Ben Bova - Gravità zero

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Gravità zero: краткое содержание, описание и аннотация

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Una storia che Bova scris­se per «Again Dangerous Visions», la famosa antologia di Harlan Ellison dedicata alle vicende più «scioccanti» che fece seguito all'altrettanto celebre «Dangerous Visions». È anche la prima storia, in termini cronologici, di una serie dedicata a Chet Kinsman, astronauta americano: qui Bova descrive la sua perdita di innocenza e i suoi primi passi verso la maturità, il suo risveglio nel mondo reale, un mondo che non è affatto lontano dal no­stro… anzi…

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— Benvenuta nel mondo vero — le disse quando anche la te­sta spuntò dalla camera a tenuta stagna.

Lei si voltò per rispondergli, la udì boccheggiare, e in quel momento capì che lei gli piaceva.

— È… è…

— Impressionante — suggerì Kinsman. — E guardati… sen­za mani.

Lei galleggiava liberamente, la tuta appesantita dalle apparec­chiature fotografiche e il cordone ombelicale che ondeggiava len­tamente dietro di lei. Kinsman non riusciva a scorgere il suo volto attraverso il visore oscurato, ma intuiva la sua meraviglia nel to­no della sua voce, persino nel modo in cui respirava.

— Non ho mai visto nulla di così assolutamente irresisti­bile…

E poi, tutto ad un tratto, divenne completamente professio­nale: afferrò la macchina fotografica, e cominciò a scattare foto della Terra, delle stelle e della luna, una dopo l'altra. Si mosse troppo in fretta e cominciò a ruzzolare. Kinsman si slanciò su di lei e la fermò, afferrandola per le spalle.

— Ehi, calma. Non c'è pericolo che scappino. Hai un sacco di tempo.

— Voglio scattarti delle foto, e anche al laboratorio. Puoi tornare al generatore e ripetere qualcuno dei movimenti che face­vi quando eri al lavoro?

Kinsman si mise in posa per lei, rispose alle sue domande, re­cuperò una macchina che lei si era lasciata sfuggire dalle mani e che se ne stava andando alla deriva nello spazio.

— Giudicare le distanze diventa un tantino difficile qui fuori, — disse lui riportandole la macchina fotografica.

Jill li chiamò due volte e ordinò loro di rientrare. — Chet, sei già quindici minuti oltre il limite!

— Possiamo restare fuori ancora un po', ho ancora della ri­serva.

— La farai stancare troppo.

— Io mi sento perfettamente bene — disse Linda con voce rapita.

— Quanta pellicola ti è rimasta? — le chiese Kinsman.

— Ancora sei fotografie — disse lei guardando la macchina.

— Okay, rientreremo quando avrà finito la pellicola, Jill.

— Fra cinque minuti sarete al buio!

Voltandosi verso Linda, che stava galleggiando a testa in giù con la Terra striata di nubi sullo sfondo, disse: — Risparmia la pellicola per il tramonto e poi scatta a più non posso.

— Il tramonto? E che cosa devo inquadrare?

— Quando sarà il momento lo saprai. Per ora guarda.

Arrivò rapidamente, ma Linda fu più rapida. Mentre il labo­ratorio percorreva la sua orbita verso le ombre notturne della Ter­ra, il sole calò all'orizzonte e proiettò per qualche attimo spettaco­lari riflessi di un rosso e di un arancione purissimi, per passare alla fine ad un blu mozzafiato. Kinsman guardò in silenzio, udendo il respiro sempre più rapido di Linda mentre scattava le foto.

Poi furono nell'oscurità. Kinsman accese la lampada del pro­prio casco; Linda era immobile con la macchina ancora fra le mani.

— È… impossibile descriverlo. — La sua voce era come svuotata. — Se non l'avessi visto… se non l'avessi messo sulla pellicola, non credo che sarei capace di convincermi che non fos­se un sogno.

La voce di Jill gracchiò negli auricolari di Kinsman: — Chet, rientrate! È contro ogni misura di sicurezza restare fuori al buio.

Lui guardò in direzione del laboratorio. Le luci erano visibili lungo tutta la fiancata e gli oblò erano illuminati dall'interno. Senza di essi, non sarebbe neppure riuscito a vederlo, anche se era a pochi metri di distanza.

— Okay, okay. Accendi la luce della camera stagna, così possiamo vedere il portello.

Linda continuò ancora a parlare di quello che aveva visto là fuori, molto dopo che si furono tolti le tute a pressione ed ebbero mangiato panini e biscotti.

— Sei mai stata fuori? — chiese a Jill.

