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Robert Silverberg: Il vento e la pioggia

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Robert Silverberg Il vento e la pioggia

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Ancora Robert Silverberg e ancora due storie completamente diverse tra loro ma che hanno in comune (oltre all’ottima fattura) il tema: il lontanissimo futuro della Terra. «Il vento e la pioggia» è una fredda e oculata disamina del nostro incosciente tentativo di distruggere il nostro ambiente ecologico e dei grossi problemi che ne ricaveremo. «Questa è la strada» invece è un romanzo breve vagamente reminiscente del Vance del ciclo della Terra Morente. Colorito, fantastico e affascinante ci mostra l’altra faccia della medaglia: un futuro molto lontano da noi e dai nostri problemi. Ed è giusto che sia così, perché la sf è letteratura e quindi il suo scopo è, oltre a una opportuna «messa in guardia» dai pericoli, anche e soprattutto quello di divertire con una sana lettura.

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Robert Silverberg

Il vento e la pioggia

Il pianeta si pulisce da solo. È importante non dimenticarlo, soprattutto quando cominciamo ad essere un po’ troppo orgogliosi di noi stessi. Il processo di risanamento è naturale ed inevitabile. L’azione del vento e della pioggia, le maree che si alzano e si abbassano, l’afflusso di fiumi vigorosi che ripuliscono i laghi intasati e maleodoranti, tutti questi sono ritmi naturali, salutari manifestazioni di un’armonia universale. Naturalmente, ci siamo anche noi. Noi facciamo del nostro meglio per accelerare il processo. Ma siamo solo degli ausiliari, e lo sappiamo. Non dobbiamo sopravvalutare l’importanza del nostro lavoro. Il falso orgoglio è peggio di un peccato: è stupidità. Non dobbiamo ingannare noi stessi credendoci importanti. Senza di noi il pianeta si ristabilirebbe da solo in un arco di tempo che va dai venti ai cinquanta milioni di anni. È stato calcolato che la nostra presenza riduce questo tempo di più della metà.

Lo scarico incontrollato di metano nell’atmosfera fu uno dei problemi più seri. Il metano è un gas incolore, inodore, conosciuto anche con il nome di gas di palude. È composto da idrogeno e carbonio. Gran parte dell’atmosfera di Giove e Saturno è costituita di metano. (Giove e Saturno non sono mai stati abitabili per gli esseri umani.) Una piccola quantità di metano è sempre stata presente nell’atmosfera della Terra. Ma l’aumento della popolazione umana produsse un conseguente aumento di metano. La gran parte del metano liberato nell’atmosfera proveniva dalle paludi e dalle miniere di carbone. Una grande quantità era prodotta dai ricchi campi dell’Asia, fertilizzati con rifiuti umani ed animali; il metano è un sottoprodotto del processo di digestione.

Il metano in eccesso fluiva nella bassa stratosfera, da venti a cinquanta chilometri sopra la superficie terrestre, dove un tempo esisteva uno strato di ozono. L’ozono, formato da tre atomi di ossigeno, assorbe le dannose radiazioni ultraviolette emesse dal sole. Reagendo con gli atomi di ossigeno liberi nella stratosfera, il metano riduceva la quantità di atomi a disposizione per formare l’ozono. In più, le reazioni del metano nella stratosfera producevano vapore acqueo che indeboliva ulteriormente l’ozono. Il progressivo esaurimento del contenuto di ozono nella stratosfera, causato dal metano, lasciò la Terra sotto l’effetto di un bombardamento incontrollato di raggi ultravioletti, con un conseguente aumento dei tumori della pelle.

Un grosso contributo all’aumento di metano venne dato dalla flatulenza del bestiame domestico. Secondo il Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti, alla fine del ventesimo secolo i ruminanti producevano più di ottantacinque milioni di tonnellate di metano all’anno. Eppure non venne fatto nulla per tenere sotto controllo l’attività di queste pericolose creature. Vi diverte l’idea di un mondo distrutto da mandrie di mucche scorreggianti? Per la gente del ventesimo secolo non deve essere stato divertente. Ma l’estinzione dei ruminanti domestici contribuì a ridurre l’impatto di quel processo.

