Bob Shaw - Il terzo occhio della mente

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Il terzo occhio della mente: краткое содержание, описание и аннотация

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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“Non sono più nella stessa casa! Non sono più nello stesso posto!”

Redpath lasciò andare le tendine, si premette il palmo di una mano sulle labbra.

“Forse sono rimasto svenuto per ore e ore, e loro mi hanno portato via e io non me ne sono accorto. Forse non sono più nemmeno a Calbridge, e per quanto ne so potrebbero aver pensato che sono morto, e forse mi hanno scaricato da qualche parte, e non avevano nessun diritto di trattarmi così… non avevano proprio nessun diritto!”

Redpath corse alla porta, la aprì e uscì sul pianerottolo, facendo deliberatamente molto rumore.

— C’è qualcuno? — urlò, accorgendosi quasi automaticamente che la casa era molto simile a quella di Raby Street. — C’è qualcuno in casa?

Il silenzio era assoluto, a parte il ronzio attutito del traffico che filtrava dalla strada. Redpath, esitante, accettò il fatto curioso che la posizione della sua stanza corrispondeva esattamente alla posizione della sua camera da letto nell’altra casa. Quel pensiero lo trascinò in un vortice di dubbi e confusione. Era impazzito del tutto? Si trovava ancora nella stessa casa? Le sue idee sul mobilio e sul panorama esterno erano solo ricordi di un’altra epoca, di un altro posto? Non gli era mai successo, nemmeno con un attacco di grande male, di trovarsi così disorientato al risveglio; ma chi poteva dire quali effetti avesse il maledetto Composto Centottantatré di Nevison su un cervello già minato da tempeste nervose?

Un po’ più calmo, un po’ meno furioso, Redpath scese all’altro pianerottolo. Il pianerottolo arrivava fin sul retro della casa, terminava in una finestra senza vetri istoriati. L’assenza del giglio dimostrava qualcosa? Redpath pensò che forse quello era un indizio importante, ma non riusciva ad afferrarne il significato.

Scese a pianterreno, arrivò davanti alla stanza che secondo lui era la cucina e bussò alla porta. Non ci fu risposta. Entrò, ma si fermò sulla soglia per studiare nei particolari quel locale lungo, con gli armadietti color grigioverde. Il lavandino era in acciaio cromato, non in porcellana, e il frigorifero, molto più grande, si trovava in un altro angolo… Tutto era sempre più diverso dalla casa di Raby Street. Sembrava quasi che…

“Un momento, imbecille! Non hai mai visto la cucina dell’altra casa. Il lavandino e il frigorifero li hai visti solo in un incubo!”

“Stai attento!”

Redpath si voltò verso destra e vide, nella stessa identica posizione dell’incubo, una porta che forse portava in dispensa, e forse in cantina. Socchiuse gli occhi, mentre un brivido di freddo gli correva lungo la schiena. La porta era assolutamente diversa (era di plastica bianca, e invece nel suo sogno si trattava di legno dipinto di rosso), però era quasi mostruoso trovarla esattamente nella stessa posizione. Tese la mano, afferrò la maniglia cromata e aprì la porla. Vide scalini di cemento che portavano nel buio d’una cantina.

Redpath, contro la stia stessa volontà, raggiunse il primo gradino. (,’aria che saliva dalle tenebre era troppo calda. Viziata e pesante. All’improvviso notò qualcosa sul muro alla sua destra: un interruttore. Tese la mano ad abbassarlo, ma non successe niente: e in quel momento si accorse che era già abbassato, in posizione di funzionamento. Quindi, o la lampadina era saltata, oppure i fili dell’interruttore erano collegati alla rovescia. Gli venne in mente una terza ipotesi, che in fondo alle scale ci fosse un altro interruttore a circuito alternato, ma la scartò subito.

“Non vorrai dirmi, vecchio mio, che una persona sana di mente metterebbe in questa cripta infestata dai ragni un interruttore che si spegne in basso.”

