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Vernor Vinge: Naufragio su Giri

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Vernor Vinge Naufragio su Giri

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Come il pianeta Tschai della celebre quadrilogia di Jack Vance, anche Giri non scherza: creato fin nei minimi dettagli dalla fantasia di Vernor Vinge, è un mondo pittoresco e avventuroso popolato da una miriade di razze e tribù bellicose, alle quali non è per niente facile inculcare il concetto di Pax Galattica. Ma questo sarebbe niente se almeno su Giri ci fosse una remota possibilità di sopravvivenza… Invece: sostanze velenose e piante poco raccomandabili, complotti di corte e intrighi tribali, violenze e pericoli, guerre e sacrifici. I due terrestri sbarcati su questo mondo pazzesco per una spedizione scientifica, e costretti a restarvi loro malgrado, si accorgeranno che c’è poco da stare allegri soprattutto quando, per tentare l’unica via di fuga, dovranno partecipare a un piano sanguinoso e assecondare la volontà di un principe folle.

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La voce di Yoninne gli giunse dolcemente all’orecchio. A quanto sembrava, la ragazza aveva chiuso la tuta e parlava, bisbigliando, nel microfono del cappuccio. — Da ora in poi limitiamoci a comunicare via radio, Bjault. Ho allontanato la slitta in modo da confondere, se possibile, chiunque ci stia seguendo. Sto strisciando verso la scialuppa. Se rimaniamo immobili nella neve dubito che potranno mai localizzarci. Ricordati solo che siamo noi quelli con le armi automatiche.

Ajao chiuse il cappuccio. — D’accordo — sussurrò di rimando, anche se non era ben sicuro di poter affrontare il ruolo di giustiziere, per quanto in scala ridotta.

Si rilassò nella neve, aguzzando le orecchie. Gli auricolari del cappuccio garantivano un buon collegamento acustico con l’esterno, ma lui non udì nulla oltre al soffio lievissimo e costante della neve che cadeva. Da qualche parte a nord, lontanissimo nel buio e forse ancora a dieci chilometri di altezza, la nave traghetto scendeva in picchiata verso di loro a centinaia di metri per secondo. Cinquecento tonnellate di titanio e plastica in caduta libera. Quando si sarebbe decisa Draere a pigiare il comando dei reattori di atterraggio?

La voce della donna risuonò all’improvviso nell’auricolare di Bjault, come se Draere gli avesse letto nel pensiero. — Ci sono problemi con gli indigeni?

— No, ma Yoninne avverte ancora una presenza indesiderata.

— Aha. — Silenzio. — Bene, ho appena acceso i reattori. Adesso vediamo come reagiscono. A presto.

Il silenzio si prolungò per altri trenta secondi. Poi incominciò ad avvertirsi una specie di brontolio sordo e costante. Il veicolo spaziale era ancora così lontano da interessare l’aria solo alle frequenze più basse. Sembrava lo strano avvicinarsi di un tuono, che acquistò via via intensità fino a diventare assordante. Per chiunque non conoscesse i motori a reazione doveva sembrare il grido di un mostro immenso e spaventoso, che si trovava solo a poche centinaia di metri e si stava avvicinando.

Nell’oscurità che li sovrastava, verso nord, comparve un debole chiarore bianco e perlaceo. Anche la luce dei getti di plasma faticava a farsi strada attraverso i chilometri di aria densa di fiocchi di neve. Negli auricolari di Bjault risuonò la voce di Draere che snocciolava con calma le variazioni di altitudine della nave traghetto.

Il rombo si rafforzò, fino a diventare quasi una forza fisica capace di comprimere un essere umano tra l’atmosfera e il suolo. I venti generati dall’aria surriscaldata dei reattori facevano turbinare la neve tutt’intorno e la stessa tempesta era sconvolta dall’energia che i reattori vi immettevano. Ajao cercò di seppellire la visiera nella neve, ma con la coda dell’occhio non poté fare a meno di notare le tre fiamme azzurre e sottili dei getti di plasma della nave. Un atterraggio notturno perfettamente normale, ridacchiò tra sé, e cercò di appiattirsi ancora meglio contro il suolo. Dio, che gioia poter fare una doccia e mangiare qualcosa di decente! E soprattutto liberarsi di Yoninne Leg-Wot…

La voce di Draere giunse debole e distorta dal rumore. — Trecento metri di altitudine. Il vostro riflettore splende limpido e chiaro proprio sotto di noi. Tenete duro, ragazzi.

