— Chet?
— Sì?
— Sei… seccato con me?
Sempre senza guardarla: — No, sono occupato. Perché dovrei essere seccato con te?
— Be', forse non seccato, ma…
— Sconcertato?
— Sconcertato, ferito, qualcosa del genere.
Inserì qualcosa nel pannello del computer e poi si volse verso di lei. — Linda, non ho avuto tempo di analizzare il mio stato d'animo. Sei una ragazza complicata; forse troppo complicata per me. La vita ne ha già troppe di complicazioni.
Lei aprì leggermente la bocca.
— D'altra parte — aggiunse lui, — noi WASP dobbiamo restare uniti. Siamo rimasti in pochi.
Questo la fece sorridere. — Io non sono una WASP. Il mio vero nome è Szymanski… l'ho cambiato quando ho cominciato a fare la modella.
— Oh. Un'altra complicazione.
Lei stava per rispondere quando la radio gracchiò: — AF-9, qui è Cheyenne. Cheyenne a AF-9.
Kinsman si sporse e schiacciò il pulsante di trasmissione. — AF-9 a Cheyenne. Vi riceviamo chiaro ma debole.
— Roger AF-9. Riceviamo la vostra telemetria. Qui tutti i sistemi indicano verde.
— Anche il controllo manuale dei sistemi è sul verde — disse Kinsman. — Programma della missione okay, nessuna deviazione. Compiti ultimati al novanta per cento.
— Roger. Il controllo a terra suggerisce di iniziare i controlli del veicolo spaziale alla prossima orbita. Il rientro è programmato fra dieci ore.
— Va bene. Lo faremo.
— Okay, Chet. Da qui sembra che tutto vada bene. Nient'altro da riferire, Padre Fondatore?
— Fatevi gli affari vostri — spense il trasmettitore.
Linda gli stava sorridendo.
— Che cosa c'è di così divertente?
— Tu. Stai diventando molto suscettibile per tutta questa faccenda.
— E continuerò ad esserlo per parecchi anni a venire. Quei ragazzi me lo rinfacceranno per un sacco di tempo.
— Potresti sempre dire una bugia.
— Su di te? No, non credo che potrei farlo. Se la ragazza fosse stata anonima, la cosa sarebbe diversa. Ma tutti ti conoscono, sanno dove lavori…
— Sei un ufficiale galante. Suppongo che questo genere di voci potrebbero arrivare fino a New York.
Kinsman sogghignò. — Potresti persino andare sulla prima pagina del National Enquirer.
Lei rise: — Scommetto che tirerebbero fuori qualcuna delle mie vecchie fotografie in bikini.
— Attenta — disse Kinsman sollevando una mano, — adesso non sollecitare la mia fantasia più di quanto non lo sia già. Faccio già molta fatica ad essere galante, in questo momento.
Si tennero a distanza, Kinsman seduto al banco di controllo, Linda che galleggiava verso la cambusa, fin quasi a sfiorare la tenda dell'area di riposo.
Il centro di controllo a terra chiamò, e Kinsman fece un rapido rapporto. Quando alzò di nuovo lo sguardo su Linda, lei era seduta di fronte all'oblò di osservazione dell'altra parte del corridoio vicino alla cambusa.
Il suo viso era preoccupato, ora, mentre ricambiava lo sguardo di Kinsman, gli occhi… lui non era sicuro di quello che c'era in quegli occhi. Sembravano diversi: non come il ghiaccio, non più calcolatori. Ma molto preoccupati, quasi spaventati.
Kinsman continuò a rimanere in silenzio. Controllò e ricontrollò il quadro dei comandi, per essere assolutamente sicuro che ogni valvola e ogni transistor del laboratorio funzionassero perfettamente. Diede un'occhiata all'orologio: ancora cinque minuti prima della chiamata di Ascension. Controllò ancora il quadro luminoso.
Ascension chiamò in orario perfetto. Poiché avvertì che la tensione stava crescendo dentro di lui, Kinsman fece il normale rapporto con una voce deliberatamente calma e meccanica. Ascension chiuse il collegamento.
Con un ultimo, lungo sguardo ai controlli, Kinsman si spinse fuori dalla sedia e galleggiò verso Linda, con le mani che appena sfioravano gli appigli lungo il corridoio.
— Sei stata terribilmente tranquilla — le disse stando in piedi davanti a lei.