Tornando alla seconda ipotesi, Redpath provò a spingere verso l’alto l’interruttore, che si mosse subito. Una luce al neon si accese in fondo alle scale. Lui scese metà degli scalini, poi si sedette sui talloni per avere una visuale completa della cantina. Il locale era di forma quadrata, in cemento, ed era del tutto vuoto. Mancavano i vecchi oggetti, le cianfrusaglie abbandonate che di solito si trovano nelle cantine. L’unico contenuto visibile erano una decina di oggetti color rosso scuro, grandi come un pugno, disseminati sul pavimento.

Spinto da un insieme di curiosità e masochismo, Redpath scese fino in fondo e si chinò a esaminare l’oggetto più vicino. Era un uccello, forse un piccione, scorticato a morte. Del corpicino era rimasta intatta solo la struttura muscolare, mentre piume e pelle erano state tolte con estrema precisione. Redpath fece una smorfia quando si accorse che erano scomparsi anche il becco e le unghie delle zampe. Per un attimo, l’apparizione che aveva intravisto davanti al suo appartamento a colazione, quella faccia fatta di carne viva, si riaffacciò ai margini della sua percezione.

“Adesso devo uscire di qui.”

Si alzò, camminò all’indietro finché non urtò con la caviglia contro il primo scalino, poi si girò e corse a perdifiato su per la scala. Era quasi arrivato in cima quando la porta bianca si mosse, bloccandogli parzialmente la strada. Redpath ebbe l’impressione di un’ala enorme che si agitasse. Senza fermarsi a pensare, spinse la porta e corse in cucina. Un attimo dopo era nell’atrio d’ingresso.

“Quella porta dev’essere rotta. Forse ha uno di quei meccanismi per la chiusura automatica e non funziona bene. Insomma, lo so che sono un assassino, che mi merito ogni punizione possibile, ma c’è un limite a tutto…”

Raggiunse la porta d’ingresso, i cui vetri non avevano nessuna decorazione, l’aprì e uscì in strada, in cerca di qualche indizio che gli facesse capire dove si trovava. La strada si offriva al sole del mattino in tutto il suo squallore, come un vagabondo vecchissimo che cercasse di nutrirsi di luce; ma quella era l’unica somiglianza che possedesse con Raby Street o con ogni altra zona di Calbridge. Redpath fissò le facciate di arenaria marrone, le scale corte e molto ampie che portavano agli ingressi degli edifici, i lampioni di forma strana, e fu costretto ad ammettere che non conosceva affatto quel posto. Chissà dov’era andato a finire.

“Prove” pensò. mentre nel suo cervello cominciavano ad agitarsi i demoni dell’indignazione e della rabbia. “Se mai dovessi fornire prove di quello che mi sta succedendo, voglio essere molto preciso. D’accordo, sono un assassino, merito di essere punito; ma non è un buon motivo per permettere che la Regina degli Zingari e i suoi amici la passino liscia.”

Si girò a guardare il numero della casa da cui era appena uscito. Sulla porta blu pallido c’era una fila di numeri di metallo, disposti in diagonale: 2224. Leggermente sorpreso da quel numero così alto (per quanto ne sapeva, i numeri civici arrivavano al massimo fino all’ordine di poche centinaia), Redpath si concentrò su uno strano oggetto metallico che sporgeva dal marciapiede. Era verde, e sopra era stampigliata la scritta GFD. Lo guardò per un attimo, perplesso, e finalmente riuscì a identificarlo: era un idrante antincendio di stile americano, e in vita sua aveva visto roba del genere solo nei film importati dagli USA.

Redpath, deciso a non lasciarsi distrarre da indizi banali, s’incamminò verso l’incrocio più vicino per vedere la targa coi nome della via. Superò tre macchine, e all’improvviso si accorse che tutte e tre: erano di forma e dimensioni insolite.

“Strano. Tre macchine americane in una sola strada. Forse da queste parti c’è un club dl amici delle auto straniere…”

Lungo lo spazio che lo separava dall’incrocio erano parcheggiate altre quattro macchine, e lui notò subito che erano tutte americane. Veicoli enormi, spaziosi, che solo gli eroi dei telefilm come Cannon, Rockford e Kojak usavano. Le targhe delle prime tre erano dell’Illinois; la quarta dello Iowa. Perplesso, intontito dal caldo e dalla luce intensa, Redpath arrivò all’incrocio e guardò la targa della via. C’era scritto: 13 AVE S.E.

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