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James Tiptree Jr.: Houston, Houston, ci sentite?

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Al loro ritorno sulla Terra gli astronauti scoprono che le cose sono cambiate dalla loro partenza, e che il mondo è popolato solo da donne. L’uomo è considerato un pericoloso residuo del passato. Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior romanzo breve in 1977.

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skeet , allo sci (quando si ruppe una caviglia) e al calcio (quando si ruppe una clavicola…). Guardatelo, il Doc, è un essere servile. E i grandi uomini gli danno pacche sulle spalle accettandolo. La loro idea di scienziato… il guaio è che ora non è più uno scienziato. Tranne per quell’incarico post-universitario: un colpo fortunato. Non era mai stato bravo in matematica, né lo era adesso. Troppi altri interessi, troppo tempo speso a trovare la soluzione a delle cazzate. Sono un brocco, pensa. Qualche centimetro e qualche chilo in più e sarei stato come loro. Uno di loro: un alfa. Loro forse la sentono, dal di sotto, la rabbia dei beta. Le battute mordaci avevano gettato forse un’ombra sul Sunbird in quel lungo anno trascorso? Un anno di esercizio con Bud e Dave… In questa dannata missione hanno preteso troppo da me. Scherzavano. Noi siamo una squadra. Il ricordo dei jeans slacciati lo colpisce, la fine penosa, le facce sghignazzanti che lo aspettavano fuori quando inciampava. Le grida, lo sgocciolio lungo le gambe. L’essere disinvolto pretendendo anche di riderci sopra. Facce di merda, vi farò vedere. Non sono una donna, io.

La voce di Bud risuona monotona. — E un felice anno nuovo a tutti voi quaggiù. — E, parodiando il tono oleoso della NASA: — Ehi, perché non ci inviate un segnale? Auguri a tutti voi terrestri, cioè a tutti voi lunari. Felice anno nuovo comunque ai presenti. — Soffia buffamente. — C’è un Babbo Natale, Houston, mai visto niente di simile? Houston, ovunque voi siate — canta a squarciagola: — Ehi, Houston, ci ricevete? — Nel silenzio Lorimer vede il viso di Dave trasformarsi in quello del comandante maggiore Norman Davis. E all’improvviso è di nuovo là, un anno prima, chiuso, sbattuto nel modulo di comando del Sunbird che usciva da dietro il Sole. È la droga che mi provoca questo, pensa, mentre il ricordo lo assale. È così reale. Basta! Cerca di aggrapparsi alla realtà; di sfuggire al panico che cresce incontrollato. Ma non ci riesce, è là, librato dietro a Bud e Dave sul triplo sedile, evitando come al solito di prender posto tra loro, a discutere sull’oscuramento dell’ormai inutile oblò. Il pannello esterno è stato bruciato, può scorgere solo una macchia vivida che deve essere Spica, fluttuante attraverso la testa di Dave, che si rifà la fasciatura simile a una corona.

— Houston, Houston, qui Sunbird — ripete Dave. — Sunbird chiama Houston. Houston, ricevete? Passo. — I minuti scorrono. Per sette minuti trasmettono, per sette ricevono. Settantotto milioni di miglia sono un tratto lungo da coprire. — Il pulsante del volume è andato, ecco cos’è — dice Bud vivacemente. Lo dice almeno una volta al giorno. — Niente da fare. — La voce di Dave è calma come al solito. — È disturbato. Ancora troppe interferenze dal sole, vero Doc?

— La radiazione residua dell’eruzione è proprio in linea con noi. Potrebbero avere forti difficoltà ad individuarci. — Per la millesima volta registra la sua debole, ridicola gratificazione nell’essere consultato.

— Merda, siamo all’esterno di Mercurio. — Bud scuote la testa: — Come riusciremo a sapere chi ha vinto il campionato di baseball? — Anche questo lo dice spesso, un rituale nella notte eterna. Lorimer guarda lo splendore di Spica spinto dal riflesso della faccia riccioluta e cespugliosa di Bud. I suoi baffetti sono radi e sottili, come un biondo Fu-Manchu. L’altro angolo dell’oblò è una striscia abbagliante che deve essere ciò che resta degli accumulatori di energia fusi dalla macchia solare che li ha colpiti un mese prima e ha fuso i rivestimenti esterni degli oblò, quando Dave si è ferito alla testa contro un pannello. Lorimer doveva essere stato travolto dall’onda d’urto gravitazionale; ma egli ancora non si fidava di quell’interpretazione. Fortunatamente l’onda aveva risparmiato un pezzo dell’oblò anteriore, e avevano ancora circa venti gradi di visibilità davanti a loro. Il brillante ricamo delle Pleiadi si vedeva scorrere da lì come dentro una macchia di luce.

