Джанни Родари - Favole al telefono

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Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perché egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno. Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: - Buon viaggio!

I capelli del gigante

Una volta c'erano quattro fratelli. Tre erano piccolissimi ma tanto furbi, il quarto era un gigante dalla forza smisurata ma era molto meno furbo degli altri.

La forza ce l'aveva nelle mani e nelle braccia, ma l'intelligenza ce l'aveva nei capelli. I suoi furbi fratellini gli tagliavano i capelli corti corti, perché restasse sempre un po' tonto, e poi tutti i lavori li facevano fare a lui, che era tanto forte, e loro stavano a guardarlo e intascavano il guadagno.

Lui doveva arare i campi, lui spaccare la legna, far girare la ruota del mulino, tirare il carretto al posto del cavallo, e i suoi furbi fratellini sedevano a cassetta e lo guidavano a suon di frusta.

E mentre sedevano a cassetta tenevano d'occhio la sua testa e dicevano:

- Come stai bene con i capelli corti.

- Ah, la vera bellezza non sta mica nei riccioli.

- Guardate quel ciuffetto che si allunga: stasera ci vorrà un colpetto di forbici.

Intanto si strizzavano l'occhio, si davano allegre gomitate nei fianchi e al mercato intascavano i soldi, andavano all'osteria e lasciavano il gigante a fare la guardia al carretto.

Da mangiare gliene davano abbastanza perché potesse lavorare; da bere poi, gliene davano ogni volta che aveva sete, ma solo vino di fontana.

Un giorno il gigante si ammalò. I suoi fratellini, per paura che morisse mentre era ancora buono a lavorare, fecero venire i migliori medici del paese a curarlo, gli davano da bere le medicine più costose e gli portavano la colazione a letto.

E chi gli aggiustava i cuscini, chi gli rimboccava le coperte. E intanto gli dicevano:

- Vedi quanto ti vogliamo bene? Tu dunque non morire, non farci questo torto.

Erano tanto preoccupati per la sua salute che si dimenticarono di tener d'occhio la capigliatura. I capelli ebbero il tempo di crescere lunghi come non erano mai stati e con i capelli tornò al gigante tutta la sua intelligenza. Egli cominciò a riflettere, a osservare i suoi fratellini, a sommare due più due e quattro più quattro. Comprese finalmente quanto essi fossero stati perfidi, e lui tonto, ma subito non disse nulla. Aspettò che gli tornassero le forze e una mattina, mentre i suoi fratellini dormivano ancora, egli si alzò, li legò come salami e li caricò sul carretto.

- Dove ci porti, fratello caro, dove porti i tuoi amati fratellini?

- Ora vedrete.

Li portò alla stazione, li ficcò in treno legati come stavano e per tutto saluto disse loro: - Andatevene, e non fatevi più rivedere da queste parti. Mi avete ingannato abbastanza. Adesso il padrone sono io.

Il treno fischiò, le ruote si mossero, ma i tre furbi fratellini se ne stettero buoni buoni al loro posto e nessuno li ha rivisti mai più.

Il naso che scappa

Il signor Gogol ha raccontato la storia di un naso di Leningrado, che se ne andava a spasso in carrozza e ne combinava di tutti i colori.

Una storia del genere è accaduta a Laveno, sul Lago Maggiore. Una mattina un signore che abitava proprio di fronte al pontile dove si prendono i battelli si alzò, andò in bagno per farsi la barba e nel guardarsi allo specchio gridò:

- Aiuto! Il mio naso!

Il naso, in mezzo alla faccia, non c'era più, al suo posto c'era tutto un liscio. Quel signore, in vestaglia come stava, corse sul balcone, giusto in tempo per vedere il naso che usciva sulla piazza e si avviava di buon passo verso il pontile, sgusciando tra le automobili che si stavano imbarcando sulla motonave traghetto per Verbania.

- Ferma, ferma! - gridò il signore. - Il mio naso! Al ladro, al ladro!

