Robert Silverberg - Giù nel paleozoico
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- Название:Giù nel paleozoico
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- Издательство:Mondadori
- Жанр:
- Год:1969
- Город:Milano
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Hahn si grattò un orecchio.
«Penso che stia lentamente calando.»
«Che indice ha?» domandò Rudiger. «Le ultime quotazioni avute, quelle del ’25, erano a 909. Ma in quattro anni…»
«Adesso dovrebbero essere attorno a 875» disse Hahn.
A Barrett parve un po’ strano che un economista fosse così impreciso sui dati statistici. Naturalmente non sapeva per quanto tempo Hahn fosse rimasto in prigione prima di essere introdotto nel Martello. Forse ignorava soltanto i dati più recenti. Continuò ad ascoltare senza intervenire.
Charley Norton volle sapere qualcosa sui diritti legali dei cittadini. Hahn non seppe rispondere. Rudiger chiese notizie sul controllo del tempo, se il supposto governo conservatore stava ancora facendo ingoiare ai cittadini la pillola delle condizioni atmosferiche programmate… e Hahn non seppe rispondere. Non seppe nemmeno essere preciso sulle funzioni dei giudici, e se avevano limitato quei poteri conferiti alla magistratura con il decreto del ’18. Non ebbe nemmeno commenti da offrire sullo scabroso problema del controllo delle nascite. In realtà la sua esibizione si distinse per assoluta mancanza di informazioni.
«Non ci ha raccontato molto» borbottò Charley Norton al silenzioso Barrett. «Ha sparso una cortina fumogena. O non vuol dire quello che sa, o non sa niente.»
«Forse non è un tipo molto sveglio» disse Barrett.
«Cos’ha fatto per essere mandato qui? Dovrebbe aver commesso qualcosa di veramente grave. Ma non ci dice cosa, Jim! È un ragazzo intelligente, tuttavia non ci ha detto niente di quello che ci può interessare.»
Il dottor Quesada espose la sua idea.
«Forse non si tratta di un condannato politico. Supponiamo che ora ci mandino qualsiasi tipo di prigionieri. Delinquenti comuni. Assassini. Il pazzoide che improvvisamente, una domenica mattina, uccide sedici persone senza motivo. Se è così, mi sembra logico che non si interessi di politica.»
Barrett scosse la testa.
«Ne dubito. Io penso che sia chiuso in sé perché è timido. È la sua prima sera con noi, ricordatelo. Lo hanno esiliato dal suo mondo, e non ha nessuna possibilità di tornarci. Può essersi lasciato alle spalle moglie e figli. Questa sera può darsi che non gliene importi niente di stare seduto in mezzo a noi a parlare di filosofia astratta. Forse vorrebbe soltanto andarsene a piangere da qualche parte. Direi che ci conviene lasciarlo solo.»
Quesada e Norton parvero convinti. Barrett, però, non comunicò le sue idee a tutti i presenti in sala, e lasciò che l’interrogatorio di Hahn continuasse, finché non finì per esaurimento delle domande. Gli uomini cominciarono ad allontanarsi. Un paio si ritirarono in una stanza accanto per compilare l’articolo che sarebbe apparso sulla nuova copia manoscritta dell’“Hawksbill Station Times”. Rudiger si alzò per annunciare che avrebbe trascorso la notte a pesca, e quattro uomini chiesero di andare con lui. Charley Norton fermò il solito compagno di discussioni, il nihilista Ken Belardi. Molti cominciarono le partite serali a scacchi. I solitari, quelli che facevano rare visite all’edificio e che erano venuti soltanto per vedere il nuovo arrivato, tornarono alle loro baracche.
Hahn rimase in disparte, da solo, a disagio e incerto.
Barrett gli andò vicino.
«Forse avresti preferito non essere interrogato questa sera» disse.
«Mi spiace, ma non avrei comunque potuto essere più preciso. Sono stato fuori circolazione per un po’ di tempo.»
«Esiliato politico, vero?»
«Sì» disse Hahn. «Certamente.» Si passò la lingua sulle labbra. «Cosa succede, adesso?»
«Niente di particolare. Qui non abbiamo organizzato attività politiche. Io e il medico andiamo a visitare alcuni malati. Vuoi venire con noi?»
«A che scopo?» domandò Hahn, guardandolo stupito.
«Vedrai i nostri casi peggiori. Non sarà piacevole, ma ti farai rapidamente un’idea generale della stazione.»
