Ma non vi era nessun segno di vita!
Kenniston procedette più lentamente, sempre più lentamente. Cessò di gridare e di suonare il clacson. Cessò persino di guardare. Lasciò che la macchina si fermasse in una grande piazza centrale. Fermò il motore, e un silenzio pauroso scese su di lui e su Hubble.
Poi Kenniston si strinse il capo tra le mani e rimase seduto, così, per lungo tempo. Udì la voce di Hubble, che diceva: «Sono tutti morti o scomparsi.»
Kenniston sollevò il viso.
«Sì, morti e scomparsi. Tutti, molto tempo fa.» Si guardò attorno, guardò quegli splendidi edifici. Poi riprese: «Sai che cosa significa questo, Hubble? Significa che sulla Terra la vita umana non è più possibile. Persino in questa città, protetta da una cupola, non sono riusciti a vivere.»
«Ma perché non ci sono riusciti?» disse Hubble. Indicò una vasta estensione di serbatoi bassi, aperti, che ricoprivano una grande area al limite della città. «Quelli erano serbatoi idroponici, credo. Potevano coltivare in essi ciò che volevano.»
«Se avessero avuto acqua. Forse è l’acqua che mancava. Hubble scosse la testa.»
«Quegli animali che abbiamo visto trovano l’acqua. Anche gli uomini avrebbero potuto trovarla. Voglio dare un’occhiata.»
Scese dalla macchina e si diresse verso i serbatoi polverosi più vicini. Kenniston rimase immobile a osservarlo.
Poi si decise a scendere anche lui e cominciò a curiosare dentro gli edifici attorno alla piazza. Vi erano camere piccole ma alte e ben arredate, illuminate solo dalla triste luce che filtrava attraverso le finestre polverose. In alcune di quelle camere vi erano mobili di metallo, pesanti e massicci, ma graziosi. In altre, invece, soltanto polvere.
Una grande tristezza, un sentimento di inutilità, scese su Kenniston mentre girava lentamente lungo le strade silenziose. Che importava, dopo tutto, che una città, scaraventata fuori della sua epoca, si trovasse a fronteggiare la morte? Là, tutta una razza era morta, e la Terra che li ospitava non era che una solitudine selvaggia.
Kenniston fu scosso dalle sue morbose riflessioni dalla voce di Hubble.
«C’è ancora acqua, là dentro, Ken... grossi depositi, sotto quei serbatoi: non è la mancanza d’acqua, che li ha fatti scomparire. È stato qualche cosa d’altro.»
«Che importanza può avere per noi, ora, sapere ciò che li ha fatti scomparire?» domandò Kenniston, cupamente.
«Ci importa molto, invece» disse Hubble. «Stavo pensando che... Ma non abbiamo tempo di parlarne, ora. La notte e il freddo stanno sopraggiungendo. É meglio che ce ne andiamo.»
Con sorpresa, Kenniston si accorse in quel momento che il sole stava calando a ovest e che le ombre degli edifici immensi si allungavano, nere, sui marciapiedi. Rabbrividì un poco e tornò verso la macchina con Hubble. Nuovamente, il frastuono del motore profanò quel silenzio mortale, mentre rifacevano la strada percorsa e uscivano dalla grande porta.
«Dobbiamo tornare indietro» stava dicendo Hubble. «A Middletown non sanno nulla di quanto li attende.»
«Se li informiamo della esistenza di questa città» osservò Kenniston «se vengono a sapere che non vi sono altri esseri umani, che sono forse del tutto soli sulla Terra, impazziranno per il terrore.»
Il sole era molto basso all’orizzonte; non era più che una striscia di rosso sul limite lontano del cielo. Le stelle si erano fatte più lucenti, quelle stelle che avevano assistito impassibili alla scomparsa degli uomini sulla Terra. Il freddo si faceva sempre più penetrante, e l’oscurità più fitta.
Tutto l’orrore della notte che scendeva sul pianeta morente afferrò il cuore di quei due uomini come in una morsa. Entrambi si sentirono sollevati quando la macchina arrivò infine sulla sommità dell’ultima collina.
