Lei sospirò. — La casa. Gli orologi svizzeri. Il pane. I ciottoli. La neve sulle colline.
— Le montagne — disse lui, offeso. — Be’, al diavolo, ci andrò senza di te.
— E ti troverai un’altra?
Lui proprio non riusciva a capire. — Tu vuoi che io porti lì un’altra donna? — domandò.
— Tu e il tuo magnetismo. Il tuo fascino. In quel grande letto di ottone potresti far entrare qualunque ragazza del mondo. Non che tu sia poi un granché, una volta a letto.
— Dio — disse lui, disgustato. — Ancora quella storia. E le lamentele che sono solo tue fantasie… È a quelle che ti attacchi sul serio.
Heather si girò verso lui. Il suo tono era molto sincero. — Sai benissimo quale sia il tuo aspetto, anche adesso, all’età che hai. Sei bello. Trenta milioni di persone ti fanno gli occhi dolci un’ora alla settimana. Non è il tuo modo di cantare a interessarli. È la tua intramontabile bellezza fisica.
— Lo stesso si può dire di te — ribatté lui, caustico. Era stanco, desiderava la privacy e l’isolamento che lo aspettavano alla periferia di Zurigo. Ed era come se la casa volesse che loro restassero, non per una notte o una settimana, ma per sempre.
— Io non dimostro la mia età — disse Heather.
Lui le lanciò un’occhiata, poi la studiò. Una massa di capelli rossi, la carnagione pallida con qualche lentiggine, un deciso naso aquilino. Grandi occhi viola infossati nelle orbite. Heather aveva ragione, non dimostrava la sua età. Ovviamente, non si collegava mai alla rete telefonica transex, come faceva lui. A dire il vero, poche volte. Non era un drogato, e non c’erano stati, nel suo caso, danni cerebrali o invecchiamento precoce.
— Sei tremendamente bella — ammise a malincuore.
— E tu? — chiese Heather.
Jason rifiutava di lasciarsi scuotere. Sapeva di possedere ancora il suo carisma, la forza che gli avevano inciso nei cromosomi quarantadue anni prima. Vero, i capelli gli erano diventati in buona parte grigi, e li tingeva. E qualche ruga era apparsa qua e là. Però…
— Finché avrò la mia voce — disse, — sarò okay. Avrò quello che voglio. Ti sbagli su di me. Colpa della tua freddezza da Sei, della tua cosiddetta individualità alla quale tieni tanto. D’accordo, se non vuoi andare a Zurigo, dove vuoi andare? A casa tua? A casa mia?
— Voglio sposarti — rispose Heather. — Così non si tratterebbe più di casa tua o di casa mia, ma di casa nostra. E smetterò di cantare e avrò tre figli, tutti identici a te.
— Anche le bambine?
Heather disse: — Saranno tutti maschi.
Lui si chinò a baciarla sul naso. Lei sorrise, gli prese una mano, la accarezzò con affetto. — Stasera possiamo andare ovunque — le sussurrò lui, a voce bassa, controllata, e con un tono quasi paterno: di solito funzionava con Heather, a differenza di tutto il resto. “A meno che” pensò lui “io non me ne vada.”
Lei lo temeva. A volte, durante i loro litigi, specialmente nella casa di Zurigo dove nessuno poteva vederli o interferire, Jason aveva scorto quella paura sul viso di Heather. L’idea di restare sola la terrorizzava; lui lo sapeva; e anche lei; la paura faceva parte della loro vita in comune. Non della vita pubblica: su quella, da veri professionisti quali erano, avevano un controllo completo, razionale. Per quanto potessero arrivare a sentirsi rabbiosi e quasi degli estranei, sarebbero stati una coppia perfetta agli occhi adoranti degli spettatori, della gente che scriveva lettere, dei fan rumoreggianti. Nemmeno l’odio più puro poteva trapelare.
Anche se, in realtà, non poteva esserci odio tra loro. Avevano troppo in comune. Ricevevano così tanto l’uno dall’altro. Anche il semplice contatto fisico, come il fatto di trovarsi insieme sulla Rolls, li rendeva felici. Perlomeno, finché durava.
Jason infilò la mano in una tasca interna del suo vestito da sartoria di pura seta (forse nel mondo intero ne esistevano dieci) ed estrasse una mazzetta di banconote emesse dal governo. Tante banconote compresse in un nutrito mucchietto.
