— Allora niente chemioterapia — dissi subito. — Non voglio passare tra le sofferenze quel poco di vita che mi resta.
La dottoressa Kohl sporse le labbra. — Indubbiamente la decisione spetta a lei — disse poi. Rivolse un cenno a Susan. — A tutti e due. Ci sono però degli equivoci, la chemioterapia può essere anche un palliativo: ecco è il secondo motivo da tenere presente.
Mossi le labbra a formare la parola palliativo. La dottoressa Kohl annuì. — Probabilmente soffrirà parecchio nei prossimi mesi, Tom. La chemioterapia può ridurre la sofferenza riducendo la massa dei tumori.
— Lei cosa farebbe al mio posto? — domandai.
La dottoressa Kohl si strinse nelle spalle. — Se fossimo negli Stati Uniti… se lei non avesse assicurazione medica e dovesse pagare di tasca sua la chemioterapia, forse ne farebbe a meno e si rassegnerebbe a convivere con i dolori… anche se, in un caso e nell’altro, le prescriverei degli analgesici per resistere meglio. In genere, quando ho a che fare con carcinomi polmonari a grandi cellule, uso composti di platino… e sono medicinali molto costosi. Però dal momento che l’ohip pagherà l’intera cura, le suggerisco di prenderli. Useremo cis-platino in combinazione con etoposide di vinblastina o mitomicina-C. I composti di platino devono essere somministrati in ospedale, ma sono la scommessa migliore nei casi di cancro al polmone.
— Effetti collaterali? — domandai.
— Possibile nausea. Perdita parziale o totale dei capelli.
—Voglio lavorare il più a lungo possibile.
— La chemioterapia può aiutarla. Non le prolungherà la vita, ma può renderla più produttiva.
Ricky adesso andava a scuola a tempo pieno e Susan aveva il suo impiego. Se avessi continuato a lavorare, anche per qualche mese, sarebbe stato meglio che rimanere a casa e avere bisogno di cure continue.
— Non prenda subito una decisione — disse la dottoressa Kohl. — Ci rifletta. — Ci diede da leggere alcuni opuscoli.
Hollus credeva in Dio. T’kna credeva in Dio. E io?
— Forse mi lascio condizionare troppo dalla parola Dio — dissi a Hollus, una volta tornati nel mio ufficio.
— Certo, se ipotizzi che nell’evoluzione sulla Terra abbia interferito una fonte esterna, non posso dire che ti sbagli. In fin dei conti tu stesso mi hai detto che c’erano alieni intelligenti in questa parte della galassia, tre miliardi di anni fa.
— Sì, la razza di Eta Cassiopeae A III.
— Quelli che fecero esplodere la loro luna, no?
— No, quelli erano gli abitanti di Mu Cassiopeae A I, a 5,5 anni luce da Eta Cassiopeae.
— Ah. Bene, gli esseri di Eta Cassiopeae, diciamo di Eta Terzo per semplificare, avevano una civiltà tecnologica già tre miliardi di anni fa, quando sul mio pianeta la vita era appena agli inizi. A quel tempo non avrebbero certamente avuto difficoltà a venire qui.
— Sorvoli su un mucchio di tempo — disse Hollus.
— Tu stesso hai detto che la vita qui esisteva almeno ottocento milioni, se non un miliardo, di anni prima di tre miliardi di anni fa.
— Be’, sì, ma…
— E ovviamente a quel tempo il nostro sole, Beta Hydri, non si era ancora formato; come ti ho già detto, conta solo 2,6 miliardi di anni, perciò nessun abitante di Eta Terzo potrebbe averlo visitato.
— Forse allora non erano quelli di Eta Terzo, ma è possibile che esseri di un’altra stella siano venuti qui o sul vostro pianeta o su quello dei Wreed. Tutte le azioni che attribuisci a Dio possono essere opera di alieni progrediti.
