Ben Bova - Orion e la morte del tempo

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Orion e la morte del tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Orion non è un uomo come tutti gli altri: tanto per cominciare, è immortale. Scelto dai Creatori per essere il loro campione nei frangenti più pericolosi e contro nemici insidiosissimi, è costretto ad andare alla deriva nel tempo per battersi contro i pericoli che si annidano in epoche e secoli nascosti. Insieme ad Anya, una ragazza che condivide la sua sorte, è costretto questa volta a lottare non solo contro le forze ostili ai Creatori, gli enigmatici esseri che reggono le fila del suo destino, ma contro i Creatori stessi per riconquistare la libertà. E la partita si decide in un’era lontanissima, dove la morte del tempo non è più metafora ma realtà.

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Strinsi la mano di Anya e chiusi gli occhi. Fianco a fianco, ci concentrammo entrambi nel tentativo di raggiungere le menti dei Creatori.

Vidi un bagliore, e per un attimo pensai che fossimo riusciti nel nostro intento. Ma invece dell’aura dorata che ammantava il punto spaziotemporale dei Creatori, quella luce aveva una colorazione rossastra, simile al colore delle scure fiamme dell’inferno; simile all’occhio splendente della stella rosso sangue che vegliava imperterrita su di noi, una notte dopo l’altra.

La luce si concentrò in un punto, mettendosi a fuoco come un’immagine al telescopio. Da essa comparve il volto spietato e colmo d’odio di Set.

— Presto, Orion. Molto presto, ormai. So dove siete. Manderò il flagello che avevo promesso. La vostra fine sarà lenta e dolorosa, miserabili scimmie.

Balzai a sedere.

— Cosa c’è? — domandò Anya, terrorizzata, alzandosi a sedere anche lei. — Cos’hai visto?

— Set. Sa dove siamo. Temo di avergli rivelato la nostra posizione nel tentativo di mettermi in contatto con i Creatori. Siamo caduti nella sua trappola.

6

Per tutta la notte rimanemmo svegli a discutere sul da farsi. Le nostre possibilità di scelta erano miseramente limitate. Potevamo rimanere in quel luogo, anche se Set ne conosceva l’ubicazione. Avremmo potuto fuggire spingendoci ancora di più all’interno della foresta nella speranza che non riuscisse a trovarci. Se avessimo cercato di contattare i Creatori, il fascio d’energia mentale che avremmo prodotto sarebbe stato per Set un segnale distinto come un raggio laser sparato nella notte. Ma se non potevamo entrare in contatto con i Creatori, allora eravamo praticamente inermi contro quel demone in forma di rettile e i suoi enormi poteri.

Non arrivammo a nessuna conclusione. Qualsiasi eventualità sembrava portare verso il disastro più totale. Alla fine, mentre i primi raggi del nuovo giorno cominciavano a rischiarare il cielo, Anya si distese sul nostro giaciglio e chiuse gli occhi per piombare in un sonno inquieto.

Mi portai all’ingresso della caverna e sedetti con la schiena contro la roccia, analizzando con lo sguardo il fondo del canyon. Potevo osservare la valle fino al fiume e ancora un po’ più in là. Qualsiasi nemico si fosse avvicinato, da lassù sarebbe stato facilmente individuabile. Inoltre, ogni rumore veniva amplificato dalla conformazione naturale della conca.

La stella rossastra brillava nel cielo mattutino, incurante della luce del sole. Per qualche motivo mi faceva gelare il sangue nelle vene; quella stella non poteva appartenere a quel luogo. Era un’intrusa nel cielo, indizio del fatto che le cose non andavano per il verso giusto.

Vidi Noch e gli altri destarsi. Noch stava diventando piuttosto muscoloso. Il petto e le braccia gli si erano gonfiati notevolmente. Camminava a testa alta. Persino la gracile Reeva si era fatta più in carne, cominciando ad apparire piuttosto attraente. Le ferite sulla sua schiena erano ormai semplici lividi azzurrognoli.

Discendendo il pendio roccioso verso fondovalle raggiunsi Noch, anche lui diretto verso il fiume. Mi arrivava appena alle spalle, e dovette sollevare lo sguardo verso la luce del sole per parlarmi. Ma ogni cenno di servilismo era scomparso dal suo comportamento.

Giungemmo insieme al ruscello e urinammo contro la riva fangosa, da pari almeno in quello.

— Cacceremo di nuovo, oggi? — domandò Noch.

— Tu cosa dici? Pensi che dovremmo farlo? — replicai.

— Abbiamo ancora molta carne della capra che abbiamo ucciso ieri — disse, tirandosi la barba scarmigliata — ma mentre tornavamo qui ho visto le orme di un grosso animale presso la riva; orme che non avevo mai visto prima.