— Non dovresti portare addosso tanto denaro — gli disse acida Heather, nel tono che lui odiava a morte: quello della madre piena di pregiudizi.
Lui disse: — Con questi… — sventolò la mazzetta —… possiamo comperarci l’accesso a qualunque…
— Se qualche studente non registrato che è scappato ieri sera da un campus, magari scavando una galleria, non ti taglia la mano all’altezza del polso e scappa con tutto quanto. La tua mano e il tuo denaro vistoso. Tu sei sempre stato vistoso. Sgargiante ed eccessivo. Guarda la tua cravatta. Guardala! — Adesso Heather aveva alzato la voce. Sembrava arrabbiata sul serio.
— La vita è breve — disse Jason. — E la prosperità ancora di più. — Ma rimise la mazzetta nella tasca interna della giacca, lisciando la protuberanza che creava nel suo abito per il resto impeccabile. — Volevo comperarti qualcosa con quei soldi. — In realtà, l’idea gli era venuta lì per lì. Quel che aveva avuto intenzione di fare con il denaro era qualcosa di un po’ diverso: voleva portarselo a Las Vegas, ai tavoli del Black-jack. Come Sei, poteva vincere sempre a Black-jack: era in vantaggio su tutti, anche sul banco. “Anche” pensò perfidamente “sul boss del casinò.”
— Stai mentendo — disse Heather. — Non volevi comperarmi qualcosa. Non lo fai mai. Sei così egoista, pensi sempre a te stesso. Quelli sono soldi per una scopata. Ti comprerai una bionda pettoruta e ci andrai a letto. Probabilmente nella nostra casa di Zurigo, che, come sai, io ormai non vedo da quattro mesi. Potrei anche essere incinta.
A Jason parve strano che lei dicesse una cosa simile, fra tutte le accuse che potevano affacciarsi alla parte cosciente della sua mente. Ma in Heather c’erano molte cose che lui non capiva: Heather le teneva per sé, con lui come con i suoi fan.
Però con gli anni aveva imparato molto sul suo conto. Sapeva, per esempio, che sei anni prima lei aveva avuto un aborto, un altro segreto ben custodito. Sapeva che in un certo momento era stata illegalmente sposata con il leader di una comune di studenti, e che per un anno aveva vissuto nelle conigliere della Columbia University assieme agli studenti barbuti e puzzolenti che pol e naz costringevano a restare nel sottosuolo per tutta la vita. Polizia e guardia nazionale circondavano ogni campus, impedivano agli studenti di riversarsi al di fuori come ratti neri in fuga da una nave che imbarcasse acqua.
E sapeva che un anno prima Heather era stata arrestata per possesso di droga. Solo la sua famiglia, ricca e potente, era riuscita a tirarla fuori da quel guaio: soldi e carisma e fama non avevano funzionato quando si era trovata a faccia a faccia con la polizia.
Heather si era procurata qualche cicatrice, ma lui sapeva che adesso stava bene. Come tutti i Sei, possedeva enormi capacità di recupero. Una dote meticolosamente inserita in ognuno di loro. Assieme a molto, molto altro. Nemmeno lui, a quarantadue anni, sapeva tutto delle loro doti. E anche a lui erano successe molte cose. Più che altro aveva lasciato dietro di sé alcuni cadaveri: i resti di altri uomini di spettacolo che aveva calpestato nella sua lunga scalata verso la vetta.
— Queste cravatte “vistose”… — cominciò, ma poi ronzò il telefono dell’aerauto. Afferrò il ricevitore. Probabilmente era Al Bliss con i dati di ascolto dello show.
Invece no. Gli giunse la voce di una ragazza, acuta e stridula, all’orecchio. — Jason?
— Sì — rispose lui. Mise la mano sul microfono dell’apparecchio e disse a Heather: — È Marilyn Mason. Perché diavolo le ho dato il numero della mia aerauto?
— Chi diamine è Marilyn Mason? — chiese Heather.
— Te lo dico dopo. — Jason tolse la mano dal microfono. — Sì, tesoro, sono proprio Jason, nel suo vero corpo reincarnato. Cosa c’è? Mi sembri a pezzi. Ti sfrattano un’altra volta? — Strizzò l’occhio a Heather, sorridendo di sbieco.
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