente ha la tendenza naturale a svicolare in ordini di idee più assurdi, perché solo così si tengono alla larga le autorecriminazioni.

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