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Ben Bova: I condannati di Messina

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Ben Bova I condannati di Messina

I condannati di Messina: краткое содержание, описание и аннотация

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Farà piacere ai nostri lettori siciliani sapere che in un futuro più o meno lontano Messina è destinata a diventare sede del supergoverno mondiale. La città, certo, non sarà più la stessa. Torri e palazzi fantascientifici domineranno, lo stretto; uomini dotati d’immenso potere e carichi d’immense responsabilità guarderanno pensosi verso la Calabria; e celebri scienziati di tutto il mondo si ritroveranno, sbigottiti, a Messina, trasportati qui con le buone e con le cattive insieme alle loro famiglie. Una gravissima decisione è stata presa al più alto livello: ancora una volta la scienza sta per mettere in pericolo mortale non solo la società ma l’umanità stessa. E la scienza deve essere messa in condizioni di non nuocere. L’ordine spietato (o pietoso?), necessario (o criminale?) partirà da Messina.

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E questa era New York, il cuore della violenza! Il posto più vicino alla civiltà e alla sicurezza era il vecchio aeroporto JFK, in qualche punto di Long Island.

Se riesco a raggiungere l’aeroporto, pensò Lou, torno ad Albuquerque. Forse Bonnie mi sta aspettando.

Ma come fare per raggiungere l’aeroporto?

Mentre se ne stava seduto a meditare, Lou sentì in lontananza il ronzio di un turbocar. Un’auto! In città, di notte! Riuscirò a farla fermare?

Il ronzio della turbina si avvicinava, e veniva nella sua direzione. Lou si raddrizzo e attraversò la spianata nera dirigendosi dalla parte da cui veniva il rumore. In lontananza, sulla sinistra, vide una luce. Veniva dalla sua parte! Lou corse verso il recinto che chiudeva la spianata. Al di là, correva una grande arteria in rovina e in basso si vedevano i fari della macchina che si avvicinava. Per quanto il fondo stradale fosse in pessime condizioni, qualche auto percorreva ancora l’antica superstrada.

Lou si sporse e fece segno al turbocar, che accelerò. L’auto lo superò rombando e Lou si sentì ronzare le orecchie per l’urlo lacerante del motore, che rimbombava contro le pareti della superstrada in rovina. Un soffio di aria calda e zolle di terriccio, misti alla puzza di cherosene, lo investirono.

Se scendo fino alla strada, forse ce la faccio a fermare una macchina e a farmi prendere a bordo.

Nel buio profondo che seguì il passaggio del turbocar, Lou riuscì a malapena a distinguere una passerella pedonale che valicava la strada, all’estremità opposta della spianata. Si diresse di corsa da quella parte. Una barriera di filo di ferro ne sbarrava l’accesso, ma Lou la scavalcò agevolmente.

Attraversò il cavalcavia e si ritrovò sul marciapiedi di una strada deserta. Ci sarà da qualche parte una scala che porta alla superstrada, pensò avviandosi lungo la carreggiata. Nel buio inciampò in una bottiglia che rotolò con gran fracasso sul marciapiedi. Al rumore, il silenzio della città sembrò più minaccioso. Lou proseguì, senza perdere d’occhio la strada in basso. La città sembrava deserta. Ma Lou sapeva che tutt’attorno a lui c’era gente, quasi dieci milioni di persone. La maggior parte se ne stava barricata in casa per la notte, atterrita da quelli che si aggiravano nelle tenebre. E il resto…

Sopraggiunse un’altra macchina dalla parte opposta. Lou stavolta non si diede la pena di fare segni. Era impossibile che il guidatore, dal basso, lo vedesse. Inoltre Lou cominciava a rendersi conto che nessun automobilista con un po’ di buon senso si sarebbe mai fermato a raccogliere qualcuno, lì, nel cuore della città. Era già abbastanza rischioso attraversare l’East Side, sperando che la macchina non avesse un guasto o un incidente: perché in quel caso…

Forse se vedono che indosso una tuta da volo, tentò di convincersi Lou, si fermeranno a raccogliermi.

— Dove stai andando?

La voce lo trafisse come una lama di coltello. Lou, preso alla sprovvista, sussultò. Un ragazzo nero, vestito di stracci, gli sorrideva, scoprendo tutti i denti.

— Dove vai? — ripeté.

— Ecco, mi sono perduto. Cerco di ritrovare la strada…

Dal buio, dall’altro lato della via, un’altra voce chiamò: — Cos’hai trovato, Pustola?

— Un tale, con un abito buffo. Dice che si è perduto. Un terzetto di ragazzi spuntò dall’ombra, dirigendosi verso Lou, che aspettava, immobile.

— Che abito buffo! — disse quello in mezzo, il più basso dei tre. Nessuno di loro arrivava alla spalla di Lou. Erano tutti vestiti di stracci, scalzi, magri, sparuti, e le facce ancora infantili avevano l’aria dura e avida di adulti affamati.