«Vengo con te.»
Barrett fece cenno a Quesada, e tutti e tre uscirono dall’edificio. Quello era il compito serale di Barrett. Un compito che gli pesava, con il piede in quelle condizioni. Cominciarono il giro visitando i fissati, i paranoici e i catatonici, per augurare loro una buona notte e un buon risveglio. Qualcuno doveva pur assumersi quel compito, e Barrett se l’era assunto.
Fuori, Hahn alzò gli occhi verso la Luna. Era quasi piena, e brillava come una moneta incandescente, di un colore salmone pallido e con pochissime macchie.
«Sembra molto diversa» disse Hahn. «I crateri… Dove sono i crateri?»
«Molti non si sono ancora formati» disse Barrett. «Due miliardi di anni sono un lungo periodo, anche per la Luna. Noi pensiamo persino che possa avere ancora un’atmosfera. Ecco perché ci sembra rosa. Naturalmente da Lassù non ci hanno mandato strumenti per eventuali rilevamenti astronomici, quindi dobbiamo limitarci alle supposizioni.»
Hahn cominciò a dire qualcosa, ma s’interruppe dopo aver pronunciato la prima sillaba.
«Parla pure» invitò Quesada. «Cosa stavi per dire?»
Hahn rise quasi per schernire se stesso.
«Che avreste dovuto andare a controllare di persona» disse. «Mi era parso strano che foste rimasti per tanti anni a discutere e fare teorie sull’atmosfera della Luna, e non vi fosse mai venuto in mente di andare a vedere. Avevo però dimenticato qualcosa!»
«Sarebbe bello se da Lassù ci mandassero uno scafo d’esplorazione» disse Barrett. «Ma non ci hanno mai pensato. Noi possiamo soltanto star a guardare. La Luna è diventata un posto molto frequentato nel ’29, vero?»
«È la più grande località di villeggiatura di tutto il sistema» disse Hahn. «Ci ho passato la mia luna di miele. Leah e io…»
S’interruppe di nuovo. E nessuno fece domande.
«Questa è la baracca di Bruce Valdosto» disse Barrett a un tratto. «È impazzito qualche settimana fa. Quando entriamo stai dietro di noi, in modo che non ti veda. La presenza di uno sconosciuto potrebbe renderlo inquieto. È imprevedibile.»
Valdosto era un uomo corpulento sui cinquant’anni, con la pelle olivastra, i capelli neri e ricciuti, e spalle che più larghe non era possibile. Seduto sembrava ancora più massiccio di Barrett, il che era tutto dire. Valdosto però aveva le gambe corte e tozze, le gambe di un uomo normale attaccate al corpo di un gigante, e questo gli dava un aspetto bizzarro. Nel periodo vissuto Lassù si era sempre rifiutato di farsi una qualsiasi protesi.
In quel momento era legato su un lettino di gommapiuma. Aveva la fronte coperta di sudore, e gli occhi scintillavano nell’oscurità. Era un uomo molto malato. Una volta era lucido di mente quel tanto da tirare una bomba a neve a una riunione del Consiglio dei Sindaci e provocare una dozzina di brutti casi d’avvelenamento gamma. Ora sapeva appena forse distinguere l’alto dal basso, e la destra dalla sinistra.
Barrett si chinò sopra di lui e domandò: «Come sta, Bruce?».
«Chi sei?»
«Jim. È una bellissima notte, Bruce. Vuoi uscire a prendere un po’ d’aria fresca? La Luna è quasi piena.»
«Voglio riposare. Il comitato si riunisce domani…»
«L’hanno rimandato.»
«Com’è possibile? La rivoluzione…»
«Rimandata anche quella. A data da destinarsi.»
«Stanno sciogliendo le cellule?» domandò Valdosto con voce rauca.
«Non sappiamo ancora. Aspettiamo gli ordini. Vieni fuori, Bruce. L’aria ti farà bene.»
Borbottando, Valdosto si lasciò slegare. Quesada e Barrett lo aiutarono ad alzarsi, e insieme uscirono dalla baracca. Barrett vide Hahn nella penombra: era pallido per l’emozione.
Si fermarono a pochi passi dalla baracca, e Barrett indicò la Luna.
«Qui ha un bel colore. Non quel giallino smorto come Lassù. E guarda, guarda in basso, Bruce. Il mare s’infrange sulle coste rocciose. Rudiger è uscito a pescare. Al chiaro di luna si può vedere la sua baracca.»
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