Oggi dobbiamo iniettare fluidi colorati in un grande fiume. Edith, Bruce, Paul, Elaine, Oliver, Ronald ed io siamo stati assegnati a questo compito. Molti di noi pensano che il fiume sia il Mississipi, per quanto alcuni elementi facciano piuttosto pensare al Nilo. Oliver, Bruce ed Edith ritengono più probabile che si tratti del Nilo, e non del Mississipi, ma comunque si adeguano all’opinione prevalente. Il fiume è largo e profondo; il suo colore in alcuni punti è nero e in altri verde scuro. I fluidi vengono mescolati dal computer sulla sponda orientale del fiume in un grosso impianto eretto da un’altra squadra di bonifica. Noi sorvegliamo il loro passaggio nel fiume. Prima iniettiamo il fluido rosso, poi quello blu e infine quello giallo; questi hanno una densità diversa e formano strisce parallele che scorrono per molte centinaia di chilometri nell’acqua. Non sappiamo con certezza se questi fluidi siano degli agenti attivi di risanamento, cioè sostanze in grado di dissolvere i rifiuti solidi inquinanti che ingombrano il letto del fiume, o semplici rivelatori per consentire ulteriori analisi chimiche del fiume da parte del sistema di satelliti orbitanti. Non è importante capire ciò che stiamo facendo, quello che conta è seguire correttamente le istruzioni. Elaine scherza a proposito di una bella nuotata. Bruce dice: — È assurdo. Il fiume è noto per una micidiale varietà di pesci in grado di strappare la carne dalle ossa. — A questo punto tutti scoppiamo a ridere. Pesci ? Qui? Quale pesce potrebbe essere più micidiale del fiume stesso? Queste acque sono in grado di corrodere la nostra carne, e probabilmente anche le nostre ossa. Ieri ho scritto una poesia e l’ho fatta cadere nel fiume: la carta è scomparsa all’istante.

Alla sera camminiamo lungo la spiaggia e ci lanciamo in lunghe discussioni filosofiche. I tramonti sulla costa sono impreziositi da sfumature di color porpora, verde, rosso e giallo. Qualche volta ci rallegriamo nel vedere come una combinazione particolarmente riuscita di gas atmosferici crei nuovi effetti di luce. Siamo sempre allegri e pieni di ottimismo. Le rivelazioni di questo pianeta non ci deprimono mai. Anche la devastazione può essere una forma d’arte, no? Forse è una delle forme d’arte più grandi, poiché un’arte di distruzione consuma il proprio mezzo, divora i propri fondamenti epistemologici e, in questo sublime e nullificante ritorno alle origini, supera di molto per complessità morale le forme d’arte meramente costruttive. Intendo dire che attribuisco molto più valore ad un’arte trasformativa che ad una generativa. Sono stato chiaro? In ogni caso, dal momento che l’arte nobilita ed esalta lo spirito di coloro che la percepiscono, noi siamo nobilitati ed esaltati dalle condizioni della Terra. Invidiamo coloro che hanno contribuito a creare quelle straordinarie condizioni. Sappiamo di essere umili rappresentanti di un’epoca recente e di scarsa importanza; siamo privi della grandiosità dinamica e dell’energia che hanno permesso ai nostri antenati di commettere un tale saccheggio. Questo mondo è una sinfonia. Naturalmente si potrebbe osservare che restaurare un pianeta richiede più energia che distruggerlo, ma non è così. Nonostante il nostro lavoro quotidiano ci lasci stanchi e svuotati, riusciamo sempre a trovare nuovi stimoli emotivi d’interesse, perché rigenerare questo mondo, il mondo di origine del genere umano, in un certo senso è come partecipare allo splendido processo originale della sua distruzione. Esattamente come la risoluzione di un accordo dissonante partecipa alla dissonanza di quell’accordo.

Adesso siamo venuti a Tokio, la capitale dell’isola imperiale del Giappone. Vedete come sono esili gli scheletri dei cittadini? Questo è uno degli elementi che ci permette di identificare questo luogo come il Giappone. Si sa che i Giapponesi erano gente di bassa statura. Gli antenati di Edward erano Giapponesi. Lui è piccolo. (Edith dice che dovrebbe anche avere la pelle gialla. La sua pelle è come la nostra. Perché la sua pelle non è gialla?) — Vedete? — gridò Edward. — Ecco il monte Fuji! — È una montagna bellissima, ammantata di neve. Sulle sue pendici è al lavoro una delle nostre squadre archeologiche, sta scavando gallerie sotto la neve per raccogliere campioni dagli strati di residui chimici, polvere e ceneri del ventesimo secolo. — Una volta c’erano più di settantacinquemila ciminiere industriali intorno a Tokio — afferma con orgoglio Edward, — da cui venivano emesse ogni giorno centinaia di tonnellate di zolfo, protossido d’azoto, ammoniaca e gas di carbonio. Non dobbiamo dimenticare che in questa città circolavano più di un milione e mezzo di automobili.

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