La gente guardava in su e rideva:

- Le hanno rubato il naso e le hanno lasciato la zucca? Brutto affare.

A quel signore non rimase che scendere in strada e inseguire il fuggitivo, e intanto si teneva un fazzoletto davanti alla faccia come se avesse il raffreddore. Purtroppo arrivò appena in tempo per vedere il battello che si staccava dal pontile. Il signore si buttò coraggiosamente in acqua per raggiungerlo, mentre passeggeri e turisti gridavano: Forza! Forza! Ma il battello aveva già preso velocità e il capitano non aveva nessuna intenzione di tornare indietro per imbarcare i ritardatari.

- Aspetti l'altro traghetto, - gridò un marinaio a quel signore, - ce n'è uno ogni mezz'ora!

Il signore, scoraggiato, stava tornando a riva quando vide il suo naso che, steso sull'acqua un mantello, come San Giulio nella leggenda, navigava a piccola velocità.

- Dunque non hai preso il battello? E stata tutta una finta? - gridò quel signore.

Il naso guardava fisso davanti a sé, come un vecchio lupo di lago, e non si degnò neanche di voltarsi. Il mantello ondeggiava dolcemente come una medusa.

- Ma dove vai? - gridò il signore.

Il naso non rispose, e il suo disgraziato padrone si rassegnò a raggiungere il porto di Laveno e a passare in mezzo alla folla di curiosi per tornare a casa, dove si tappò, dando ordine alla domestica di non lasciar entrare nessuno, e passava il tempo a guardarsi nello specchio la faccia senza naso.

Qualche giorno dopo un pescatore di Ranco, tirando su la rete, ci trovò il naso fuggitivo, che aveva fatto naufragio in mezzo al lago perché il mantello era pieno di buchi, e pensò di portarlo al mercato di Laveno.

La serva di quel signore, che era andata al mercato per comprare il pesce, vide subito il naso, esposto in bella vista in mezzo alle tinche e ai lucci.

- Ma questo è il naso del mio padrone! - esclamò inorridita. - Datemelo subito che glielo porto.

- Di chi sia non so, - dichiarò il pescatore, - io l'ho pescato e lo vendo.

- A quanto?

- A peso d'oro, si sa. È un naso, non è mica un pesce persico.

La domestica corse a informare il suo padrone. - Dagli quello che domanda! Voglio il mio naso!

La domestica fece il conto che ci voleva un sacco di denaro, perché il naso era piuttosto grosso: ci volevano tremendamila lire, tredici tredicioni e mezzo. Per mettere insieme la somma dovette vendere anche i suoi orecchini, ma siccome era molto affezionata al suo padrone li sacrificò con un sospiro.

Comprò il naso, lo avvolse in un fazzoletto e lo portò a casa. Il naso si lasciò ricondurre buono buono, e non si ribellò nemmeno quando il suo padrone lo accolse tra le mani tremanti.

- Ma perché sei scappato? Che cosa ti avevo fatto?

Il naso lo guardò di traverso, arricciandosi tutto per il disgusto, e disse: - Senti, non metterti mai più le dita nel naso. 0 almeno tagliati le unghie.

La strada che non andava in nessun posto

All'uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto.

Martino lo sapeva perché l'aveva chiesto un po' a tutti, e da tutti aveva avuto la stessa risposta:

- Quella strada lì? Non va in nessun posto. È inutile camminarci.

- E fin dove arriva?

- Non arriva da nessuna parte.

- Ma allora perché l'hanno fatta?

- Non l'ha fatta nessuno, è sempre stata lì.

- Ma nessuno è mai andato a vedere?

- Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c'è niente da vedere...

- Non potete saperlo, se non ci siete stati mai.

Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.

Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce, ma per fortuna non pioveva da un pezzo, così non c'erano pozzanghere. A destra e a sinistra si allungava una siepe, ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca, nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di sole a far da fanale.

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