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Philip Dick: Scorrete lacrime, disse il poliziotto

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Philip Dick Scorrete lacrime, disse il poliziotto

Scorrete lacrime, disse il poliziotto: краткое содержание, описание и аннотация

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Jason Taverner, popolarissimo conduttore di uno show televisivo, si trova all’improvviso senza identità. Nessuno si ricorda più di lui e il suo nome sembra scomparso dagli archivi informatici. L’uomo comincia così un viaggio alla ricerca di qualche traccia della propria esistenza nei bassifondi di una città ipertecnologica e crudele.

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— Andiamo — mormorò con voce roca Jason. — Subito.

— Immediatamente — disse il portiere, e afferrò la sua smagliante giacca di plastica.

3

Alla guida del suo vecchio, lento e rumoroso trabi, il portiere, con aria indifferente, disse a Jason che sedeva al suo fianco: — Sto captando molte stranezze nella sua mente.

— Esca dalla mia mente — ribatté brusco Jason, con un senso di repulsione. Non gli erano mai piaciuti i telepati impiccioni, spinti solo dalla curiosità, e quel tipo non faceva eccezione. — Esca dalla mia mente — ripeté — e mi porti dalla persona che mi può aiutare. Ed eviti gli sbarramenti pol-naz. Se si aspetta di uscirne vivo.

Il portiere gli rispose calmo: — Non c’è bisogno che me lo dica. So cosa le succederebbe se ci fermassero. Non è la prima volta, per me. L’ho già fatto. Per gli studenti. Ma lei non è uno studente. È un uomo famoso, ed è ricco. Però al tempo stesso non lo è. Al tempo stesso non è nessuno. Lei non esiste nemmeno, parlando in termini legali. — Fece una risatina effeminata, gli occhi puntati sul traffico che aveva davanti, sulla strada. Guidava come una vecchia, notò Jason. Teneva tutte e due le mani attaccate al volante.

Erano entrati negli slum di Watts. Negozietti bui sui due lati della via intasata, bidoni traboccanti di spazzatura, fondo stradale disseminato di frammenti di bottiglie rotte, insegne grigiastre che reclamizzavano la Coca-Cola a grandi lettere e il nome del negozio in piccole. A un incrocio, un nero molto anziano attraversò a passi esitanti, cauti, come se fosse cieco. Vedendolo, Jason provò una strana emozione. Ormai c’erano pochissimi neri vivi, dopo la famosa Legge Tidman sulla sterilizzazione approvata dal Congresso nei terribili giorni dell’Insurrezione. Il portiere rallentò sino a fermare il veicolo, per non creare problemi al vecchio che indossava un vestito marrone spiegazzato, costellato di rammendi sdruciti. Evidentemente stava provando anche lui la stessa sensazione.

— Si rende conto — chiese a Jason — che se lo investissi per me significherebbe la pena di morte?

— Mi pare giusto — disse Jason.

— È come se fosse l’ultimo stormo di gru del Nordamerica. — Il portiere ripartì, visto che il nero aveva raggiunto l’altro lato della strada. — Protetti da mille leggi. Non puoi prenderli in giro. Non puoi fare a cazzotti con uno di loro senza rischiare un’accusa di reato di primo grado: dieci anni di prigione. Eppure li stiamo facendo estinguere. È quello che voleva Tidman, e probabilmente anche la maggioranza dei Silenziosi, però… — Gesticolò, staccando per la prima volta una mano dal volante. — Mi mancano i bambini. Ricordo ancora quando avevo dieci anni e un ragazzino nero come compagno di giochi. Non lontano da qui, a dire il vero. Senz’altro, ormai lo avranno sterilizzato.

— Però avrà avuto un figlio — fece notare Jason. — Sua moglie avrà dovuto restituire il coupon di parto dopo la nascita del loro unico figlio… quello l’hanno avuto. La legge lo consente. E c’è un milione di norme per proteggere la loro sicurezza.

— Due adulti, un bambino — disse il portiere. — Così la popolazione nera si dimezza a ogni generazione. Ingegnoso. Bisogna darne atto a Tidman. Ha risolto il problema razziale, come no.

— Bisognava fare qualcosa. — Jason se ne stava rigido sul suo sedile, scrutava la strada davanti a loro, in cerca di segni di un punto di controllo o di una barricata pol-naz. Non vedeva niente, ma per quanto tempo dovevano continuare a viaggiare?

— Siamo quasi arrivati — gli disse il portiere, calmo. Girò la testa a guardare Jason. — Non mi piacciono i suoi pregiudizi razzisti. Anche se mi sta pagando cinquecento dollari.