— Ho pensato a quello che hai detto poco fa. — Che cosa c'era nei suoi occhi? Ansia? Paura? — È… è stata una vita maledettamente solitaria, Chet.
Lui la prese per un braccio, la sollevò gentilmente e la baciò.
— Ma…
— Va tutto bene — sussurrò lui. — Nessuno ci disturberà. Non lo saprà nessuno.
Lei scosse il capo. — Non è così facile, Chet. Non è così semplice.
— Perché no? Siamo insieme qui… cosa c'è di tanto complicato?
— Ma non c'è niente che ti turba? Stai galleggiando in un sogno. Sei circondato da macchine belliche, vivi ogni minuto in mezzo al pericolo. Se una pompa si ferma o se un meteorite ci colpisce…
— Pensi di essere più al sicuro, laggiù?
— Ma la vita è complessa, Chet. E l'amore… be', è molto di più che puro divertimento.
— Certo che è di più. Ma è fatto anche per essere goduto. Che cosa c'è di sbagliato nell'afferrare un'opportunità quando ti si presenta? Che cosa c'è di così maledettamente complicato o importante? Siamo al di sopra delle preoccupazioni e dei guai della Terra. Forse solo per poche ore, ma ciò che conta è il momento e il luogo, ciò che conta siamo noi. Loro non possono toccarci, non possono obbligarci a fare niente o impedirci di fare ciò che vogliamo. Dipendiamo solo da noi stessi, capisci? Completamente.
Lei annuì, gli occhi ancora spalancati con l'espressione di un animale spaventato. Ma le sue mani scivolarono intorno al corpo di lui e insieme galleggiarono verso il banco di controllo. Senza parlare, Kinsman spense tutte le luci, e l'unico chiarore era quello emanato dal pannello di controllo e dalle luci lampeggianti del computer con il suo incessante mormorio.
Ora erano nel loro mondo, nel loro cosmo privato, fluttuavano liberamente e dolcemente nell'oscurità. Sfiorandosi, allontanandosi, accoppiandosi, cercando nuovi mari e nuovi continenti, essi esplorarono il loro mondo.
Jill rimase nell'amaca finché Linda non entrò piano per vedere se era già sveglia. Kinsman sedeva al banco di controllo; non era stanco, ma stranamente intorpidito.
Il resto del volo fu semplice routine. Jill e Kinsman si occuparono delle rispettive mansioni, parlando solo lo stretto necessario. Linda fece un breve sonnellino, poi tornò a scattare le ultime fotografie. Finalmente ritornarono a carponi nel veicolo spaziale, si staccarono dal laboratorio e iniziarono la lunga parabola che li avrebbe riportati sulla Terra.
Kinsman diede un ultimo sguardo alla maestosa bellezza del pianeta, sereno e immoto tra le stelle, prima di premere il bottone che avrebbe fatto scivolare lo scudo termico davanti al suo oblò. Poi sentirono la spinta dei razzi, e si tuffarono nell'atmosfera, sapendo che un calore inimmaginabile li circondava in una stretta morsa e trasformava il piccolo velivolo in una fiammeggiante stella cadente. Schiacciato contro il sedile a causa della fortissima accelerazione, Kinsman lasciò che il controllo automatico guidasse il rientro, attraverso il calore e le turbolenze, fino ad un'altezza in cui il veicolo, munito di ali, avrebbe potuto volare come un aereo a reazione.
Riprese i controlli e puntò il razzo verso la base aeronautica di Patrick, nel mondo degli uomini, del brutto tempo, delle città, della gerarchia e delle regole. Lo fece da solo, in silenzio. Non aveva bisogno dell'aiuto di Jill né di nessun'altro. Guidò il velivolo dall'interno della sua tuta pressurizzata, con lo sguardo puntato sul pannello attraverso il visore del casco.
Automaticamente, si mise in contatto con il controllo a terra e ottenne l'autorizzazione a sollevare lo scudo termico.
L'oblò gli mostrò uno strato di nubi nere che si stendevano dal mare alla spiaggia, fino alla terraferma. Nei suoi auricolari si udivano le voci di molti altri uomini, ora: condizioni del vento, altitudine, velocità stimata. Sapeva, anche se non poteva vederli, che due aerei lo stavano seguendo, con le cineprese puntate sul velivolo in fase di rientro. Per avere delle prove se mi sfracello.
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