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Vernor Vinge: Naufragio su Giri

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Vernor Vinge Naufragio su Giri

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Come il pianeta Tschai della celebre quadrilogia di Jack Vance, anche Giri non scherza: creato fin nei minimi dettagli dalla fantasia di Vernor Vinge, è un mondo pittoresco e avventuroso popolato da una miriade di razze e tribù bellicose, alle quali non è per niente facile inculcare il concetto di Pax Galattica. Ma questo sarebbe niente se almeno su Giri ci fosse una remota possibilità di sopravvivenza… Invece: sostanze velenose e piante poco raccomandabili, complotti di corte e intrighi tribali, violenze e pericoli, guerre e sacrifici. I due terrestri sbarcati su questo mondo pazzesco per una spedizione scientifica, e costretti a restarvi loro malgrado, si accorgeranno che c’è poco da stare allegri soprattutto quando, per tentare l’unica via di fuga, dovranno partecipare a un piano sanguinoso e assecondare la volontà di un principe folle.

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Una tiepida brezza estiva, rengata dall’emisfero meridionale, e precisamente da latitudine sud simmetrica a quella nord di Bogdaru rispetto all’equatore, spirava dolcemente sul ponte per riscaldare la schiena di Pelio e isolarlo dal gelo locale. I servi addetti a quel compito erano sistemati sottocoperta, così come i nobiluomini e le nobildonne del seguito. Il principe era in piedi sul ponte da solo, o meglio contornato dal minor, numero indispensabile di creature, le sue guardie del corpo personali e l’orso da difesa. Era una protezione molto superiore di quanto la media della nobiltà si sentisse obbligata a tenere, ma Pelio era un witling, e senza la vigile sorveglianza delle guardie anche il più umile dei contadini poteva mandare il suo organismo in corto circuito.

Pelio guardò la folla festante e la; banda militare al di là dello specchio d’acqua. Chissà se sotto sotto ridono di me, pur fingendo di esultare, pensò. Che un witling dovesse diventare un giorno imperatore era davvero un grande scherzo della sorte. Senz’altro, anche tra i civili assiepati sulla riva c’era chi possedeva qualche povero disgraziato con più Talento di lui. Era quello il destino dei witling. Non avevano difese contro i poteri di teletrasporto della gente normale. Un witling veniva trattato come uno schiavo a meno che, naturalmente, non fosse nato all’interno della famiglia reale e non fosse l’erede apparente di un impero. Gli occhi di Pelio bruciarono di una vergogna ormai abituale, mentre guardavano senza vedere le centinaia di sudditi che sventolavano il tricolore. Con quale entusiasmo doveva essere stata accolta la sua nascita, nel Regno d’Estate! Suo padre era rimasto senza eredi per anni, con grande pericolo per la dinastia, e ormai alla fine della mezza età gli avevano finalmente trovato una consorte fertile. Pelio pensava spesso a quanto suo padre dovesse aver sofferto quando era diventato chiaro che suo figlio non si dimostrava superiore, né normale e nemmeno ritardato rispetto alla media. Insomma, che non avrebbe mai posseduto nemmeno il più piccolo grammo di Talento. Per completare la tragedia, il destino aveva in serbo un’altra beffa. Solo un anno più tardi la madre di Pelio, la Regina Consorte Virizhiana, aveva dato alla luce Aleru. Se non fosse stato per una semplice questione di date, il Principe Aleru sarebbe stato il primo in linea di successione. E Aleru era perfettamente normale, anzi, con un Talento superiore alla media.

Naturalmente, la posizione di Pelio nella corte reale era fonte di grande imbarazzo. Il re Shozheru mancava della forza di carattere necessaria per far giustiziare il primogenito, e l’esecuzione era appunto l’unico metodo consentito per sgombrare la linea di successione in favore del secondogenito. Non c’era da sorprendersi che a corte, al posto degli amici, Pelio contasse solo una schiera di intriganti ossequiosi, pronti a mentirgli e ad adularlo. E più che il rispetto, conosceva l’odio sincero di cui era fatto segno da parte del fratello e della madre.