Appollaiata sull'orlo del banco di biologia vicino alla colonia di topi, Jill annuì brevemente: — Due volte.

— Non è spettacolare? Spero molto nelle foto; qualche messa a fuoco della macchina…

— Andranno benissimo — disse Jill. — Se non vengono, ab­biamo un cumulo di fotografie che potrai usare.

— Oh, ma non ci saranno quelle di Chet che lavora al gene­ratore.

Jill scosse le spalle. — Ma non devi scattare foto anche all'in­terno? Se vuoi delle istantanee di veri veterani dello spazio, do­vresti fotografare questi topi. Sono quassù ormai da mesi, e vivo­no tranquilli mettendo su famiglia. E non fanno certo tante sto­rie.

— Be', alcuni di noi fanno cose eccitanti — disse Kinsman, — mentre altri danno da mangiare ai topi.

Jill gli rivolse uno sguardo infuocato.

Dando un'occhiata al suo orologio, Kinsman disse: — Ragaz­ze, è ora che io vada a nanna. Ho avuto una giornata dura: mec­canico, guida turistica, e cover boy per Photo Day. Lavoro, lavo­ro, lavoro.

Scivolò accanto a Linda con un sorriso, continuando a sorri­dere anche quando fu vicino a Jill. La sua espressione era sempre minacciosa.

Quando si risvegliò, Linda e Jill stavano chiacchierando pia­cevolmente davanti al microscopio e ai vetrini sul banco di biolo­gia.

Linda fu la prima a vederlo. — Oh, salve. Jill mi ha fatto ve­dere le spore che sta studiando. E ho fotografato i topi. Forse ci finiranno loro in copertina al posto tuo.

Kinsman fece una smorfia: — Ti sta mettendo contro di me? — Ma dentro di sé pensò: Che cosa diavolo avrà detto di me Jill?

Jill galleggiò verso il banco di controllo, prese il giornale di bordo della missione e lo fece scivolare verso Kinsman.

— Il controllo a terra dice che il generatore è okay — disse. — Hai fatto un buon lavoro.

— Grazie. — Afferrò il giornale di bordo. — A chi tocca an­dare a dormire, ora?

— A me — rispose Jill.

— Okay. Niente di speciale in arrivo?

— No. Tutto come da programma. La prossima trasmissione di dati tra dodici minuti. Stazione di Kodiak.

Kinsman annuì. — Dormi bene.

Quando Jill ebbe tirato la tenda dell'area di riposo, Kinsman portò il diario della missione al banco di controllo e si sedette. Linda rimase al bancone di biologia, a circa tre passi di distanza.

Con uno sguardo rapido controllò il quadro degli strumenti e poi si rivolse a Linda. — Bene, adesso hai capito cosa intendevo dire quando parlavo di una nuova esperienza di vita?

— Credo di sì. È così diverso…

— Qui è la realtà. La libertà completa. Un mondo nuovo. Dopo dieci minuti di AEV tutto il resto non ha più valore.

— È stato certamente eccitante.

— Di più. È vivere. Stare a terra è insopportabile, anche gui­dare un aereo è noioso. Il divertimento è qui… in orbita, e sulla Luna. Nessuno può dire di essere mai andato più vicino al para­diso.

— Parli sul serio?

— Certamente. Ho pensato di chiedere a Murdock di farmi trasferire alla NASA. Le missioni dell'aeronautica non compren­dono la Luna, e a me piacerebbe camminare su di un mondo nuovo per vedere il panorama.

Lei gli sorrise. — Ho paura di non avere il tuo entusiasmo.

— Be', pensaci un attimo. Quassù sei libera. Libera davvero, per la prima volta in vita tua. Tutte le regole, le leggi, i pregiudizi che ti hanno pesato addosso per tutta la vita, sono tutti laggiù. Quassù si comincia da capo. Puoi essere te stesso e fare ciò che ti piace… e nessuno può interferire.

— Fintanto che qualcuno ti rifornisce di aria, cibo, acqua e…

— Certo, questo è l'aspetto pratico. Viviamo in un microco­smo grazie all'industria aerospaziale e all'AFSC. Ma non abbia­mo legami. Quelli con i galloni non possono obbligarci a seguire le loro regole. Siamo noi a scrivere il libro dei regolamenti… per la prima volta dal 1776, stiamo scrivendo delle regole nuove.

Linda assunse un'espressione pensierosa. Kinsman non sape­va se le sue parole l'avessero davvero impressionata o se lei im­maginasse dove lui voleva andare a parare. Si girò di nuovo verso il banco di controllo, e studiò ancora il piano di volo della mis­sione.

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