— La tua tesi presenta due problemi — disse educatamente Hollus. — Primo, anche se escludi la necessità di Dio negli eventi recenti… eventi degli ultimi miliardi di anni; eventi accaduti dopo la comparsa, in questo universo, di altri osservatori consapevoli… non hai fatto niente per escludere la necessità di un progettista che abbia stabilito i valori delle cinque costanti fondamentali, le proprietà termiche dell’acqua e così via. Quindi, ciò che fai è contrario al rasoio di Occam di cui hai parlato: accresci, non riduci, il numero di entità che hanno influenzato la tua esistenza: un inevitabile dio per creare l’universo ed eventuali entità minori che in seguito abbiano manipolato lo sviluppo della vita.
Rimase in silenzio un istante. — Secondo — riprese — non devi dimenticare le estinzioni di massa evidentemente orchestrate per verificarsi simultaneamente nei nostri tre pianeti: la più antica avvenne 440 milioni di anni fa; la più recente, 65 milioni di anni fa. C’è un arco di 375 milioni di anni… eppure come abbiamo trovato, la durata di vita di una razza intelligente, misurata dal punto in cui ha inventato la radio, non supera a quanto pare un paio di centinaia d’anni: poi la razza si autodistrugge o scompare.
— D’accordo — dissi. — Forse í parametri fondamentali sono stati davvero stirati per creare un universo in grado di dare origine alla vita.
— Non si tratta di supposizione — dichiarò Hollus.
— L’universo è stato chiaramente progettato per generare la vita.
— E va bene. Ma se accettiamo questa premessa, di sicuro l’unico fine del creatore non può essere quello di creare la vita. Bisogna pensare che il tuo progettista putativo volesse non solo la vita, ma la vita intelligente! La vita non intelligente in realtà è niente di più che chimica complessa. Solo quando sviluppa l’intelligenza, la vita diventa davvero interessante.
— Dichiarazione bizzarra, per uno che studia í dinosauri — osservò Hollus.
— Non proprio. In fin dei conti í dinosauri scomparvero 65 milioni di anni fa. Solo grazie all’avvento della vita intelligente sappiamo che sono esistiti. Ma ti avvicini al punto che volevo sostenere. — Cercai una metafora appropriata. — Sai cucinare?
— Cucinare? Vuoi dire ricavare cibo da materiali grezzi?
— Sì.
— No.
— Be’, io cucino, o almeno cucinavo. Ci sono pietanze che non puoi fare col semplice sistema di mettere nella pentola tutti gli ingredienti insieme fin dall’inizio. Se vuoi cucinarle, devi intervenire durante la cottura.
Hollus rifletté. — Ipotizzi allora che in nessun modo il creatore avrebbe potuto ottenere vita intelligente senza intervento diretto? Molti spiriti religiosi obbietterebbero a questo concetto, perché l’intervento occasionale implica un Dio che sia solitamente assente dall’universo.
— Non voglio implicare niente — dissi. — Mi limito ad analizzare l’assunto insito nelle tue convinzioni. I dinosauri hanno dominato la Terra più a lungo dei mammiferi, eppure non hanno mai raggiunto neppure lontanamente l’intelligenza. Col tempo il loro cervello si è ingrandito un poco, certo, ma perfino il più intelligente dinosauro mai vissuto… — presi il cranio del troodonte di Phil Currie, ora su uno scaffale alle mie spalle — non era più intelligente del più stupido mammifero. In realtà era impossibile che i dinosauri diventassero più intelligenti. Nei rettili non esiste quella parte del cervello dei mammiferi dove risiede l’intelligenza. Mi hai detto che le creature dominanti sul tuo pianeta fino a 65 milioni di anni fa, quei pentapodi, erano animali stupidi e che una situazione analoga si è avuta su Delta Pavonis.
— Sì.
— E i tuoi antenati di quel tempo erano, come i miei e quelli dei Wreed, creature di piccole dimensioni che vivevano ai margini dell’ecosistema.
— Giusto — confermò Hollus.
— Però quegli antenati avevano un cervello in grado di sviluppare l’intelligenza. I nostri antenati erano crepuscolari, si mettevano in attività al tramonto. Così svilupparono occhi grandi e complessa corteccia visiva. E ovviamente la capacità cerebrale per analizzare le immagini risultanti.
— Vuoi dire che l’infrastruttura per l’intelligenza può solo sorgere in quegli animali che si trovano, per usare le tue parole, ai margini di un ecosistema? Animali costretti a nutrirsi di notte?
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