Quello in mezzo sembrava il capo. Scrutò attentamente Lou, poi chiese: — Hai il permesso?

— Come?

— Sei nel territorio dei Piedipiatti. Hai il permesso?

— Be’… no.

Il capo scoppiò a ridere: — Lo credo che non ce l’hai! Non si ottengono permessi, se non da me, e io non ne do. — I quattro scoppiarono a ridere.

Il capo chiese: — Quanta carta hai?

— Non capisco…

— Carta, grana, fresca, bigliettoni…

— Ah, vuoi dire denaro — disse Lou. Scosse la testa. — Non ne ho. Non ne porto mai con me.

Qualcosa esplose nella sua schiena. Lou crollò in ginocchio, spasimando per il dolore. Il capo gli si piantò davanti. Lou adesso era costretto a guardare il ragazzo negli occhi duri e brillanti.

— Io…

Sorridendo, il capo prese la mira ruotando il busto all’indietro, deliberatamente, poi sferrò un pugno sulla bocca di Lou. Uno dei ragazzi gli mollò un calcio in pieno petto e Lou si rovesciò all’indietro, ansando, con la bocca improvvisamente piena di sangue e tante stelline negli occhi.

Si sentì addosso le loro mani che gli aprivano le cerniere della tuta e laceravano il tessuto. Lo voltarono a testa in giù, con la faccia contro il selciato sudicio. Gli sfilarono le scarpe.

Adesso parlavano tra loro, ridacchiando e borbottando. Lou aveva la bocca gonfia e dolorante. La schiena e le costole, se appena tentava di muoversi, gli davano delle fitte; comunque, riuscì a ritrovare il respiro normale e cercò di mettersi in ginocchio.

— Tipo sincero, eh? — disse il capo, sogghignando. — Niente grana, hai detto la verità. Le scarpe, comunque, sono già meglio di niente. Per me sono un po’ grandi, però le imbottirò di carta o di qualcos’altro.

Lou rimase rannicchiato al suolo, passandosi le dita sui grumi di sangue che si erano formati sul mento. I quattro ragazzi, disposti a semicerchio tutt’attorno, sembravano enormi, sopra di lui.

— Va bene — disse il capo. — E adesso come ce ne liberiamo?

Il ragazzo alla sinistra di Lou fece scattare un coltello a serramanico, ridacchiando.

Lou si alzò di scatto, si lanciò contro il capo, lo rovesciò all’indietro e scappò a tutta velocità. Si buttò lungo la strada buia, svoltò all’angolo, correndo a perdifiato, senza sapere dove andare, pur di fuggire. Inciampò con il piede scalzo in un oggetto duro, ma non si fermò, continuò a correre, madido di sudore e con il cuore in gola.

— Acchiappalo! Acchiappalo! — gridavano alle sue spalle. Poi, la voce inconfondibile del capo: — Piedipiatti! In caccia!

Altre voci rispondevano più avanti e dalle vie laterali. Sulla destra, c’era un viale. Senza sbocco, con tutta probabilità. Lou passò oltre il viale, ormai camminando piano e in silenzio, e si diresse verso l’altro angolo della strada. Tremava tutto; il dolore fisico, in quel momento, era meno forte della paura. Dal fondo della via arrivava lo scalpiccio dei ragazzi scalzi che avanzavano rapidamente verso di lui.

— Da quella parte, per il viale — disse qualcuno, a mezzo isolato di distanza alle sue spalle.

Lou svoltò l’angolo e riprese a correre.

Perse il senso del tempo. Minuti e ore, ormai, si confondevano. Stava correndo ed era braccato come una gazzella, o meglio, come un animale da macello, con un branco di lupi alle spalle. Non sapeva altro. Se appena si fermava, sentiva le voci degli inseguitori, dietro, di fianco, davanti, nell’ombra, dappertutto.

Tentò di penetrare in qualche casa, ma tutte le porte erano chiuse. Molte avevano pesanti grate metalliche. Altre erano protette elettricamente e Lou prese ripetutamente la scossa, prima di rinunciare a entrare negli anditi bui.

— Ehi, fermatelo, non deve attraversare la strada!

Lou guardò davanti a sé. A qualche isolato di distanza, si vedevano delle luci. Si trattava forse di una delle grandi arterie cittadine, ancora illuminate? Le luci volevano dire civiltà, e civiltà equivaleva a salvezza. Lou si lanciò di corsa in direzione delle luci.

— Eccolo! Prendetelo!

Lo scalpiccio alle sue spalle si avvicinava. Dietro un angolo spuntarono due ragazzi, con i coltelli in pugno. Lou svoltò di scatto verso il centro della via. Quando i due scattarono per tagliargli la strada, lui si ributtò all’indietro, nel suo miglior stile di giocatore di calcio. Uno dei ragazzi, nel tentativo di raggiungerlo, scivolò e Lou sferrò all’altro un calcio così violento che il ragazzo rimbalzò fino a metà strada.

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