Di fronte a loro, irreale in quella Terra morente, scintillavano le luci familiari delle strade di Middletown. Si vedevano le brillanti trasversali di Main Street e di Mill Street, le luci più deboli delle vie secondarie, le insegne rosse al neon delle birrerie di South Street... e tutto risplendeva nella notte gelida di un mondo morto.
«Mi sono dimenticato di mettere l’anticongelante nel radiatore della macchina» disse Kenniston.
Il freddo era intensissimo, ora. Il vento era tagliente come la lama di un rasoio e ambedue rabbrividivano continuamente, anche sotto i loro indumenti pesanti.
Hubble fece col capo un cenno affermativo, poi aggiunse:
«Bisognerà avvertire la popolazione anche di questo. Non sanno ancora che freddo farà, stanotte.»
«Ma dopo questa notte... quando il combustibile e i viveri saranno finiti, che accadrà? Vale forse la pena di lottare?»
«Certamente no, se la pensi a questo modo! Non ne vale assolutamente la pena» disse Hubble. «Ferma la macchina: ci stenderemo a terra e moriremo comodamente congelati.»
Kenniston continuò a guidare per un poco, poi convenne: «Già, hai ragione. Ne vale sempre la pena.»
«La situazione non è del tutto disperata» riprese Hubble. «Vi possono essere, sulla Terra, altre città protette da cupole, altre città che non siano morte. Potremmo trovare gente, aiuto, compagnia. Ma dobbiamo resistere, finché avremo trovato tutto ciò. È proprio questo, che stavo pensando prima.»
Mentre si avvicinavano alla città, aggiunse: «Andiamo prima di tutto al Municipio.»
Accanto alla barriera di Jefferson Street era stato acceso un grande falò. Le guardie di polizia e un piccolo gruppo di guardie nazionali senza uniforme, li stavano aspettando, aguzzando gli occhi nell’oscurità. Accolsero l’arrivo della macchina con grida eccitate, facendo domande ansiose, mentre il loro respiro fumava nell’aria gelata. Ma Hubble si rifiutò di dare qualsiasi risposta. Vi sarebbero stati presto dei comunicati. Dovevano attendere.
Ma il piccolo capitano di polizia che faceva loro strada aveva anche lui le sue domande da fare.
«Ho sentito dire al Municipio che tutta la Terra è morta. Che cosa significa questa storia della caduta attraverso il tempo?»
Hubble rispose evasivamente.
«Non siamo ancora sicuri di nulla. Ci vorrà tempo, prima di accertare ogni cosa.»
Il capitano di polizia domandò ancora: «Ma che avete trovato, laggiù? Qualche segno di vita?»
«Già, qualche segno di vita lo abbiamo trovato» rispose Hubble. «Non abbiamo trovato alcuna persona, ma vi sono segni di vita.»
Solo un animale, furtivo e timido, in cerca del suo scarso cibo, pensò Kenniston. L’ultimo segno di vita, le ultime povere creature che erano le sole eredi della Terra.
Frustata da un vento gelido, la South Street era deserta come in una notte di febbraio. Ma le insegne delle birrerie e dei bar erano ancora accese e i locali apparivano affollati.
Alcuni ragazzi erano riuniti attorno allo stagno del parco di Mill Street. Kenniston capì la ragione del loro eccitamento e delle loro grida quando si accorse che un sottile strato di ghiaccio ricopriva l’acqua dello stagno. Il freddo aveva già posto in fuga la folla di Main Street. Uomini perplessi e gesticolanti discutevano tuttavia ancora, agli angoli delle strade.
Hubble, guardandoli, disse all’improvviso: «Ken, bisogna dir loro come stanno le cose. Ora, subito. Finché non sapranno la verità, non riusciremo a convincerli a fare ciò che è necessario.»
«Non ci crederanno» rispose Kenniston. «Oppure, se ci crederanno, nascerà un pandemonio.»
«Può darsi. Ma dobbiamo correre questo rischio. Dirò al sindaco di trasmettere un comunicato dalla stazione radio.»
Quando Kenniston stava per scendere a sua volta, davanti al Municipio, Hubble lo fermò.
«Non ho bisogno di te, per ora, Ken. So che sei preoccupato per Carol. Va’ a vederla e cerca di tranquillizzarla.»
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