Ogni tre o quattro stagioni, il protocollo esigeva che Pelio prendesse la nave e andasse a visitare qualche angolo del Regno. I viaggi lo esponevano spesso a derisioni mascherate con meno abilità di quanto non accadesse all’interno del Palazzo d’Estate, ma almeno le facce erano diverse. Inoltre, il Regno d’Estate era davvero vasto e meraviglioso, tanto da fargli quasi dimenticare tutti i suoi guai. Tanto più che i viaggi non erano sempre così tranquilli come i consiglieri reali avrebbero voluto. Quest’ultimo lasciava ben sperare, in proposito. Lo strano messaggio che aveva ricevuto quella mattina era anonimo, ma esplicito. A Bogdaru c’era stata battaglia, con mostri o rappresentanti del Popolo d’Inverno…

I soldati a riva recuperarono le funi per il traino e tirarono il vascello contro le assi che rivestivano il molo. Il Prefetto e la banda della guarnigione si trovavano ormai direttamente al di sotto del ponte. Il principe sorrise vedendo Moragha sussultare. Il Prefetto doveva aver avvertito il vento caldo che spirava dalla nave.

L’imbarcazione rimbalzò dolcemente contro le assi e i soldati assicurarono gli ormeggi. Pelio salutò la folla e si scostò dal parapetto. — Qui, Samadhom — ordinò con voce pacata all’orso da difesa. Il grosso animale dalla pelliccia color sabbia lo raggiunse camminando a quattro zampe e incominciò a leccargli una mano. Il principe si fidava di lui più che di tutte le sue guardie, e come difesa passiva contro gli attacchi di kengaggio la bestia era probabilmente efficace come qualunque altro Azhiri, a eccezione dei Corporati. Pelio accarezzò la testa di Samadhom e poi, seguito da un drappello di guardie silenziose, scese le scale fino al primo ponte. I nobili che si unirono a loro all’altezza del secondo livello non erano altrettanto austeri, ma Pelio ignora il loro eterno e artificiale buon umore. Con il seguito immediatamente alle spalle, percorse il ponte mobile in ferro filigranato per raggiungere il molo e si fermò nel punto in cui Parapfu era fermo, irrigidito sull’attenti.

— Riposo, buon Parapfu.

Moragha si rilassò con visibile sollievo e fece cenno alla banda di suonare il segnale di Riposo. Sul molo, la folla ruppe il silenzio che aveva mantenuto fin dal momento in cui il principe aveva posato il piede a terra.

— Altezza, in occasione della vostra visita la gente della mia prefettura, me compreso, desidera esprimervi il più rispettoso e sincero benvenuto. — Il Prefetto si girò, scuotendo la testa per l’entusiasmo, e indicò con un cenno a Pelio i gradini intarsiati che conducevano alla residenza prefettizia. — Ci sono così tante cose che dobbiamo mostrare a Vostra Altezza Imperiale. — Moragha si mise al passo alle spalle del principe, intromettendosi tra lui e la scorta. — Bogdaru è la regione più a nord del Regno d’Estate, ma cerchiamo di mantenere vivo nei nostri cuori e nelle nostre opere lo spirito del verde che cresce. — Indicò il giardino di giada che costeggiava il sentiero da entrambi i lati. Pelio seguì il gesto, senza fare commenti. Vide che le pietre verdi e gialle erano intagliate con abilità e sengò molto vagamente che gli schemi di densità assomigliavano a quelli delle piante vere. Eppure, c’era qualcosa di goffo nel tentativo di imitare la vita con la pietra o la neve. Era il genere di cose che aveva visto, spinte a un eccesso di astrazione, nel palazzo di cristallo del Re delle Nevi, al limite estremo del mondo. — Le miniere di Bogdaru sono le più grandi del mondo — continuò Moragha, non ottenendo risposta. — Il Popolo d’Estate lavora in questa zona per estrarre il rame da più di un secolo…

In fondo al corteo i servi continuarono a teletrasportare la brezza calda dall’emisfero meridionale e accanto a Pelio il Prefetto incominciò a sudare sotto il pesante mantello di pelle decorata. Ma l’aria calda aveva ben poco a che fare con l’ostinato silenzio del principe: erano pochi gli adulatori capaci di sostenere la laconicità e lo sguardo impassibile che gli erano propri. A corte, quei silenzi glaciali venivano considerati un segno di rozzezza e di stupidità. Bisognava ammettere che dai modi di Pelio traspariva una certa arroganza, ma era dettata più che altro dalla sfiducia e dalla solitudine.

Finalmente, il discorsetto che Moragha si era preparato giunse al termine. I due camminarono in silenzio per parecchi passi, finché il principe non si rivolse al suo accompagnatore.

— Raccontatemi della schermaglia dell’altra notte, buon Parapfu.

— Come fate a… — Il Prefetto si interruppe e ricacciò indietro la sorpresa. — Non c’è molto da riferire, Altezza. La faccenda è ancora un mistero. I miei agenti hanno individuato degli intrusi sulle colline verso nord. Ho spedito sul posto le truppe della guarnigione, che hanno incontrato una grande creatura volante e l’hanno distrutta.

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