Robert Silverberg - La sposa n. 91

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La sposa n. 91: краткое содержание, описание и аннотация

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Due giorni dopo il marito di Marje fece una proposta a lei.

Persi le frasi preliminari. La nave era penetrata in uno sciame di globi d’energia, e io ero fermo di fronte alla parete panoramica con una quantità di passeggeri, intento a osservare lo spettacolo del volteggiare di quelle meraviglie dell’iperspazio. Per un certo tempo Landy rimase con me. Ma lei aveva visto moltissime volte i globi di energia, e si annoiava. Così mi disse di voler scendere nella vasca di scintillazione, fino a quando gli altri fossero rimasti a vedere i globi. Le dissi che l’avrei raggiunta. E feci così. C’erano circa una mezza dozzina di persone nella vasca. Si muovevano nel lucente fluido verde oro lasciando scie di un azzurro scintillante. Mi fermai sul bordo e cercai Landy, ma nessuna delle persone immerse aveva il suo fisico.

Poi la vidi. Era nuda e ancora tutta gocciolante di liquido policromo. Doveva essere uscita dalla vasca qualche attimo prima. Il corpulento lanamoriano le camminava accanto e la stava chiaramente molestando. La toccava in diversi modi, e lo spettro di Landy mostrava che era parecchio seccata. Balzai in suo soccorso, naturalmente. Ma non ebbe bisogno di me.

Voi vi sarete fatti l’immagine di una Landy fragile, simile a una bambola di porcellana e così era, effettivamente: che raggiungeva appena i quaranta chili, e non un solo osso in tutto il corpo, nel nostro senso di ossa… solo cartilagini. E timida, sensibile, che si turbava facilmente per una parola scortese o per la semplice espressione di un volto. Ma sempre bisognosa della protezione del marito? No! I pescecani, come i suvornesi, hanno solo delle cartilagini al posto delle ossa, ma quaranta chili di pescecane normalmente non hanno bisogno di qualcuno che li protegga. E neppure Landy.

I suvornesi sono agili, coordinati, veloci, e molto più forti di quanto non sembrino, come scoprì Jim Owens al mio matrimonio, quando tentò di baciare una sorella di Landy. E lo scoprì anche il lanamoriano. Nel tempo che trascorse dal momento in cui lo vidi molestarla a quando giunsi accanto a Landy, lei gli aveva slogato tre braccia e lo aveva fatto cadere a terra lasciandolo dolorante ad agitare nell’aria il supporto tripode. Landy, felice e soddisfatta di se stessa, mi baciò.

«Cos’è successo?» domandai.

«Mi ha fatto una proposta oscena.»

«Lo hai completamente rovinato.»

«Mi ha fatto terribilmente arrabbiare» disse, anche se non aveva più né la voce né l’aspetto arrabbiato.

Dissi: «Non è una situazione identica a quella dell’altro giorno, quando mi hai detto che non ti amavo perché avevo rifiutato la proposta di Marje? Non sei coerente, Landy. Se pensi che l’infedeltà sia essenziale nel matrimonio alla terrestre, avresti dovuto cedere, non ti pare?».

«I mariti terrestri sono infedeli. Le mogli terrestri devono essere caste. È un fatto contemplato dai più antichi codici.»

«Da che cosa?»

«Dai codici» ripeté, e cominciò a spiegarmi. Io ascoltai per un po’, poi risi delle sue dolci e innocenti parole.

«Sei deliziosa» le dissi.

«Sei un mostro. Che tipo di donna pensi che io sia? Come puoi incoraggiarmi a essere infedele?»

«Landy, io…»

Non mi volle ascoltare. Se ne andò piangendo, e avemmo la nostra terza crisi.

La poverina era decisa a seguire il matrimonio alla terrestre in tutto e per tutto, e la sua fronte diventava color infrarosso ogni volta che io facevo qualche obiezione. Per il resto della settimana si mostrò molto fredda. E anche una volta superato l’incidente, le cose non tornarono del tutto come prima. Tra di noi si stava spalancando un abisso… o meglio, l’abisso c’era sempre stato, e cominciava a diventare difficile il fingere che non esisteva.

Dopo sei settimane di queste seccanti incomprensioni, atterrammo.