— Per i miei gusti, ci sono neri in vita più che a sufficienza — rispose Jason.

— E quando morirà l’ultimo?

— Lei può leggermi nella mente — disse Jason. — Non c’è bisogno che le risponda.

— Cristo — disse il portiere, e tornò a concentrarsi sul traffico.

Svoltarono a destra e infilarono un vicolo stretto. Sui due lati, porte in legno chiuse a chiave, sbarrate. Nessuna insegna, lì. Solo il silenzio totale. E cumuli di vecchi detriti.

— Cosa c’è dietro quelle porte? — chiese Jason.

— Gente come lei. Persone che non possono uscire allo scoperto. Però sono diverse da lei, per un verso. Non hanno cinquecento dollari… e molto altro, se la leggo bene.

— Mi costerà una montagna di soldi ottenere le tessere d’identità — disse Jason acido. — Probabilmente tutto quello che ho.

— Non le farà pagare un prezzo esorbitante. — Il portiere fermò il trabi, invadendo per metà il marciapiede. Jason scrutò fuori, vide un ristorante abbandonato, chiuso con assi di legno, con le finestre fracassate. Dentro, buio totale. Il posto gli ispirava disgusto, ma, a quanto sembrava, era la loro destinazione. Viste le sue necessità, doveva prendere le cose come venivano; non poteva fare lo schizzinoso.

E lungo la strada avevano evitato tutti i punti di controllo e le barricate; il portiere aveva scelto un buon percorso. Quindi, tutto sommato, Jason aveva ben poco da lamentarsi.

Assieme, si avvicinarono alla porta rotta del ristorante, che penzolava sui cardini. Nessuno dei due parlò. Si concentrarono sul problema di schivare i chiodi arrugginiti che sporgevano dai fogli di compensato, inchiodati lì probabilmente per proteggere la vetrina.

— Si tenga attaccato alla mia mano — disse il portiere, tendendogli la destra nella penombra che li circondava. — Conosco la strada, e qui c’è buio. Hanno tolto l’elettricità a tutto l’isolato tre anni fa. Per cercare di spingere la gente a evacuare gli edifici. Così li avrebbero bruciati. — Aggiunse: — Ma sono rimasti quasi tutti.

La mano fredda e sudaticcia del portiere guidò Jason oltre quelli che dovevano essere tavoli e sedie, ammucchiati in cumuli irregolari di gambe e piani, decorati da ragnatele e depositi granulari di sporcizia. Alla fine, andarono a sbattere contro una parete nera, solida. Il portiere si fermò lì, lasciò andare la mano di Jason, armeggiò con qualcosa nel buio.

— Non posso aprire — disse mentre si stava dando da fare. — Si può solo dall’altro lato. Il suo lato. Le sto soltanto segnalando che siamo qui.

Una sezione di parete, cigolando, scivolò da una parte. Jason sbirciò e riuscì a vedere solo altra tenebra. E desolazione.

— Entri da qui — disse il portiere, e lo spinse avanti. La parete, dopo un attimo, si richiuse alle loro spalle.

Si accesero delle luci. Momentaneamente accecato, Jason si schermò gli occhi, poi passò in rassegna il laboratorio.

Era piccolo. Però vide parecchie macchine dall’aria molto complessa e di alta tecnologia. Sul lato opposto del locale, un banco da lavoro. Centinaia di utensili, tutti sistemati in bell’ordine lungo le pareti della stanza. Sotto il banco, grandi cartoni che probabilmente contenevano carte e documenti di ogni tipo. E una piccola macchina tipografica alimentata da un generatore autonomo.

E la ragazza. Sedeva su uno sgabello molto alto. Stava sistemando a mano una riga di caratteri tipografici. Jason notò i capelli biondo chiaro, molto lunghi ma sottili, che dalla nuca scendevano sulla camicia da lavoro di cotone. Portava i jeans, e i piedi, minuscoli, erano nudi. Dimostrava, a prima vista, quindici o sedici anni. Praticamente non aveva seno, ma le gambe erano lunghe e snelle. Come piacevano a lui. L’assenza totale di trucco conferiva al viso un colorito bianco pastello.

— Ciao — disse lei.

— Io vado — interloquì il portiere dell’hotel. — Cercherò di non spendere i cinquecento dollari tutti in una volta. — Premette un pulsante e la sezione mobile di parete scivolò di lato. Contemporaneamente le luci in laboratorio si spensero, lasciandoli di nuovo nel buio più completo.

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