La sagoma della nave traghetto, larga più di trenta metri, si delineò nel cielo e incominciò lentamente a scendere verso il riflettore che Bjault e Leg-Wot avevano sistemato sul fondo della valle, a trecento metri di distanza. La tempesta di neve parve letteralmente spazzata via e alzando lo sguardo Bjault vide i fianchi delle colline illuminati da una luce azzurra ed elettrica tanto vivida da ferire gli occhi. Sussultò all’improvviso. Erano stati davvero seguiti. Le distese di neve azzurrina riflettevano dozzine e dozzine di figure in controluce.

La nave traghetto si trovava a poco meno di cinquanta metri di altezza. Sbandò leggermente e si inclinò di lato. La voce di Draere rimase calma come se stesse parlando di storia antica. — Turbolenze a terra come non mi era mai capitato di trovarne. — Due dei reattori si ravvivarono e il veicolo spaziale schizzò via di lato, riguadagnando lentamente altezza. — Non riesco a riprendere il comando…

Il muso tozzo della nave si inclinò con grazia verso il basso, colpì di sghembo il fondovalle ed esplose in vampate di luce azzurra mentre il plasma usciva dai reattori senza più controllo.

Bjault rimase a bocca aperta. Draere e altre quaranta persone… tutte morte. In meno di un secondo. Giacque per un attimo inebetito mentre dal cielo continuavano a piovere i resti di quel terribile naufragio di fuoco. Attorno al punto di impatto ormai c’erano solo fiamme chimiche, orribili lingue di fuoco rosse e arancioni praticamente mute se paragonate ai getti di plasma.

Lo scampanio nelle orecchie si placò, e Bjault incominciò a udire delle voci. Girò la testa e spinse lo sguardo oltre la distesa di neve, fino alla slitta. C’erano tre indigeni. I lampi di luce arancione illuminavano loro e la sagoma a forma di tartaruga della slitta, mentre una brezza leggera riportava i fiocchi di neve a cadere sul fianco della collina. Ajao strizzò gli occhi per vedere meglio il terzetto. Potevano anche far parte della squadra che lui aveva visto durante l’atterraggio, ma in quel caso si erano spostati a velocità straordinaria in quei pochi istanti trascorsi dallo schianto della nave guidata da Draere. Gli uomini sembravano normali Azhiri, con il corpo tozzo e la pelle chiara. Indossavano un’uniforme mimetica bianca e grigia che Bjault associò mentalmente alle armi da guerra automatiche. I soldati di culture più primitive di solito si abbigliavano come pavoni oppure vestivano panni civili stracciati. Ma le uniche armi che Bjault potesse vedere addosso a quegli uomini erano dei machete saldamente fissati al fianco.

L’archeologo si mantenne perfettamente immobile. La neve, in quel momento, aveva ripreso a scendere più fitta e forse lui e Leg-Wot potevano ancora evitare la cattura, sempre che servisse a qualche cosa. Adesso erano davvero naufraghi. Bjault si concentrò sul dialogo rapido e concitato degli indigeni.

— …un piccolo mostro, forse della stessa specie di quello più grande — disse uno di loro sferrando un calcio ai pattini della slitta. — Ma almeno questo è morto. Bvepfesh , Apfaneru, che razza di… — La sua voce si perse in un silenzio attonito.

— Ehi, guarda! — Il secondo soldato afferrò il primo per un braccio e indicò qualcosa alla destra di Ajao. — Tu, laggiù! Non ti muovere, se ci tieni alla pelle!

I tre si lanciarono nella direzione indicata dal primo soldato e all’improvviso la slitta dormiente scattò in avanti, con i motori elettrici che giravano a tutto gas. A quanto sembrava, Leg-Wot riusciva ancora a governarla.

— Il mostro! — gridò il terzo soldato, prima che la slitta lo mandasse gambe all’aria. Il secondo Azhiri si girò di colpo verso la macchina e un suono secco, simile a un tuono, fece tremare il terreno. La slitta fu avvolta da un turbine di neve, e quando i fiocchi si diradarono Bjault vide che il veicolo era ribaltato, e in fiamme.

Gli avvenimenti si susseguirono tanto in fretta che lui faticò a seguirli. Alla sua destra, Leg-Wot si alzò in ginocchio, puntando la mitraglietta contro i tre indigeni. Si udì di nuovo il suono secco di poco prima. La neve l’avvolse e lei venne scaraventata all’indietro.

Il primo soldato la raggiunse in un batter d’occhio. — Là! Ecco perché non hai tentato di fuggire. — Sembrava all’improvviso più rilassato, quasi gioviale. — Sei una witling . - Ajao sollevò appena la testa. La neve scendeva fitta come prima dell’atterraggio, ma alla luce discontinua del fuoco lui scorse parecchi altri soldati nelle immediate vicinanze. Gli uomini stavano sistematicamente setacciando il campo innevato. Erano distanziati di cinque metri l’uno dall’altro, proprio come soldati moderni attenti a evitare il fuoco delle armi automatiche. Perché?

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