La nostra destinazione era Thalia, il pianeta della luna di miele. Io vi avevo già trascorso mezza dozzina di viaggi di nozze, ma Landy non l’aveva mai visto, così avevo deciso di tornarci. Thalia, come sapete, è un pianeta di una certa grandezza. Una volta e mezzo la Terra in massa, densità e gravitazione. Con un paio di lune colorate che sembrano fatte per gli innamorati, essendo visibili sia di giorno che di notte. Il cielo è verde pallido, la vegetazione è folta, e la sua aria ha il profumo della noce moscata.

Il pianeta è proprietà di una compagnia che estrae metalli dal deserto continente orientale, e che gestisce, su un altro piccolo continente in mezzo all’oceano occidentale, un albergo per le coppie in luna di miele: una specie di vastissimo ranch galattico. Il personale è quasi tutto terrestre, ma la clientela proviene da tutte le parti del cosmo. Si possono fare meraviglie su un pianeta abitabile disabitato, se si fanno le cose con criterio.

Landy e io eravamo ancora freddi quando lasciammo l’astronave e venimmo catapultati nel nostro alloggio. Ma le bellezze del pianeta ci scaldarono subito. Ci avevano riservato una sfera mononucleare sospesa e ancorata cento metri sopra l’edificio principale. Ci trovammo nell’isolamento più totale, quello che le coppie in luna di miele desiderano (sebbene, com’è noto, ci siano anche delle eccezioni).

Ci demmo un gran da fare per godere tutte le bellezze di Thalia.

Facemmo il giro dell’intero continente in aquilone. Bevemmo cocktails ai ricevimenti. Mangiammo bistecche di alga, arrostite sulla fiamma scoppiettante. Andammo a nuotare. A caccia. A pesca. Facemmo l’amore. Facemmo la cura del sole finché la mia pelle divenne scura come il bronzo e quella di Landy verdina come le porcellane di Kang-hsi. Ci divertimmo insomma, nonostante la ragnatela di tensione che cominciava a inviluppare il nostro matrimonio.

Il tutto andò per il meglio finché il bronco non si liberò.

Non era esattamente un bronco. Era un gigantesco quadrupede vesiliano, blu con striature arancione, una grossa coda micidiale, e una spaventosa fila di denti. Due tonnellate, più o meno, di animale selvaggio. Lo tenevano in un recinto dietro uno dei serbatoi di protoni, e di tanto in tanto degli ardimentosi, vestiti da cowboy, davano spettacoli di rodeo per gli ospiti. Era impossibile domare la bestia, e nessuno riusciva mai a restarle in groppa per più di dieci secondi. C’erano stati dei morti, e parecchi avevano avuto almeno un arto maciullato.

Landy fu affascinata dall’animale. Non chiedetemi il perché. Mi trascinava al recinto tutte le volte che annunciavano uno spettacolo, e restava rapita a osservare i cowboys che venivano scaraventati per aria. Era ferma accanto alla staccionata il giorno in cui il bestione si liberò del cavaliere, ruppe la prima staccionata, e partì al galoppo verso la libertà.

«Uccidetelo!» cominciò a gridare la gente.

Ma nessuno era armato tranne i cowboys, che però si trovavano in diversi stati di stupore e di sgomento, tanto da essere incapaci di fare qualcosa di utile. Il quadrupede, rotta anche la seconda staccionata, sradicò un alberello, fece un altro balzo di una ventina di metri, poi si fermò incerto sul da farsi, con aria sicura e minacciosa. Lì attorno c’erano una cinquantina di giovani mariti, e quella era un’occasione per dimostrare alle loro mogli quali eroi fossero. Sennonché nessuno volle afferrarla, e tutti pensarono unicamente a fuggire: alcuni, trascinandosi dietro le mogli; altri, non pensando neanche a quello. Anch’io volli scappare, ma, devo dirlo a mio onore, pensai anche a Landy. Mi guardai attorno per cercarla, e la vidi che stava correndo verso la bestia. Afferrò una corda che pendeva dal fianco dell’animale e salì in groppa, dietro la criniera. Il bestione fece alcuni passi indietro e s’impennò, ma Landy si tenne salda. Sembrava un ragazzino in groppa a un elefante. Si piegò in avanti e poggiò la sua apertura d’ingestione sulla pelle dell’animale. Quest’ultimo si calmò immediatamente, emise un piacevole barrito, e partì trottando verso il recinto. Ma questa volta non ruppe la staccionata: Landy gliela fece saltare. Un attimo dopo gli sbigottiti cowboys, quelli che erano ancora in grado di connettere, legarono saldamente l’animale. Landy discese.

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