Me le mostrò. Erano orme di un orso di dimensioni piuttosto notevoli, e dissi che era meglio tenersi alla larga da una bestia come quella. A giudicare dalla grandezza delle sue impronte doveva essere un orso delle caverne, che poteva raggiungere un’altezza di quasi due metri in posizione eretta. Le zampe che avevano prodotto quelle impronte potevano spezzare la schiena di un uomo con un sol colpo. Descrissi l’aspetto di un orso, spiegai quanto fosse feroce e i pericoli di un simile incontro.

Con mia sorpresa, le mie parole servirono solo a eccitarlo. Non vedeva l’ora di seguirne le orme.

— Siamo in grado di ucciderlo! — disse. — Tutti noi, insieme. Possiamo farcela.

— Ma perché? — domandai. — Perché correre un rischio simile?

Noch si tirò nuovamente la barba, cercando le parole adatte. Pensai di sapere cosa gli stesse frullando per la testa: voleva uccidere l’orso per provare a se stesso e alle donne che era un valoroso cacciatore. Il re della foresta.

Ma invece disse: — Se quella bestia è pericolosa come dici, Orion, non pensi che potrebbe arrivare alle nostre caverne, di notte, e attaccarci? Potrebbe essere più pericoloso non ucciderlo.

Gli lanciai un sorriso. Aveva cominciato a riflettere con la sua testa, la docilità dello schiavo aveva lasciato posto al coraggio del cacciatore. Forse un giorno sarebbe diventato un capo.

Improvvisamente, la mia mente venne colpita da un pensiero sgradevole. E se quell’orso fosse stato un’arma diretta da Set contro di noi? Un orso delle caverne poteva essere in grado di uccidere buona parte del nostro gruppo, se fosse riuscito a colpire di notte.

— Hai ragione — dissi. — Raduna tutti gli uomini, e gli daremo la caccia.

Noch tornò insieme ai suoi sette compagni, e ognuno di loro imbracciava un paio di rozze lance. Io ero armato di un arco e avevo una mezza dozzina di frecce nella faretra. Alcuni stringevano in mano rozzi coltelli di selce, semplici schegge di pietra affilate su un lato e lavorate in modo da adattarsi al palmo della mano. Anya avrebbe voluto venire con noi, ma io la convinsi ad attendere insieme alle donne per non infrangere quella precaria divisione dei compiti che avevamo stabilito solo poco tempo prima.

— Molto bene — rispose lei, scuotendo il capo con aria infelice. — Resterò con le donne mentre vai fuori a divertirti.

— Resta in guardia — dissi. — Quest’orso potrebbe essere un diversivo di Set per attirarci fuori dalle caverne.

Fu una giornata lunga e spossante, durante la quale rimasi costantemente all’erta. Con tutta probabilità doveva esserci più di un orso in quei boschi. Gli orsi vivono sempre vicino ad altri loro simili. Eppure, per quanto cercassimo, quella serie di impronte sembrava unica.

Le impronte seguivano la riva del fiume, sotto le fronde degli alberi. Uccelli multicolori gridavano al nostro passaggio, e gli insetti balzavano lontani dai nostri passi nel calore del pomeriggio.

Chron si arrampicò su un pino dal fusto inclinato, e dall’alto di quel punto d’osservazione gridò: — Il fiume fa una brusca svolta verso destra e poi diventa molto più ampio. Sembra… iaaah!

Il suo urlo improvviso ci fece sobbalzare. Il giovane schiaffeggiava freneticamente l’aria intorno alla testa con una mano, scendendo giù per il tronco con l’ausilio dell’altra. Quando fu più vicino compresi che era stato attaccato da uno sciame di api furiose.

Mi precipitai sotto l’albero. Chron scivolò e perdette la presa, cadendo fra i rami più bassi. Percorsi gli ultimi passi che mi dividevano da lui e lo presi al volo fra le braccia, poi entrambi cademmo a terra con un rumore sordo e poco dignitoso. L’aria fuoriuscì con violenza dai miei polmoni, e sentii le braccia dolere come se si fossero staccate dalle spalle.

Le api giunsero al suo inseguimento: uno sciame ronzante e bellicoso.

— Nel fiume! — gridai. Tutti e nove corremmo come se avessimo un demonio alle calcagna e ci tuffammo senza un minimo di dignità fra le gelide acque del fiume mentre le api, furibonde, riempivano l’aria come una minacciosa nuvola di dolore. Nessuno fra i miei compagni sapeva nuotare, ma tutti imitarono i miei movimenti mentre abbassavo la testa sotto il pelo dell’acqua allontanandomi carponi dalla riva.

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