Dodici minuti… tredici. Lo speaker acceso e spento a vuoto. Quattordici. Niente. — Sunbird a Houston, Sunbird a Houston. Rispondete. Passo. — Dave riaggancia il microfono. — Diamogli altre ventiquattr’ore. Attesa rituale. Domani, forse, Packard risponderà.

— È bello rivedere la vecchia terra — nota Bud.

— Non stiamo sprecando carburante, ad ogni modo — gli ricorda Dave. — Ho fiducia nei calcoli di Doc: — Non sono calcoli miei, è l’elementare realtà della meccanica celeste — Lorimer riflette: in ottobre c’è solo un punto in cui la terra si può trovare. Non lo dice mai. Non è da esperto trasvolatore ricavare la posizione di due corpi in modo così intuitivo. Bud è un buon pilota e un ingegnere ancora migliore. Dave è il migliore che c’è. Non c’è orgoglio, in questo.

— Il Signore ci aiuti, Doc, se Lo abbandoniamo.

— Sarà dura rientrare se il radar è sballato — dice Bud pigramente. Tutti pensano la stessa cosa per la centesima volta. Sarà dura ma Dave ce la farà. È per questo che risparmiamo carburante. I minuti scorrono. — Ci siamo — esclama Dave. E una voce scioccante invade la cabina: — Judy? — È forte e chiara, una voce di donna. — Judy? Sono così contenta di trovarti, cosa fai su questa banda d’onda? — Bud lascia andare il fiato; c’è un istante di gelo prima che Dave afferri il microfono. — Qui Sunbird, vi riceviamo. Questa è la missione Sunbird che chiama Houston. Ah! Sunbird Uno chiama base di controllo di Houston. Identificazione, prego. Chi siete? Potete riceverci? Passo.

— Che scherzo idiota! — esclama Bud. — Qualche incredibile burlone.

— Sei in difficoltà, Judy? — insiste la voce di donna. — Ti ricevo malissimo. Aspetta un minuto.

— Qui è la missione spaziale degli Stati Uniti Sunbird Uno — ripete Dave. — La missione Sunbird chiama il centro spaziale di Houston. State occupando il nostro canale. Identificatevi. Ripeto. Identificatevi e dite se siete in grado di contattare Houston. Passo.

— Brava Judy, bello scherzo! Prova ancora — fa la ragazza. Lorimer bruscamente si avvicina al LURP, l’accumulatore sperimentale di particelle di densità a lungo raggio e ne attiva il motore di comando. Il motore stride, vibra; fortunatamente era disattivato durante l’esplosione e quindi non si è fuso. Mette al massimo gli impulsi di sondaggio e inizia una irregolare ricerca manuale. — Avete intercettato la trasmissione ufficiale della missione degli Stati Uniti al Controllo di Houston. — Dave parla con vigore: — Se non potete collegarvi con Houston spegnete, state commettendo un’infrazione federale. Ripeto, potete riportare il nostro segnale al centro spaziale di Houston? Passo.

— La trasmissione è ancora pessima — dice la ragazza. — Cos’è Houston? Chi parla, comunque? Sapete che non abbiamo molto tempo. — La sua voce è dolce ma molto nasale.

— Gesù, che sfacciataggine! — esclama Bud. — È assurdo!

— Tienila. — Dave si muove intorno al radarscopio improvvisato da Lorimer. — Qui — Lorimer indica un sottile, stabile punto, all’estremo margine del ricevitore del diffusore transcoronale. Anche Bud allunga il collo. — Uno spettro.

— C’è qualcun altro qua fuori.

— Pronto, pronto? Siamo qui, adesso. — Ancora la ragazza. — Perché vi sentiamo così debolmente? State male, l’esplosione vi ha raggiunto?

— Fermo — avverte Dave. — Qual è la posizione, Doc?

— Più di trecentomila chilometri, approssimativamente. Forse diretti lontano da noi, in direzione dell’orbita solare. Possono essere cosmonauti, una spedizione sovietica?

— Ma allora, si sono persi.

— Con una ragazza? — obbietta Bud.

— Loro lo hanno fatto. Stai registrando, Bud?

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